Processi giusti e veloci
di Massimo Fini - 31/05/2006
Il neoministro della Giustizia,
Clemente Mastella,
ha dichiarato di considerare
il problema delle
intercettazioni telefoniche
una priorità assoluta. Per la
verità la priorità assoluta
della Giustizia italiana è l’aberrante
durata delle sue
procedure che oltre a produrre
sentenze definitive in
tempi talmente biblici da
renderle inutili e, insieme,
sostanzialmente inique
("una giustizia che arriva
tardi è sempre denegata giustizia"
dicevano i latini) si
trascina con sè un’altra
serie di gravissimi problemi
fra cui l’altrettanto abnorme
durata delle carcerazioni
preventive, l’affollamento
delle carceri e l’impossibilità
pratica di tutelare il segreto
istruttorio all’interno della
quale si colloca anche la
questione delle intercettazioni.
La questione va divisa in
due parti: le intercettazioni
sono oggi, in epoca di telefonia
cellulare, uno strumento
indispensabile per le indagini
che, a differenza delle
soggettive ambigue e interessanti
dichiarazioni dei ‘pentiti’,
hanno il valore del
documento oggettivo. Non vi
si può
(…) quindi rinunciare. Di
queste intercettazioni fanno
però man bassa i media perché
soddisfano il gusto morboso,
(da buco della serratura),
del pubblico, gusto oggi
sfrenato come documenta
anche il successo dei ‘reality’.
Ma le intercettazioni non
sono ‘reality’ di nuovo conio,
ad uso di esibizionisti e
voyeur, sono cose terribilmente
serie che possono rovinare
la reputazione di una
persona.
Il garante della privacy
Francesco Pizzetti, ha
lamentato "la rivelazione di
conservazioni non rilevanti
a fini probatori e non attinenti al
tema delle indagini"? Ma così il
problema è mal posto, praticamente
e concettualmente. Se le
conversazioni sono "rilevanti a
fini probatori e attinenti al tema
delle indagini" lo può sapere solo
il magistrato, non il giornalista, il
quale, nel dubbio, si sente autorizzato
a pubblicare tutto.
Nel vecchio Codice Rocco la questione,
almeno concettualmente,
era risolta meglio. Nel senso che
tutti gli atti istruttori erano segreti.
Ciò a due fini: garantire il buon
andamento delle indagini e tutelare
la reputazione delle persone
coinvolte a qualsiasi titolo in un
procedimento penale. E quindi
non solo di quei soggetti che nell’inchiesta
sono entrati casualmente
ma anche degli indagati stessi,
perché nella fase delicata e incerta
dell’istruttoria possono rimanere
impigliate anche persone che non
arriveranno al processo poiché
successivamente riconosciute
estranee ai fatti o comunque non
responsabili penalmente di alcunché.
Il limite del Codice Rocco era che
le pene previste per la pubblicazione
di atti coperti dal segreto
istruttorio erano irrisorie, multe
che i giornali erano ben disposti a
pagare in cambio di uno ‘scoop’. Il
nuovo Codice del 1988 ha reso il
segreto istruttorio una gruviera,
perché devono essere messi a conoscenza
della difesa, depositati in
Cancelleria e sono quindi a disposizione
di tutti.
Tuttavia le intercettazioni telefoniche,
a causa della loro delicatezza
fanno ancora parte di quel ristretto
gruppo di atti coperti dal segreto
istruttorio e i cui contenuti
quindi, riguardano gli indagati o
altri soggetti, non dovrebbero
essere divulgabili. Resta però la
debolezza di fondo che era già
presente nel Codice Rocco: l’inadeguatezza
delle pene. Che vanno
pesantemente inasprite sia per
giornali e giornalisti sia per le loro
fonti, che raramente sono i magistrati,
ma più spesso i loro collaboratori
o gli avvocati. E, per le
ragioni dette prima, le misure
restrittive non devono fare distinzioni
fra la divulgazione di contenuti
che riguardano persone estranee
ai fatti o gli indagati che hanno
diritto alla stessa tutela, almeno
fino al dibattimento.
Ma tutto ciò postula istruttorie
rapide, perché se durano anni,
l’assoluto divieto di divulgare i
contenuti delle intercettazioni
telefoniche si risolve in una inammissibile
museruola imposta alla
libertà di stampa. Ecco perché la
velocizzazione dei procedimenti è
il presupposto per risolvere anche
il problema delle indebite divulgazioni
dei contenuti delle intercettazioni.