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Sul cammino della consapevolezza spirituale: sesta tappa, il Mago

di Francesco Lamendola - 11/04/2011




Con la trasformazione dell’Orfano in Viandante e di questi nel Guerriero, nel Martire e infine nel Mago (o Sciamano) si conclude il ciclo ideale delle tappe della consapevolezza spirituale e si torna, ma su un più elevato piano di coscienza, al punto da cui l’intero movimento aveva preso inizio, ossia dallo stadio dell’Innocente.
Non tutti i Viandanti imparano a diventare Guerrieri, né a sacrificarsi come Martiri; e non tutti i Viandanti, ma solo una piccola, una piccolissima minoranza, apprendono il segreto per diventare dei Maghi, acquisendo il potere di trasformare il veleno in medicina e di divenire più forti sotto i colpi di circostanze che, negli altri, provocano debolezza e scoraggiamento.
Lo stadio del Mago è più di una semplice tappa, come le altre: è il coronamento supremo dell’intera evoluzione spirituale, la realizzazione dell’Opera alchemica e corrisponde a una trasfigurazione qualitativa, diremmo ontologica, del soggetto, che, in un certo senso, riesce a piegare ed invertire le normali leggi dell’esistenza, estraendo e distillando virtù quasi miracolose dal calice amaro della sofferenza e dell’impotenza.
Il Mago, pertanto, è colui che riesce a realizzare in se stesso la più ardua e straordinaria operazione alchemica che sia dato immaginare: scendere sino al fondo di ciò che è doloroso, debilitante, ingrato, e risalirne vivificato, rinvigorito e reso tranquillamente impavido ed armoniosamente equilibrato.
Pochi ci provano, non tutti ci riescono; la maggior parte degli esseri umani vive la propria intera esistenza senza nemmeno sospettare che vi sia una tale possibilità, senza neppure avvicinarsi alle soglie di un mistero così affascinante.
Alcuni, per riuscirci, si affidano alla guida di un Maestro spirituale: vanno in cerca di un maestro, così come si va al supermercato in cerca di una particolare marca di confettura di frutta o di olio d’oliva; mentre l’autentico Maestro è colui che si sceglie personalmente i propri discepoli e nulla domanda loro in compenso dei suoi insegnamenti, tanto meno del denaro.
Ma l’arte del Mago non può essere insegnata e non può essere imparata, per il semplice fatto che si tratta di imparare da se stessi, dai propri errori, dalle proprie cadute e non dalle esperienze di un altro, per quanto sublimi esse siano.
Nell’episodio di Simon Mago, narrato negli «Atti degli apostoli», si vede bene di che stoffa sia colui il quale crede di poter acquisire poteri magici pagandoli in moneta sonante, e a quali esiti conduca una simile pretesa.
Nella cultura occidentale la figura del Mago non gode di una buona fama, e a ragione.  
Ciò dipende sia dai bassi intenti che muovono molti sedicenti maghi, sia dalla propensione di alcuni di essi a rivolgersi alle forze infere, facendosi strumento del Male: benché abbellita dal soffio della poesia e moralizzata dalle nobili intenzioni di Goethe, anche la storia del dottor Faust rientra in questa seconda categoria.
E allora diciamolo subito, a scanso di equivoci: in senso spirituale, l’archetipo del Mago non allude a quanti, mediante il possesso di determinate tecniche cerimoniali, riescono a piegare ai loro voleri le forze della natura, magari per nuocere al prossimo ed accrescere la loro ricchezza o soddisfare i loro bassi appetiti; bensì a chi impara a scavare a fondo entro se stesso, mettendo a nudo fin le pieghe più riposte, riuscendo così a pacificare le proprie contraddizioni e a trarre forza e saggezza dalle sue stesse cadute e dalle sue stesse difficoltà.
La figura del mago con la “m” minuscola è riccamente rappresentata nelle fiabe, nel folclore, nella letteratura e nel cinema; quella del Mago in senso spirituale, invece, assai meno, anche perché di per se stessa poco appariscente: a differenza del suo collega “profano”, l’autentico Mago non fa nulla per mettersi in mostra e non possiede nulla che lo contraddistingua, ad uno sguardo superficiale, da qualunque altro essere umano.
