Luigi De Marchi: il capitalismo e la mafia
di Carmelo R. Viola - 01/06/2006
Luigi De Marchi, il noto psicologo, autore di varie opere, l’antico amico degli anarchici (a cui, mi pare di ricordare, inviavo anch’io la mia rivista libertaria giovanile “Previsioni” - anni Cinquanta), già mio collega nel Movimento Reichiano di Napoli, dal quale vennero pubblicati Quaderni di costui e del sottoscritto (anni Sessanta-Settanta), me lo ritrovo propagandista del capitalismo fra la parte peggiore dei radicali di Pannella. Ho detto e sottolineo “la parte peggiore”, perché resto del parere che ad ognuno vada riconosciuto il merito delle cause giuste. Pertanto, dico e direi ancora sì alla difesa dei veri diritti civili, in primis del diritto-dovere della ricerca scientifica a fine terapeutico nonostante il veto “inquisitoriale” del potere clericale (che, come il lupo, “perde il pelo ma non il vizio”).
Per ovvia complementarità ho detto e dico no alla pseudo “libertà imprenditoriale” che - seppure malaguratamente prevista dalla parte “autocontradittoria” della Costituzione “fondata sul lavoro” - è solo impresa “predonomica”, alias predatoria, e quindi in conflitto con i diritti civili e la parte positiva della carta costituzionale stessa.
E’ proprio su questo punto cruciale che “il grande” Luigi De Marchi (del cui antisocialismo infantile avevo già avuto sentore) è caduto. Proprio stamani (17 aprile del 2006), a Radio Radicale, ho sentito predicare l’esatto contrario del socialismo da parte di uno che, come psicologo (reichiano, credo) lo dovrebbe sostenere come soluzione insieme naturale e scientifica del “problema del coesistere” della specie umana “adulta”. La quale, nata animale, ha le sue tre età, proprio come un organismo vivente quale è in realtà.
Ebbene, anche lui c’è cascato a testimonianza del potere ipno-subliminale dei resistenti dell’evoluzione della civiltà al servizio dei “signori della refurtiva sociale”: il socialismo sarebbe fallito perché irrealizzabile - e irrealizzabile perché contro natura; anche per lui il solo sistema, capace di produrre ricchezza - e quindi benessere - è l’economia capitalista. Anni di studio non gli sono serviti per scoprire che il capitalismo non è LA economia ma PREDO-nomia (dal significante trasparente ed eloquente); che l’uomo reale è quello che diventa, la natura essendo un valore in incessante “divenienza” - costanti sono solo le pulsioni o motori biologici del comportamento, che fanno i costumi, la storia, la consonanza e l’armonia come la conflittualità e la reciproca distruzione a seconda delle modalità di risposta (varianti) a quelle costanti - ; che la ricchezza è prodotta SOLO dal lavoro (oltreché dalla natura).
Il socialismo, infatti, è anzitutto l’organizzazione sociale del lavoro per la produzione e distribuzione dei beni e dei servizi - possibilmente con una moneta passiva, alias strumentale - indispensabili ad una sana vita di tutti i membri di una comunità. E’ possibile che l’uomo - che è, ripeto, quello che diventa - privato della prospettiva “viziosa” (ma in parte cautelativa per il futuro in un contesto “interpredatorio”) di “arricchirsi” (ovvero di depredare il prossimo al limite delle possibilità), in un contesto socialista, inizialmente produca meno che sotto la sferza di padroni spinti solo e appunto dall’urgenza fisio-patologica di fare profitti parassitari senza misura. I costumi, divenuti parte sostanziale del modus vivendi durante la lunga adolescenza della nostra specie, non si rimuovono - e tanto meno si risolvono - dall’oggi al domani (i tempi biologici sono lunghi), specie se un esperimento etico-socialista è osteggiato dal circostante mondo capitalistico, il quale continua ad agire in tutti i modi possibili per rendere difficile la sopravvivenza di un’isola socialista, non solo con sanzioni economiche (leggi: “predonomiche”) - vedi l’embargo a carico di Cuba e della Corea del Nord, come esempi attuali) - ma anche attraverso una propaganda mediatica (oggi universalmente trasmissibile e incontenibile) atta a far credere ai cittadini di quella società sperimentale che fuori di essa c’è magari il paradiso terrestre!
