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L’opera irreligiosa e antiumanistica della Tecnica produce alienazione e impoverimento morale

di Francesco Lamendola - 18/03/2011


La vulgata del Pensiero Unico scientista ci ha pressoché abituati a considerare Cartesio come il padre del razionalismo moderno; e tale interpretazione è comunemente accettata anche e persino da coloro i quali non giudicano positivamente gli sviluppi del pensiero filosofico successivi a quella svolta, a quel cambio di paradigma.
Forse, però, sarebbe molto più giusto vedere in Cartesio il padre del tecnicismo, quanto e più di Francesco Bacone: è con lui, infatti, che il pensiero europeo imbocca la strada che lo poterà, rapidissimamente, a identificare il dato quantitativo con la verità tout-court e a guardare al reale, particolarmente al mondo della natura, con l’occhio freddo, pragmatico, calcolatore, della tecnica e non più con l’occhio caldo, stupito, riconoscente del passato, Umanesimo e Rinascimento compresi.
In fondo, a ben guardare, Cartesio non si limita ad imporre la matematica come il solo criterio d’interpretazione della realtà: qualcosa del genere lo aveva fatto anche Galilei; egli esclude programmaticamente dal campo dei valori tutto ciò che non è pensiero, da lui interpretato esclusivamente come Logos strumentale e calcolante, vale a dire tutto il mondo della natura e, per estensione, anche quello sovrannaturale, pur se non ha il coraggio concettuale, o quello pratico, di esplicitare le premesse materialistiche ed atee della sua concezione.
L’occhio con cui Cartesio guarda il mondo è, pertanto, l’occhio del tecnico; e lo sguardo che ne scaturisce è uno sguardo senza amore, senza capacità di vedere la bellezza, privo di meraviglia e di gratitudine, ma soprattutto senza compassione.
Nemmeno Galilei, che pure guarda il mondo attraverso la lente del cannocchiale, e lo guarda con quel senso di superiorità (non solo verso il mondo, ma anche verso i suoi simili non “tecnici”) che gli deriva, appunto, dal sapersi depositario di un sapere tecnologico, non spinge il suo tecnicismo speculativo ai livelli di Cartesio, pur arrivandoci molto vicino.
Se Galilei non si perita di fare l’apologia della vivisezione sugli animali, come nella celebre “favola dei suoni” ne «Il Saggiatore», Cartesio arriva a sostenere che un cane, percosso con un bastone, guaisce sì, ma non di dolore, perché, essendo null’altro che una “macchina”, non può provare alcun dolore: i suoni che emettere sono paragonabili in tutto e per tutto a quelli di un tavolo di legno percosso con la mano.
Cartesio, pertanto, con l’aver innalzato le “idee chiare e distinte” al rango di unico contenuto della conoscenza degno di essere preso in considerazione, aveva di fatto creato le condizioni perché tutto ciò che, alla coscienza, non si rivela per via logico-matematica, venisse riguardato necessariamente come un sapere di serie B o, peggio, come un non-sapere; sino al furore iconoclasta del falso-mite Hume, un anticristiano radicale travestito da scettico, il quale auspica il rogo di tutti i libri delle biblioteche i quali non parlano il linguaggio della scienza, nella «Ricerca sull'intelletto umano» (titolo originale: «An Enquiry concerning Human Understanding», 1748; traduzione italiana di Mario Dal Pra, Laterza Editore, Roma, 1957, 1996, pp.  261:

«Quando scorriamo i libri di una biblioteca, persuasi di questi principi, che cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica scolastica, domandiamoci: Contiene qualche ragionamento astratto sulla quantità e sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatti e di esistenza? No. E allora, gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che sofisticherie e inganni.»

