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L'orizzonte filosofico del progetto locale*

di Lorenzo Mazzi - 01/06/2006

Fonte: Lorenzo Mazzi

 

*introduzione della tesi di laurea del Dottor Lorenzo Mazzi (lorenzo.mazzi@gmail.com), relatore Professoressa Luisa Bonesio

INTRODUZIONE
«Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto»1.
Muovendo dalla convinzione e dalla consapevolezza, propria delle forme di pensiero più
“veggenti” e avvedute, della necessità - non ulteriormente rinviabile - di una riflessione
approfondita sul destino della vita urbana all’interno della Cosmopoli che avvolge il pianeta, non è possibile ignorare la realtà del dominio effettuale sulla vita e sulla natura che - continuamente incentivata nell’ambito della prassi di pensiero occidentale (estesa oggigiorno a livello dell’intero globo) da una onnipervasiva volontà di potenza, che si compie attraverso le realizzazioni dell’uomo faustiano e della sua Tecnica (e del pensiero unico tecnico-scientifico, che ha assunto il carattere di un culto a cui devotamente riservare una cieca fiducia e una completa remissione ai suoi meccanismi e procedure) - soffoca il grido di dolore della t/Terra, imbrigliata in un intreccio di insediamenti senza autonomia di senso né distinzione interna - nel segno dell’uni-verso e dell’uniformazione;
incastrati in una logica globale che, grazie alla capacità di astrazione insita nei suoi
modelli ideali, prescinde da quei contesti plurali e singolari concreti che costituiscono invece le
sfaccettature, le sfumature e i colori del composito quadro dei luoghi, dei popoli, degli idiomi, delle culture e degli individui in esse.
Tentare allora di articolare un linguaggio e un pensiero all’altezza delle differenze e delle
diversità che emergono da questo mosaico, presuppone l’individuazione del massimo pericolo da affrontare in questa congiuntura: l’omologazione intesa in senso culturale, estetico e geografico.
L’appiattirsi delle diversità paesaggistiche è fattore da non sottovalutare, per la sua portata e
ricaduta su aspetti decisivi come l’incuria diffusa e il degrado sociale che si instaurano in quelle comunità e in quegli aggregati geografici inseriti in meccanismi di dipendenza da logiche e organismi esogeni, che per la loro genesi e costituzione intrinseca non potranno mai tener in alcun conto le ragioni e i simboli propri dell’unicità di ogni volto della t/Terra. Indicare la riscoperta del bisogno estetico legato al paesaggio - e conseguentemente riformulare un’etica dell’abitare che faccia propria una riflessione più ampia rispetto al solo aspetto, pur necessario,
ecologico/naturalistico - come uno degli elementi basilari e centrali in questa fase, non significa
rinchiudersi in un estetismo residuale e riproporre concezioni passate del gusto che nell’attualità non potrebbero che risultare ineffettuali; anzi, è proprio a partire dalla messa in discussione dei 1 J.L. Borges, L’artefice, trad. it. di T. Scarano, Adelphi, Milano 1999, pag. 1267. canoni emersi a partire dalla nascita della disciplina estetica nell’era moderna - la quale,
congiungendosi alla fondazione cartesiana, ha dato un contributo decisivo all’affermazione di un iper-soggettivismo che, presupponendo una contrapposizione soggetto/oggetto e quindi il dominio su di una esteriorità/materialità inerte e piatta da parte del cogito che rappresenta, porterà poi a quella che Heidegger ha chiamato l’«epoca dell’immagine del mondo» -, che si può attribuire una nuova valenza ad un pensiero estetico che si ponga fruttuosamente all’incrocio con altri campi del sapere. Contrastando la tendenza sempre più accentuata alla settorializzazione delle conoscenze e mettendo insieme contributi provenienti da aree diverse al fine di intrecciarli - adottando una attitudine propria di movimenti culturali come la geofilosofia -, prende vita, con l’emergere delle compatibilità e dell’arricchimento reciproco, un nuovo e proficuo orizzonte di senso. E, nello spirito del presente lavoro, questa attitudine di ricerca si applica all’elaborazione di una proposta interpretativa in grado di tracciare un percorso concettuale che accompagni e stimoli una pratica progettuale e architettonica volta a riscrivere le regole generatrici delle attuali aree suburbane e periferiche, così estese, desolate, desolanti e anonime.
