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Biocapitalismo e società pubblicitaria

di Vanni Codeluppi - 25/03/2011


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Continuiamo con questa intervista al sociologo Vanni Codeluppi una serie di microindagini sulle idee per la Transizione, piccole introduzioni a pensieri che potrebbero accompagnarci a lungo, ora che non vogliamo attardarci con gli schemi del XX secolo: la solita destra-sinistra, le isole culturali incomunicanti, gli scontri di civiltà, il mercato delle idee funzionale alle ideologie dell'accumulazione, sullo sfondo delle possibilità autodistruttive della nostra specie. Conosceremo invece menti creative, libri davvero originali, pensieri diversi. Forse conosceremo soluzioni ai problemi generati da un cambiamento difficile.

1) Lei, professore, ha parlato di biocapitalismo per descrivere la graduale penetrazione della logica del profitto in ogni ambito della vita umana. Quale ruolo pensa abbia giocato, in questo processo, l’immaginario pubblicitario?

La pubblicità non è soltanto una tecnica di comunicazione, ma è stata in grado di creare uno specifico modello culturale. Un modello che svolge un ruolo fondamentale all’interno delle attuali società consumistiche, in quanto qualsiasi oggetto sociale, per avere successo, ha un bisogno indispensabile di comunicare al meglio se vuole mantenere elevato il suo livello di attenzione. Oggi pertanto, i meccanismi di funzionamento della pubblicità e della società sono diventati molto simili, al punto che possiamo parlare dell’esistenza di una vera e propria “società pubblicitaria”. E ciò che essi hanno in comune è la possibilità di utilizzare uno strumento efficace come la marca, costruendo cioè per qualsiasi soggetto una specifica identità di marca e accettando di conseguenza una logica aziendale e di mercato. Il che non impedisce però che la pubblicità possa anche essere impiegata per campagne di tipo sociale e per promuovere valori positivi sul piano etico.

 

2) Il sistema delle telecomunicazioni è potentemente influenzato dai grandi gruppi finanziari e produce, ormai da decenni, un flusso comunicativo omogeneo e manipolatorio. Esiste una strada per interromperlo e sostituirlo con qualche cosa che sia pluralista e democratico?

L’unico strumento è, come sempre, quello dell’aggregazione. Quello cioè della creazione di movimenti e gruppi sociali che possiedano una coscienza della propria forza e che vogliano mobilitarsi per contrastare queste tendenze sociali. Possiamo pensare ad esempio, nell’ambito dei consumi, a fenomeni come il Commercio equo e solidale o i Gruppi di acquisto solidale. Oppure, nel campo della pubblicità, a gruppi come quello che ha dato vita ad Adbusters. Va considerato inoltre che se molte imprese oggi adottano comportamenti socialmente responsabili ciò dipende in larga parte dalla pressione che i consumatori divenuti consapevoli del loro ruolo sono in grado di esercitare.

3) Nella società dello spettacolo lei ritiene sia ancora pensabile una costruzione alternativa dell’immaginario che passi proprio per la televisione e per internet? Come usare “le loro armi” per innalzare il livello culturale di milioni di persone invece di abbassarlo drasticamente?

Certamente sì, come testimoniano gli esempi che ho appena citato e numerosi altri. Il problema è il peso sociale che queste forme alternative ai modelli dominanti riescono ad ottenere. Solitamente infatti l’influenza che sono in grado di esercitare è modesta. Ma gli strumenti tecnici esistono, dalle televisioni di quartiere ai blog. Si tratta di farne crescere l’influenza impiegandoli come strumenti di aggregazione sociale e di sviluppo della consapevolezza collettiva.

 

4) Quali limiti ed opportunità intravede nell’educazione ai media?

L’educazione ai media, se correttamente utilizzata, contiene delle grandi possibilità per la crescita della coscienza collettiva rispetto all’influenza esercitata dai media. Il problema è che oggi non ci si preoccupa di cercare di insegnare alle persone a difendersi dall’invasione dei messaggi che subiscono. Anche a scuola, l’ambito educativo più importante della società, raramente si tenta di educare i giovani a smontare gli annunci pubblicitari per individuare i significati che essi esprimono. Eppure, poter svolgere questa attività è fondamentale per gli individui, se si vuole che questi siano degli attivi protagonisti della realtà in cui vivono e non dei passivi fruitori.

 

5) Ci dia la sua opinione spassionata sulla Rete e sulle reali possibilità di cambiamento offerte da Internet.

Credo che la Rete, come tutti gli strumenti, possa essere impiegata positivamente o negativamente. Oggi sicuramente siamo ben lontani dal poterla considerare uno strumento di emancipazione degli esseri umani, come spesso si tende a sostenere. Uno strumento cioè in grado di consentire ai singoli una piena libertà espressiva e alla collettività di sperimentare nuove forme di democrazia e socialità. Internet, insomma, rappresenta oggi una realtà dove dal punto di vista economico prevale chiaramente un modello di tipo capitalistico e basato sul mercato. Ciò non toglie che la Rete possa offrire dei grandi spazi per lo sviluppo della coscienza delle persone rispetto all’influenza che la Rete stessa esercita su di loro e anche, più in generale, per poter praticare un’efficace politica di educazione ai media.

 

Vanni Codeluppi è Sociologo e insegna Sociologia dei consumi e Comunicazione pubblicitaria alla Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell'Economia nell'Università di Modena e Reggio Emilia.
Ha pubblicato numerosi libri, tra i quali ricordiamo: "Il potere del consumo" (Bollati Boringhieri, 2003), "La vetrinizziazione sociale" (Bollati Boringhieri, 2007), "Il biocapitalismo" (Bollati Boringhieri, 2008), "Persuasi e felici? Come interpretare i messaggi della pubblicità" (Carocci, 2010).
Fa parte del Consiglio Scientifico di Alternativa, il laboratorio politico-culturale fondato da Giulietto Chiesa.
a cura della Redazione di Megachip.