Ne abbiamo già parlato in apposita sede (cfr. il nostro articolo «Lo scientismo intollerante della filosofia di Hume come rogo non metaforico dell’uomo spirituale», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 12/10/2008»), per cui non insisteremo oltre su questo punto.
Ci basta aver delineato lo scenario generale di quella rivoluzione di paradigma che ha condotto l’Europa dalla religione all’irreligione, dal senso del sacro al secolarismo esasperato della modernità, caratterizzato addirittura da un «orrore del sacro» il quale, tanto per fare un esempio, ha indotto i politici e gli intellettuali odierni ad espungere qualsiasi riferimento alle radici cristiane dell’Europa nei documenti ufficiali dell’Unione europea; o che, se si vuol farne un altro, ha reso impossibile al teologo Ratzinger (col quale, beninteso, si può essere d’accordo oppure no) di parlare all’Università La Sapienza di Roma.
Il Rinascimento prepara la Rivoluzione scientifica, anche se non tutta la cultura rinascimentale va nella direzione del materialismo e dell’irreligiosità; così come quest’ultima prepara l’Illuminismo, anche se non tutto, in essa, è permeato di spirito laicista e secolarista; e, a sua volta, l’Illuminismo spiana la strada all’ateismo dichiarato e allo spirito violentemente anticristiano che, dal 1793 in avanti, passando per il 1848 di Marx e per il 1917 di Lenin, si scatena apertamente in Europa nel XIX e nel XX secolo, anche se non tutto, nell’Illuminismo, è intimamente ateo e anticristiano: come non lo è, ad esempio, il vago ed innocuo deismo di Rousseau e di Robespierre.
Così, per tappe successive, con alcune pause che precedono un nuovo assalto, ma nel complesso con forza ognora crescente, le idee irreligiose riprese nel Rinascimento dalla cultura pagana, acquistano vigore e diffusione e, con la mediazione del laicismo di Hume e, poi, del libertinismo nel XVII secolo, indi con quella della “tolleranza” a senso unico del Secolo dei Lumi («Ecrasez l’infame!», strepitava Voltaire senza troppi giri di parole), giungono a spazzare via gran parte del substrato religioso del nostro continente e a creare le condizioni per quella radicale negazione dell’autentico senso della trascendenza, che culmina nei totalitarismi del XX secolo, ivi compreso quello odierno, di marca liberaldemocratica e consumista.
Scriveva il sociologo Sabino S. Acquaviava nel suo ormai classico libro «L’eclissi del sacro nella civiltà industriale» (Milano, Edizioni di Comunità, 1966, pp.173-76):

«L’Umanesimo è sollecitato, nel suo sorgere, dai primi sintomi dell’irreligione, ed insieme la favorisce.
Osserva il Toffanin: “Se dunque l’irreligione del Rinascimento dipende dalla rinascita del paganesimo, paganesimo e irreligione non ci mettono molto a diventare una cosa sola, un unico bello ed orribile mostro snodantesi per le vie ampie del Quattrocento verso la foce del laicismo illuminista e moderno” (G. Toffanin, “storia dell’Umanesimo, 1933, p. 133). […]
Il fatto è che l’irreligione servitasi dell’Umanesimo per penetrare nella cittadella cristiana, l’abbandona ben presto, per montare volta a volta sempre nuovi focosi destrieri, ché  col tramontare delle correnti e delle idee, la costante irreligiosa ingigantisce e si irrobustisce nei secoli, prodotto, più che di idee e di uomini, di componenti sociali complessamente  e variamente articolantisi, che vanno esprimendo dal loro seno gli uomini d cui, in un certo senso, hanno bisogno.
Tale pullulare di studiosi, di tecnici, di mentalità nuove, sfocerà poi in Cartesio, pensatore laico ed irreligioso pur nella sua formale ortodossia. L’opera antiumanistica della tecnica (considerando app unto l’umanesimo arroccato su posizioni religiose, rispetto e a paragone delle nuove idee), si svolge quindi in profondità nel lungo itinerare di questi secoli e, operando dapprima in sordina, sfocia alla fine in filosofie  laiche, almeno di fatto.
La tecnica ha insomma contribuito a corrompere, pur lentamente,  la componente religiosa, iniziando la sua opera fra gli uomini che ne vivevano a diretto contatto, ed ha contemporaneamente proposto nuovi valori logici ed epistemologici, sfruttati poi in funzione laicizzante dai pensatori successivi a quelli del periodo ora considerato: Cartesio sarà soltanto uno fra i demolitori del pensiero classico-medievale-rinascimentale con il suo positivismo scientifico e, diciamolo pure, tecnicismo.
Infatti, la maggioranza degli studiosi interessati alle scienze fisiche tendeva ormai, più o meno secondo i casi, a identificare , nel corso delle sue ricerche, il quantitativo con il reale e il qualitativo con l’irreale. Diceva, ad esempio, Keplero: “Come l’occhio è fatto per percepire il colore, così la mente dell’uomo è fata per comprendere, non tutte le cose diverse, ma la quantità. Essa percepisce ogni cosa data, tanto più chiaramente quanto quella cosa è originariamente vicina alle quantità pure, ma più una cosa  si allontana dalle quantità e più in essa entrano oscurità ed errore”. Naturalmente, il problema dell’adeguamento del mondo delle idea crescente sviluppo tecnico-scientifico si pose ESPLICITAMENTE soltanto DOPO che queste idee avevano incominciato ad influire sul pensiero umano. A questo proposito il Veit osserva che “Così fu posta, fin dall’inizio, la domanda se sia possibile coordinare la tecnica in una concezione del mondo, ma questa domanda determina solo in modo inconscio e indiretto le correnti spirituali della prima metà del secolo. La sola cosa di cui allora tutti si resero conto fu il disagio provocato dal fatto che le fondamenta del mondo erano mutate, mentre erano rimaste identiche le basi dell’osservazione spirituale di quel mondo. I pensatori dell’epoca dei lumi non sentirono ancora questo tragico dissidio: per essi, il mondo esterno erra ancora in pace,  e alla ragione si offriva un quadro, una “concezione”, fidata e afferrabile. Non s’accorsero che essi medesimi, valorizzando la ragione, creavano la premessa di una nuova potenza, destinata a svuotare e distruggere quel mondo pacifico e afferrabile
Soltanto più avanti si cominciò a percepire la connessione logica ed epistemologica fra le distinte sfere  delle idee e della tecnica. […]
Anche se non si è ancora giunti al radicalismo materialistico dell’800 e delle dottrine socialiste e marxiste, fin da questo secolo, come d’altronde nel precedente, si vengono tuttavia formando  dei nuclei ambientati in aree urbane, che possono definirsi “anticristiani”. I più forti di tali nuclei sorgono, fra l’altro, in Olanda, area di grandi traffici, di incontro di idee e mondi culturali diversi. Con la scusa della lotta al cattolicesimo una serie di pubblicazioni antideiste ed anticristiane si era andata diffondendo un po’ dovunque in Olanda, da Amsterdam, a Leida, all’Aia, a Harlem a Nimega, e via dicendo. Di qui le correnti irreligiose si errano diffuse in Inghilterra e negli ambienti intellettuali.»