Il paradiso terrestre c’è - caro Luigi De Marchi -ma solo per i “grossi predatori” (imprenditori industriali, capitani della monetocrazia bancario-borsistica e simili antropozoi - individui dell’adolescenza della specie ovvero della semi-animalità); per gli altri c’è il purgatorio della precarietà e dell’incertezza quando non della disoccupazione e l’inferno della povertà, della disperazione o di una vecchiaia fatta di elemosina. Luigi De Marchi non si è accorto che laddove (alludo all’ex Urss) - pur tra errori e magari crimini addebitabili agli uomini e NON ai princìpi - s’erano buttate le fondamenta di un impianto socialista (voglio dire di una collettività con partecipazione universale dei prodotti del lavoro secondo equità e bisogno), impianto che andava emendato e non demolito con la minaccia fantasiosa della “guerra stellare” di un Reagan in combutta con la maledizione di un papa polacco per un immenso paese plurietnico “senza Dio” - là, dico, ha fatto irruzione la giungla antropomorfa del sistema neoliberista e filoamericano, così caro alla “seconda personalità” dei vari Pannella.
Il De Marchi non ha imparato a conoscere la vera economia - la grande assente - e, per conseguenza - non ha compreso la natura dell’attuale (dico attuale) pratica predatoria detta “mafia”, di cui scopre una decina di modalità in parallelo con la “morale” islamica, come il maschilismo, la sacralità della famiglia (ovviamente patriarcale), le punizioni mortali dei traditori e delle adultere e l’odiosità degli omosessuali. Ma è ovvio, caro Amico, che qualunque società segreta conservi delle tradizioni di costume delle origini come - nel caso specifico - il giuramento di fedeltà (talora sancito con il sangue), l’omertà, la vendetta e non ultima la possibilità di attentare ai nemici esterni. Ma tutto questo ha solo valore folcloristico e quindi secondario. Quel che conta è che la “mafia” (quale che ne sia l’origine) è in atto - e non da ora - un modo “paralegale” di fare capitalismo ovvero di accumulare ricchezza depredando il prossimo (dal semplice pizzo ai “legali” investimenti in azioni industriali e in borsa con evidente inevitabile collusione con il mondo politico dei padroni esterni, che si “autolegittimano con leggi ad hoc”). Lo Stato borghese è un “potere di servizio” del “potere effettivo” di chi detiene la ricchezza del paese.
Il timore - espresso da Luigi De Marchi - di una possibile commistione quasi esplosiva fra islamici e mafiosi a sèguito dell’attuale flusso immigratorio (che sarebbe comunque da evitare), è del tutto destituito di fondamento scientifico. Tra l’altro, è offensivo per l’islamismo, ridotto alla peggiore delle possibili attuazioni. Il regime del mai troppo demonizzato Saddam Hussein, per esempio, era laico e costumanze primitive dell’Islam non vi avevano più luogo. Ho vissuto ben quattordici anni a contatto con i musulmani: è brava gente. Sono i capi politici che, come ovunque, usano le masse dei semplici o dei credenti per fini criminosi. Non dimentichiamo - è d’obbligo dirlo - che le Crociate, guarda caso contro i fedeli di Allah, venivano organizzate e consumate in nome di Cristo!
La parte strettamente folcloristica della “mafia” (già ridotta) è naturalmente destinata a scomparire: ad una imprenditoria predatoria “paralegale” basta la (semi) clandestinità, del resto da sempre praticata dalle grandi industrie del capitalismo, tanto per fare due esempi, da quella farmaceutica (che gestisce il miserabile “mercato della salute” o della patologia, magari indotta) e quella militare (che studia, occultamente appunto, come meglio distruggere “il nemico del proprio business imperialistico”). La “mafia”, così intesa, imperversa e impazza per il mondo.
Immagino che il De Marchi inneggi agli Usa - e alle loro imprese criminali e donchisciottesche - dove l’inferno capitalista si fa beffa di tutte le verità sacrosante sui diritti umani, di cui lo stesso - in altri tempi e circostanze - si è fatto (e penso si farà ancora) lodevole promotore. Sic transit gloria mundi.