L’indagine filosofica su questi aspetti ha portato a denotare come i processi di pensiero che
hanno dato luogo all’era moderna si siano accompagnati ad un procedimento di «matematizzazione della natura», che ha spogliato il mondo dei suoi valori sensoriali e della sua concreta sensibilità. La condizione urbana odierna sottopone evidentemente all’uomo contemporaneo una serie di problematiche che non possono essere ristrette nell’orizzonte di un dibattito meramente tecnico; in questo senso si è richiamata l’attenzione sull’appello che alcuni autori hanno rivolto agli “specialisti”, affinché questi ultimi - ibridando il punto di vista proprio della loro scienza e arte edificatoria - si aprano ad una considerazione più ampia di quei problemi architettonici che rimandano direttamente al futuro non solo delle città, ma dell’uomo tardo-moderno stesso.
La prospettiva - descritta, interpretata e commentata in questo scritto - non solo urbanistica,
ma anche sociale, geografica, politica ed estetica, che si sostanzia nella teoria del «progetto locale» e nella proposta del «nuovo municipio», può essere una indicazione - senz’altro non l’unica - utile a riassegnare il giusto valore ad alcune delle questioni epocali pericolosamente sottovalutate o tralasciate dal Movimento Moderno e dalla modernità in generale, come la contestualizzazione dei luoghi, che ha da essere sempre singolare e puntuale, e la cura di una rinnovata dimensione comunitaria (emendata dei suoi tratti utopico-totalitaristici e organico-deterministici). La scuola territorialista - che attua una revisione della pianificazione a partire da procedure e presupposti meta-progettuali alternativi al disegno urbano prevalente - si pone quindi come ambito di interesse non solo per la disciplina urbanistico-architettonica; la trattazione delle tematiche emergenti da questo scenario strategico ha portato infatti ad arricchire l’analisi di nuovi spunti provenienti sia dal campo della sociologia urbana che della filosofia, arrivando a proporre uno sfondo interpretativoteorico di un discorso sulla città in grado di offrire un contributo adeguato all’approfondimento degli argomenti provenienti dalle correnti culturali che sono fonte d’ispirazione e oggetto di studio della presente tesi di laurea.
Ponendo l’attenzione in particolare su alcuni filoni di pensiero (la meditazione
heideggeriana, la geofilosofia, il post-strutturalismo, la riflessione post-metafisica di J.L. Nancy, la critica della ragione economico-utilitaristica, la geografia culturale “postmoderna”, l’antropologia della surmodernità di M. Augé, la sociologia urbana statunitense dagli anni Ottanta ad oggi) - parte dei quali accomunati da un’origine situata nella potenza “visionaria” e “abissale” del pensiero nietzschiano -, individuati per l’incisività con cui da una parte hanno descritto i fondamenti della modernità tecno-scientifica e i procedimenti da questa messi in atto, e dall’altra hanno guardato al problema dell’abitare dal punto di vista urbanistico, estetico, sociale e politico, ha portato a proporli come chiave interpretativa di lettura e di riferimento. La convergenza di questi apporti dovrebbe, nelle intenzioni di questo lavoro, comporre un orizzonte di senso per le teorie del progetto - esposte in una breve rassegna che accosta e integra la proposta territorialista con il riferimento ad alcuni altri autori del pensiero e della realizzazione architettonica contemporanea (come L. Krier e P.L. Cervellati) - più avvertite nei confronti dell’elemento territoriale e rispettose dei luoghi singolari e plurali della t/Terra. La valorizzazione - in quanto risorsa preziosa per la riflessione estetica - degli spunti provenienti da materie di studio come la geografia, la sociologia urbana e la filosofia politica, rispecchia in particolare la visione transdisciplinare propria dell’ottica del pensiero geofilosofico, qui adottata per la sua ampiezza e profondità di sguardo, che può sostenere lo sforzo da una parte di revisione e dall’altra di recupero di alcuni dei principi fondanti la dimensione urbana del vivere in comune (così diversi da quelli con cui soprav-viviamo nel presente)