Naturalmente, la marcia trionfale della “ragione” e delle “idee chiare e distinte” contro le “superstizioni” e “l’oscurantismo” religioso può essere valutata da differenti punti di vista; e ciascuno è libero di trarne le conclusioni che ritiene opportune.
Una cosa, crediamo, non dovrebbe essere lecita: presentare tutto ciò come frutto del caso o, magari, di una “naturale” evoluzione.
Bisogna essere ciechi per non vedere che, dietro quella marcia vittoriosa, si nascondono forze potenti ed occulte: forze economiche e finanziarie, forze politiche e culturali, le quali, dietro il pretesto di combattere il fanatismo religioso e di separare la sfera della politica da quella della fede, miravano e mirano - perché esse sono tuttora ben vive e operanti, più di quello che non s’immagini - a distruggere non solo la presa del cristianesimo nella coscienza degli Europei, ma il sentimento religioso in quanto tale dall’anima del mondo.
La politica ufficiale di ateismo in Cina, ad esempio, attuata scientemente dai dirigenti comunisti dopo il 1949, va esattamente nella stessa direzione: anche lì, insegnando che il confucianesimo equivale a un abietto servilismo verso la tradizione feudale, e che il taoismo è il segno di un torpido rifugiarsi nella sfera individualistica ed un voltare le spalle ai grandi problemi sociali, si è perseguita e, in gran parte, realizzata la stessa operazione che è stata portata avanti, in Europa, contro il cristianesimo: quella di scalzare le radici religiose dall’anima delle persone e di predisporle, così, a trovarsi spiritualmente esposte e indifese davanti alla selvaggia manipolazione operata dalla Tecnoscienza, posta al servizio di un disegno di dominio mondiale.
A noi sembra evidente che è in atto un processo di alienazione e di impoverimento morale e che esso è stato grandemente facilitato dallo sradicamento del sacro dalla coscienza degli individui.
Esagerazioni, forzature, paranoie complottiste di chi non ama la civiltà moderna?
Forse: staremo a vedere.  Il pericolo è che quando incominceremo a capire, ormai sarà troppo tardi.