Perché Bush ha scelto Paulson?
di redazione - 01/06/2006
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La nomina da parte di George W. Bush a ministro del Tesoro di Henry M. Paulson, sessant’anni, da giovane consigliere di Nixon, ora amministratore delegato di Goldman Sachs, la maggiore banca d’affari del mondo, sembra una copia della scelta fatta da Bill Clinton, quando chiamò a capo del Tesoro Robert Rubin, allora a.d. di Goldman Sachs. Ma Clinton aveva bisogno di un legame con Wall Street. E, data la nota propensione dei democratici al big government e al protezionismo, volle rassicurare i mercati con la Rubinomics, basata sul principio del bilancio in pareggio. Le alte spese non avrebbero sottratto risorse ai mercati. Bush ha praticato la politica di tagli di tasse e liberalizzazioni, generando un’alta e continua crescita negli Stati Uniti, nonostante lo scoppio della bolla finanziaria e il trauma dell’attentato alle Torri gemelle del 2001. Questa crescita ha contribuito all’enorme sviluppo economico del sudest asiatico e alla ripresa di quello dell’Africa e dell’America latina. Il bilancio federale statunitense, coi tagli fiscali, è andato in rosso, ma mentre i cultori della Rubinomics avevano previsto, per il 2004, un insostenibile deficit del 5,7 per cento, esso è stato solo del 3,9. Nel 2005 poi è rientrato al livello del tre per cento. Nel 2006 si mantiene su questa percentuale. Ciò che invece più preoccupa l’America è l’asimmetria della bilancia dei pagamenti, che ha oramai un disavanzo di parte corrente che supera il sei per cento. Le monete asiatiche non hanno un cambio corretto col dollaro, che, d’altra parte, funziona anche da moneta di riserva della Cina e di gran parte dei paesi emergenti. Le multinazionali americane, peraltro, esportano dall’Asia verso gli Stati Uniti e i loro profitti tornano agli Stati Uniti come investimento estero: solo apparentemente questo è un debito statunitense verso l’estero. D’altra parte il flusso di capitali verso i paesi in via di sviluppo sembra che stia per alimentare una nuova bolla finanziaria. Paulson è chiamato a gestire lo squilibrio vero e apparente della bilancia americana con l’estero e il flusso di liquidità mondiale che, in questo modo, gli Stati Uniti gestiscono, con un potere di fatto maggiore del Fondo monetario. |