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La medicina della quantità

di Paolo Costa - 04/04/2011

 




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Recentemente, verso la fine di gennaio, molti giornali italiani hanno dato spazio ad un evento significativo per il nostro paese, ossia il fatto che un ricercatore italiano ha vinto il premio Pezcoller 2011, un premio internazionale per la ricerca medica di grande prestigio, che spesso consiste in un'anticipazione del Nobel. Particolarmente interessante un'intervista, uscita su Repubblica, al vincitore, direttore di un laboratorio di ricerca dell'università americana di Harvard. I toni ovviamente sono trionfalistici ed esprimono entusiasmo per il ricercatore romano, dato che -testuali parole dell'articolo- "grazie alle sue ricerche, oggi la cura per questa malattia ormai epidemica è più vicina".
A parte che la frase "la cura è ormai vicina" ha tutta l'aria di essere l'ennesima presa in giro verso i tanti, troppi malati che aspettano fiduciosi di uscire dall'incubo; resta il fatto che nell'intervista non si parla d'altro che, ovviamente, di farmaci. Farmaci "intelligenti", come vengono definiti nell'articolo, mirati sulla mappatura genetica del paziente, perchè secondo il ricercatore, una volta fatta la diagnosi e mappato il DNA del malato, sarà un gioco da ragazzi scegliere il farmaco giusto (o il cocktail) in modo da andare sul sicuro ed evitare di perdere tempo.
Tutto bene, ma noi ci domandiamo: il paziente riuscirà a guarire definitivamente? Ecco, qui viene il bello dell'intervista. Alla domanda "Non si rischia di avere farmaci eccessivamente cari, sia in termini economici sia di lavoro?" arriva la perla che rivela tutto. "Un chemioterapico costa moltissimo ma, se il malato muore, avrà avuto un utilizzo limitato al periodo della cura. Se invece si ricorre a una terapia personalizzata dopo la diagnosi, si salva il paziente e quel prodotto si usa per trent'anni. Per cui lo sforzo delle case farmaceutiche verrà ricompensato".
Il sospetto è grande. Da una parte la paura, come detto, che questo ennesimo discorso trionfalistico possa aprire false speranze in chi soffre di questa malattia terribile (dato che sono anni che i mass media annunciano vicina la cura per tumori e leucemie grazie alle scoperte genetiche, ma di concreto finora si è visto davvero poco). Ma soprattutto la consapevolezza che le motivazioni che stanno dietro a questi sforzi abbiano poco a che vedere con la salvaguardia della salute, ma siano per lo più finalizzate ai profitti delle case farmaceutiche e alle carriere di scienziati e ricercatori.
Casualmente -questi complottisti sono sempre molto, troppo sospettosi!- le cure per queste malattie degenerative non sono mai definitive, e di solito questi farmaci sono difficili da interrompere. E chissà poi perchè, le medicine sono sempre da assumere per lunghi periodi di tempo, spesso per tutta la vita, e solitamente hanno tali e tanti effetti collaterali che capita che se ne debba prendere qualcun'altra per mitigarli, e via andare con un processo circolare senza fine (a parte la morte, liberatoria). Non ci vuole una mente sospettosa per rendersi conto che se oggi uscisse qualcuno con la Cura Definitiva -sia un farmaco o a maggior ragione uno stile di vita salutare- essa verrebbe immediatamente isolata, derisa, delegittimata e alla fine eliminata. Non si può rompere il giocattolo, è troppo bello!
Naturalmente non manca nell'intervista un accenno al mito della diagnosi precoce: "Ma non bisogna trascurare il ruolo della prevenzione, che però in Italia si fa con scarso impegno. Prevenzione a tappeto, diagnosi precoce, sequenza del Dna e terapia mirata, è una strategia che riduce i costi e gli sprechi". Scarso impegno, aggiungiamo noi, che significa pochi soldi da spendere per gli screening di massa, che non è detto poi che portino solo vantaggi: l'unica cosa certa intanto è che ci privano della dignità di persone e ci fanno diventare improvvisamente pazienti anche quando siamo sani. "Guarirne uno per curarne cento" è il grido di battaglia dell'industria farmaceutica e lo scopo finale delle cosiddette prevenzioni a tappeto, di cui molti studi statistici hanno ormai provato l'inefficacia: quando si fa lo screening per scovare un disturbo che ha un'incidenza modesta generalmente il numero di persone vittime di diagnosi eccessive e di risultati dei test errati supera abbondantemente le persone a cui lo screening salva la vita.
La verità, triste, amara, terribile, è che per la medicina moderna la vita umana ha completamente perso il suo valore. Ci ricattano con la bufala della durata media della vita sempre in aumento, a testimoniare i successi strepitosi della ricerca medica, ma queste statistiche truffaldine evitano di dirci in che condizioni arriviamo alla soglia degli ottant'anni. Non importà più la qualità, conta solo la quantità. Non importa se finiamo i nostri giorni in un ospizio o in un ospedale, completamente non autosufficienti, privati degli affetti più cari, dementi e ridicoli tanto che i nostri figli si vergognano di noi. L'importante è essere vivi e poter giustificare le prescrizioni del medico curante.