Essendo un individuo che ha imparato l’arte di lavorare a fondo su se stesso, senza temere né la solitudine, né il giudizio altrui, e ad andare sempre dritto per la propria strada, affrontando in silenzio i più grandi sacrifici, il Mago può passare facilmente inosservato agli occhi di coloro che non lo conoscono a fondo; anche se, generalmente, vi è qualcosa in lui, anche nelle circostanze più ordinarie, che incuriosisce e che suscita un certo interesse.
Difficile dire in che cosa consista la sottile attrattiva che emana dalla sua persona, dalla sua voce, dal suo sguardo; specialmente dal suo sguardo: è come se nei suoi occhi si riflettessero degli autentici abissi di profondità incommensurabile e, al tempo stesso, pare che in esso si rifletta qualcosa che egli ha visto da solo, in qualche lontanissima terra, in qualche continente sconosciuto alla maggior parte degli uomini.
Qualche volta egli stesso ama circondarsi di mistero e, così facendo, talvolta confonde la propria immagine con quella di un personaggio completamente diverso, il Ciarlatano, inutile venditore di parole esoteriche e di pretesi segreti, che egli distribuisce con narcisistico compiacimento, generalmente dietro un congruo compenso da parte dei discepoli.
Alcuni personaggi storici continuano ad interrogarci e a sfidarci, ambiguamente in bilico fra queste due possibilità: Maghi o Ciarlatani?
Paracelso, Nostradamus, Swedenborg, Cagliostro, Helena Blavatskij, Rasputin, Gurdjieff, Rudolf Steiner, appartengono tutti, pur essendo fra loro così diversi, a questa tipologia inquietante e, perché nasconderlo, alquanto irritante: cosa c’è di più irritante che confondere il giudizio altrui sino a questo punto?
E poi, diventa anche questione di valutazione personale: mentre ci sentiremmo di escludere decisamente dal novero dei Maghi figure come quella di Allan Kardec, per non parlare di sinistri personaggi come Aleister Crowley, restiamo incerti davanti ad altre figure, come quella di Krishnamurti o di Osho, presi fra opposti sentimenti e, specialmente nel caso del secondo, sconcertati dalle evidente distonia esistente fra la qualità ammirevole di certi insegnamenti e taluni comportamenti, assai poco coerenti con essi.
E che dire di quei pensatori che, pur non cercando esplicitamente di crearsi un discepolato, hanno sfiorato le verità spirituali più profonde, come Pietro Ubaldi, tuttora pochissimo conosciuto in Italia e nel mondo, tranne che in Brasile?
Alla fine, si scopre con disappunto che i Maghi sicuramente autentici sono pochi, pochissimi, almeno fra quelli noti al vasto pubblico: uomini, intendiamo, come Sri Aurobindo, così evoluto da influenzare il mondo, mentre se ne stava chiuso per una intera vita fra le mura di una casa; e talmente spirituale da impedire all’acquazzone tropicale di entrare dalla finestra aperta, mentre egli era immerso in meditazione o, seduto alla scrivania, componeva i suoi versi immortali.
Si sarebbe tentati, dunque, di pensare che i veri Maghi sono talmente rari, da potersi contare, per ogni generazione, sulle dita delle mani; ma chi può dirlo?
Chi può affermare con sicurezza che che non sono veri i racconti sulle misteriose confraternite dei Maestri spirituali, fisicamente o telepaticamente vicini gli uni agli altri, in modo da formare una catena ideale che sorregge le vacillanti sorti dell’umanità, anche nelle fasi storiche caratterizzate dai più pesanti influssi di tipo materiale?
Chi può dire con assoluta certezza che non hanno alcun fondamento i racconti relativi a Shambala e al Re del Mondo, raccolti da studiosi insigni come René Guénon; o alla confraternita di Saroung, che interessarono figure più controverse, come, appunto, quella di Gurdjieff?
D’altra parte, è certo che, se le energie spirituali non sono limitate al corpo fisico, ma circolano liberamente nello spazio e nel tempo, allora non vi è ragione per dubitare che quelle di tipo superiore agiscono in maniera solidale, per influenzare positivamente l’evoluzione dell’umanità.
Ma torniamo alla figura del Mago come punto di arrivo di un lungo ed intenso percorso spirituale verso la consapevolezza di sé, secondo l’antichissima esortazione del Tempio di Delfi: « Γνωθι σεαυτόν », ossia: «Conosci te stesso».