Il proposito quindi di incrociare indirizzi di pensiero diversi, anche eterogenei, tra di loro -
nella loro provenienza e destinazione teoretica -, che si congiungono però in una presa d’atto della perdita di sapienza che contraddistingue l’uomo contemporaneo rispetto alla sua relazione simbiotica, vitale e inscindibile con la t/Terra, muove dal bisogno di affrontare alcune questioni epocali legate alla nostra condizione tardo-moderna. A fronte del paesaggio di megalopoli e metropoli smisurate che estende i suoi tentacoli e la sua Rete su tutto il pianeta - è urgente un’interrogazione di pensiero che, oltre a mostrare il degrado e l’impoverimento del senso e della concretezza dell’esperienza urbana, riporti al centro l’attenzione per una dimensione di cura, valorizzazione e rispetto dei luoghi che potrebbe contribuire al sorgere di un nuovo approccio etico nei confronti del paesaggio (intendendo questo concetto in una accezione allargata - propria della considerazione geofilosofica - che contiene tutti i suoi molteplici e significativi risvolti in campo estetico, culturale, sociale e ambientale). E questo potrebbe poi divenire quel nodo tematico cruciale, situato all’incrocio di saperi e discipline diverse, che permetta di affrontare insieme - in quanto strettamente correlati in questa nuova visione - argomenti a prima vista distanti come il problema ecologico a livello locale e globale, il sorgere di un bisogno democratico e di riconoscimento non più restringibile e trattenibile nelle strette maglie e procedure delle istituzioni politiche basate sulla delega rappresentativa, e il senso per una bellezza attiva che vada al di là delle barriere del gusto im-poste dal soggetto contemplante.
Si è ritenuto utile a questo fine avvicinare lo scenario articolato del “progetto locale” ad una
meditazione sul tema della comunità che, anziché la sua natura di “opera” da costruire e realizzare, sottolinei il suo carattere - precedente ad ogni diritto o decisione razionale - di «essere-in-comune», proprio dell’«essere-al-mondo» heideggeriano come della co-esistenza dell’«essere plurale singolare» di cui scrive J.L. Nancy. Essere all’altezza di questo pensiero della comunità vuol dire rispettare quell’essere-in-relazione che ci rivolge inevitabilmente e sempre all’altro-da-noi stessi, e quindi ad una differenza consustanziale all’evento del nostro «con-essere». Ridiscutere e valorizzare in questo contesto alcuni concetti come “limite”, “misura” e “confine” - configurando un pensiero “finito” che non prescinda e anzi assuma in pieno la dimensione di finitudine dell’esistenza, restituendo dignità e autonomia alle cose e al dato sensibile, e che dal corpo materiale del mondo tragga una prassi all’altezza del carattere eventuale del nostro «essere-gettati» in un mondo in comune - può divenire inoltre la via che porti ad emendare il sottofondo teoretico della proposta operativa del “nuovo municipio” da ogni riferimento ad una dimensione astratta e ideal-tipica che, nel rimando ad una raffigurazione utopica, comporterebbe la ricaduta nel medesimo errore proprio dei criteri alla base della pianificazione imperante, cioè l’uniformazione, l’omologazione e il mancato rispetto della Differenza.
Se l’arroganza tipica dell’uomo faustiano ci spinge a pensare che il destino del pianeta
coincida con quello degli umani - mentre invece di sicuro, anche se non è dato sapere di quanto tempo avrà bisogno per recuperare i danni che le arrechiamo, la t/Terra ristabilirà senz’altro un suo equilibrio geologico e cosmico -, la riappropriazione di strumenti concettuali e operativi al contempo nuovi e antichissimi si pone come un interrogativo di senso inderogabile. Non si intende con questo riproporre alcun ritorno ad una ipotetica “età dell’oro”, ma non è possibile non notare come l’epoca moderna (e quella postmoderna che, al di là dei proclami e delle intenzioni dichiarate, si pone con essa in piena continuità sostanziale) metta in pericolo il legame materno con l’elemento terrestre. Non è possibile ritornare al passato, né rivolgersi ad un futuro ipotetico ed utopico; quel che invece va utilmente messo alla prova è un pensiero in grado di riattualizzare un’appropriatezza capace di promuovere le potenzialità insite nella dimensione locale dell’abitare.

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