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Il pensiero cinese, una realtà che viene da lontano

di Umberto Bianchi - 11/03/2011

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A guardarla, oggidì la Cina ci richiama alla mente una nozione di strano esotismo, frammisto all’immagine di un paese in perenne transizione tra arretratezza e modernità, manodopera a basso costo, liberismo economico e repressione poliziesca da stato sovietico dei periodi più ruggenti.
Ma, a ben vedere, questa è un’immagine troppo spesso frutto di un quanto mai superficiale e raffazzonato colpo d’occhio su quella che è una realtà che porta in sé una plurisecolare stratificazione culturale di pensiero, che nulla ha da invidiare alla tradizione culturale occidentale ed europea. Anche qui, la genesi del pensiero filosofico viene fatta risalire più o meno attorno al V-VI secolo AC che, a dirla con K. Jaspers, rappresenta la fase aurorale della nascita del pensiero critico in un po’ tutte le civiltà del mondo, da quella greca con i presocratici ed alfine Parmenide, alla civiltà Indù con le Upanishad, sino appunto alla Cina con l’arrivo di Confucio e Lu Tzu.
In Cina è un momento travagliato caratterizzato dalla presenza di vari staterelli principeschi in continua lotta tra loro. Un momento in cui la società cinese, nel suo insieme, avverte con forza la necessità di un pensiero in grado di offrire quell’ordine e quelle certezze che, da sola, la religione, sembra non esser più in grado di garantire. E’ in questo substrato che vede dunque la luce il pensiero di Confucio, funzionario, consigliere, precettore di principi ma anche di generazioni a venire di zelanti funzionari di stato, studenti alle prime armi, intellettuali e cultori del puro pensiero, tutti rigorosamente destinati ad essere inquadrati in un contesto caratterizzato da una forte etica sociale, quale quello rappresentato da questa filosofia, assolutamente improntata alla promozione dell’individuo all’interno della comunità, all’insegna della massima concretezza, ma senza mai dimenticare quella sfera del divino, le cui rigorose adempienze rituali rappresentano il momento centrale.
La concretezza confuciana, è talora stata scambiata per una forma di arido ed agnostico formalismo, quasi un’edizione ante litteram di quel laicismo illuminista che qualcuno sente il bisogno di attagliar anche a civiltà altre da quella occidentale. Ma, per sua fortuna, Confucio ragionava da cinese ed in tal modo dette origine ad un filone di pensiero la cui eredità sarebbe arrivata a tutt’oggi, sicuramente adulterata da un cammino plurisecolare, ma in grado di influenzare comunque il modus vivendi tra individuo e comunità.
La fortuna postuma del pensiero confuciano, determinerà l’elevazione di quest’ultimo ad un ruolo di semidio (o profeta, sarebbe forse meglio dire, sic!), all’interno del già numeroso pantheon cinese, di cui il grande maestro fu prudente cultore. Non si può parlare di Confucio senza menzionare colui che ne rappresenta lo speculare alter ego, in totale opposizione, ovvero Lu Tzu. Questo grande maestro del pensiero cinese sembra esser ossessionato dall’idea del Tao, cioè di quel qualcosa che rappresenta la sostanza onnipresente delle cose. Quel qualcosa di cui tutto e nulla può esser detto; che è eppure non è; che è accanto a noi ma si situa al contempo a distanze siderali dalla nostro essere di ogni giorno. Il Tao non può non richiamarci alla parmenidea intuizione di Essere, a quella silenziosa ragione a base d’ogni cosa, la cui sola pronunzia verbale ha determinato l’anima di una civiltà, come quella occidentale.
Tao ci riporta ad una concezione d’insieme, olistica, della realtà, da cui tutto parte ed a cui tutto ritorna, in un continuo ed insensato alternarsi, la cui unica certezza è rappresentata dall’esistenza di lui, l’ineffabile, il Tao. Lu Tzu è assialmente (e temporalmente) collegato a Parmenide, non meno di quanto non lo sia all’idea della Mokti, o “liberazione”, indù, al Brahman-Nirvana buddhista, all’Uno di Plotino, ma anche all’Essere di Meister Eckhart o anche al Deus sive natura di Spinoza, ed a tanti altri ancora. Compito dell’uomo è dunque la propria identificazione con questa “mathesis universalis” attraverso un’azione che non sia azione, che porti cioè a farne coincidere le modalità espressive con quelle dell’Essere stesso, che sia perciò stesso Wu Wei “agire senza agire”. Un agire dettato dai principi dell’intuitività e della concretezza, di contro al raziocinante nozionismo confuciano. Un agire che impone al monarca la propria “non azione” affinché tutto possa procedere in virtù dello spontaneo divenire della società e di uno stato, di cui costui rappresenta la immobile ragion d’essere, la fonte di comando dalla cui immobile quiete tutto promana. Taoismo e confucianesimo andranno così lasciando una profonda influenza sul pensiero cinese nei secoli a venire, talora mutando e adeguando le proprie coordinate di pensiero, in conformità con quelle che saranno le istanze del momento.