Il Mago è colui che porta a conclusione un lungo cammino e che non certo per caso giunge in vista della meta: mentre per caso, fino a un certo punto (almeno nel significato che si dà nel linguaggio comune a questa espressione), si può diventare dei Guerrieri o anche dei Martiri, nel senso che sia il combattimento, sia il sacrificio, possono presentarsi come appuntamenti fatali, ai quali un’anima limpida e coerente non può in alcun modo sottrarsi, per quanto, magari, lo possa intimamente desiderare.
Maghi, invece, non si diventa mai per caso: lo si diventa con il massimo della intenzionalità, della volontà, della perseveranza; e lo si diventa, se - beninteso - si riesce nell’ardua impresa, a dispetto delle circostanze  e non perché le circostanze ci sospingano, di per sé, in tale direzione.
Infatti, come abbiamo detto, il Mago è colui che scopre la formula alchemica per trasformare il male in bene, la disperazione in speranza, la sofferenza in serenità; e, quindi, colui che riesce a compiere una operazione che è l’esatto contrario di quanto la natura, spontaneamente, realizza: perché in natura il dolore è dolore e basta, non diventa affatto il suo contrario, se non grazie ad una prodigiosa capacità di introspezione, di sublimazione e di sintesi da parte del soggetto che lo sperimenta su di sé.
Ma, per tendere a un simile risultato, bisogna prima sottoporsi ad una prova estremamente severa, che va affrontata in perfetta solitudine: chiunque si metta per una simile via, deve superare i suoi quaranta giorni di ritiro nel deserto e lasciarsi tentare dal Diavolo, il Diavolo della disperazione, dell’angoscia, dell’incredulità.
Quando si è riusciti a fare veramente chiarezza in se stessi, strappandosi fin l’ultima maschera e guardandosi spassionatamente fino in fondo, allora ci si viene a trovare nelle condizioni di poter accedere all’illuminazione spirituale: un risveglio di tutta l’anima, una sua trasfigurazione luminosa, talvolta percepibile perfino mediante dei segni di natura fisica.
Ma una cosa è certa: l’illuminazione non giunge come risultato di una tecnica, di una applicazione, per quanto metodica e assidua, di determinate procedure teoriche; essa giunge quando meno la si aspetta e premia non chi crede di averne diritto, ma chi si ritiene ancora indegno di riceverla.
E già questo basterebbe a far riconoscere come Imposti e Ciarlatani la maggior parte di coloro i quali vantano di aver raggiunto la condizione di Maghi e che offrono ad altri, generalmente a scopo venale, le loro pretese capacità.
Dicevamo che il Mago è colui che riesce a chiudere il cerchio dell’evoluzione spirituale e che ritorna vittoriosamente, dopo aver sostenuto molte lotte e traversie, al punto iniziale, ossia allo stadio dell’Innocente.
Ma la sua innocenza è di un genere ben diverso da quella di colui che non ha mai dovuto vivere il dramma della Caduta, che non è mai stato Orfano, che non ha mai dovuto mettersi in cammino, faticosamente, sulle strade assolate ed afose del mondo.
Il Mago non è un Innocente, ma colui che ha riconquistato l’Innocenza originaria e che l’ha riconquistata in piena consapevolezza, lottando, cadendo, rialzandosi dopo ogni caduta e, infine, conducendo alla meta la propria anima anelante all’infinito e consentendole di dissestarsi ad una Sorgente perenne e freschissima: la sorgente medesima dell’Essere.
Perché il segreto, in fondo, è questo: che dall’Essere veniamo ed all’Essere dobbiamo fare ritorno, chiamati da una forza soprannaturale: forza alla quale possiamo opporci, facendo resistenza in mille modi, oppure che possiamo assecondare, rispondendo con entusiasmo e con gratitudine alla sua chiamata.
La trasformazione del male in bene, del dolore in gioia, trasformazione in cui consiste l’operazione specifica del Mago, si basa su questa verità essenziale: la forza del Mago consiste, semplicemente, nell’assecondare la chiamata dell’Essere, così come il nuotatore intelligente asseconda la corrente del fiume e non tenta di mettersi di traverso ad essa.
Non è la forza delle sue braccia che lo conduce a valle, verso il mare: è la forza della corrente.