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L’anno zero del corallo

di Alessio Nannini - 26/02/2011


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Tre quarti delle barriere coralline del mondo sono a rischio a causa di commercio eccessivo, inquinamento e cambiamento climatico. Lo dice un rapporto redatto da oltre cento ricercatori.

Tre anni di ricerche e circa un centinaio di scienziati. Questi i numeri di uno studio sulla situazione attuale e il destino del corallo, sempre più a rischio per colpa della pesca e dell’impatto climatico. Il rapporto è stato compilato da un gruppo di oltre venti organizzazioni di ricerca e conservazione, guidato dal World resources institute (Wri) di Washington e, ha detto Jane Lubchenco, capo della Us National oceanic and atmospheric agency (Noaa), «dovrebbe servire da sveglia per i politici e i dirigenti delle grandi aziende circa l’urgente necessità di una maggiore tutela per le barriere coralline».
 
La relazione ha analizzato i territori già esaminati da un precedente progetto pubblicato nel 1998, ma è entrato molto più nel dettaglio. In questi ultimi tredici anni l’area a rischio distruzione è aumentata di quasi un terzo, per colpa innanzitutto del massiccio aumento dei danni da pesca, in particolare negli oceani Indiano e Pacifico. Almeno la metà delle barriere coralline del mondo sono minacciate dal modo in cui i pescatori agiscono sull’ambiente (per esempio nell’utilizzo di dinamite). Altre minacce sono l’inquinamento nei fiumi, che versano veleni lungo le coste, lo sviluppo costiero, e il cambiamento climatico. Su quest’ultimo aspetto, le proiezioni indicano che entro il 2030 circa la metà delle barriere coralline potrebbe sbiancarsi (dati che salgono al 95 per cento per il 2050) perché i nutrienti del corallo, che danno il caratteristico colore rosso, risentono sensibilmente dell’aumento della temperature del mare.
 
Inoltre, il lento calo del pH dell’acqua (fenomeno noto come acidificazione degli oceani) potrebbe compromettere la capacità di formare strutture a ramo resistenti. «Il riscaldamento e l’acidificazione diventeranno i principali pericoli – spiega Jane Lubchenco – ma ancora più dannosa sarà la loro combinazione». A livello regionale, il Sud-est asiatico è oggi la zona più colpita, con oltre il 90 per cento delle barriere presenti nella lista a rischio. La minaccia in questo caso avrebbe anche serie ripercussioni economiche, perché andrebbe ad impattare con società che fanno del corallo un elemento imprescindibile per la sopravvivenza, e che sarebbero incapaci di adattarsi a un’altra forma di commercio.
 
Un problema che vale per le isole Comore e Fiji, Haiti, Indonesia, Kiribati, Filippine, Tanzania e Vanuatu. Fra tanti grigi presagi, ecco però qualche elementi di speranza: «Le scogliere su cui cresce il corallo sono solide, e riducendo le pressioni locali possiamo contribuire a guadagnare tempo per trovare soluzioni alle minacce globali che possono preservare le barriere per le generazioni future» ha scritto l’autrice principale del rapporto Lauretta Burke. Ma questo sta, come sempre, alla volontà dell’uomo.