E così, successivamente alla morte del proprio grande maestro, il confucianesimo conoscerà un’ ala “sinistra” ed un’ala “destra”, ambedue rappresentanti due differenti impostazioni: Meng Tzu fautore di un’etica tutta imperniata su una introspezione psicologica dell’individuo, Sun Tzu invece attento ad un’etica legata all’io guerriero, a quell’ “arte della guerra” che sarà poi il titolo dell’opera magna di questo autore. Lo stesso taoismo andrà assumendo connotazioni misteriosofiche, allorquando verrà in contatto con il pensiero naturalista rappresentato dagli scritti dell’ “I Ching”, il principale testo oracolare cinese, le cui origini vengono fatte risalire alla notte dei tempi, agli inizi della storia delle dinastie imperiali cinesi. Un testo che, in tempi recenti fu studiato e commentato dal grande psicanalista svizzero C.G.Jung che seppe rintracciare e riconnettere gli elementi che all’interno di questo testo riconducevano alla sfera dell’inconscio.
Un testo che, per l’appunto, incontrandosi con il Taoismo, darà luogo alla variante “alchemica” di quest’ultimo, tutta protesa a realizzare l’immortalità fisica dell’uomo attraverso, appunto, l’antica arte dell’alchimia. Maggiori esponenti della scuola del cosiddetto taoismo alchemico saranno Huai Nan Tzu e Lieh Tzu. Ma il pensiero sinico sarà altresì in grado di mostrare una sua peculiare duttilità e raffinatezza, attraverso l’elaborazione di una sintesi di pensiero tra confucianesimo e taoismo, attraverso Yang Hsiung, senza dimenticarsi di passare attraverso una fase scettica con Wang Chung o una più dialettica con Hui Shih e Kun Sun Lung.
L’arrivo del buddhismo, altri non farà che arricchire l’impostazione taoista in direzione di quel concetto di “vuoto” interiore, di distacco dal mondo sino a quel momento estraneo all’etica filosofica cinese. A partire da un certo momento il pensiero cinese verrà così assumendo una valenza triadica, di cui confucianesimo, taoismo e buddhismo rappresenteranno le principali coordinate. Dal 19esimo secolo in poi, la Cina inizierà il proprio graduale avvicinamento ai canoni di pensiero occidentali. Alcuni filosofi come K’Ang yu Wei ed altri avranno un approccio quasi deferenziale all’occidente, tentando di adeguare gli stilemi del pensiero sinico a quelli occidentali. Ma sarà con Mao Tze Tung che il pensiero cinese opererà un vero e proprio salto di qualità. In lui marxismo e taoismo operano una sintesi originale.
La Storia e le idee sono un unicum senza soluzione di continuità, alla cui base stanno le masse viste come un unico e massiccio corpo mobile. Le idee però non possono essere soggette a quella legge di platonica immutabilità a cui le si vorrebbero astringere. Mao afferma la fluidità dell’Essere della realtà totale di quel Tao, il cui aspetto muta con il dissennato correre del tempo, cosicché la stessa ideologia marxista ed i suoi presupposti sono destinati al mutamento e ad un graduale stravolgimento.
A ben vedere, la sintesi maoista, nella sua totale eterodossia rispetto al pensiero marxista classico di cui stravolge l’immutabilità concettuale, prefigura e prepara in estrema coerenza le future evoluzioni del sistema politico cinese. Da un esasperato collettivismo, venato da un culto della personalità che ha rasentato la divinizzazione della figura del Grande Timoniere, si passerà via via ad uno stato a dirigenza socialista, il cui modello economico sarà invece ispirato all’iperliberismo economico, in coerenza con quei canoni autoritari che rappresentano una deviazione dal confucianesimo, e di cui nell’antichità si fecero interpreti i filosofi della scuola legista. Possiamo quindi concludere che, il modello cinese, ben lungi dal rappresentare una scopiazzatura dell’Occidente è una coerente applicazione e riproposizione delle coordinate principali di un pensiero che, a partire da Confucio, non ha mai smesso di conoscere continui sviluppi e riadattamenti.
In coerenza con quanto qui affermato, di fronte al momento di forte espansionismo economico cinese ed a tutti i timori sollevati, la cautela è d’obbligo. Nei lunghi millenni della propria storia, il colosso asiatico non ha mai travalicato i propri immensi confini salvo poi subire delle notevoli contrazioni. L’iniziale espansionismo mongolo incardinatosi nel sistema imperiale cinese, produrrà un’implosione che si protrarrà per secoli, sino praticamente ai nostri giorni. La Storia di un popolo ed il suo pensiero, debbono a questo punto, offrirci dei fondamentali spunti di pensiero, in grado di allontanarci dalla tentazioni di quanto mai affrettate e superficiali conclusioni di qualsiasi ordine e tipo.