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Dal vuoto al Nulla viaggio nei misteri della (meta)fisica

di Annalisa Usai - 16/04/2011


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Leibniz si è chiesto «Perché c´è qualcosa piuttosto che niente? Giacché il niente è più semplice e più facile di qualcosa». Frank Close, fisico delle particelle di Oxford, colto e ironico come uno scienziato del Settecento, la pensa molto diversamente da lui, e dal senso comune, e compie sotto i nostri occhi un capovolgimento per cui non solo il niente risulta molto più complicato del qualcosa, ma soprattutto si rivela molto più operoso. È una gigantesca matrice creativa da cui deriva tutto, senza bisogno di interventi soprannaturali, e casomai con un gioco di prestigio in cui, invece che conigli e cappelli, si adoperano esperimenti ed equazioni. Per questo gioco sono necessarie tre mosse.

La prima è di tipo essenzialmente linguistico, e consiste nella metamorfosi (e nella esorcizzazione) del nulla, trasformato in vuoto. Il nulla è difficile da pensare, e inoltre può essere spaventoso, perché ha a che fare con la sparizione di tutto quello che ci riguarda, del mondo, dei colori, delle persone, e di noi stessi. Ma se dal nulla passiamo al vuoto è tutto un altro paio di maniche. Qui siamo in un laboratorio, con un tubo di vetro chiuso alla sommità che contiene una colonnina di mercurio che scende lasciandosi dietro qualcosa che non può che essere il vuoto. Non siamo affatto soli, siamo in un laboratorio, c´è tutto, e in una piccola regione di quel tutto abbiamo prodotto il vuoto. Di cosa dovremmo aver paura?
La seconda mossa, invece, consiste nel passaggio dalla fisica ingenua alla fisica esperta, dal mondo quale ci è immediatamente accessibile ai sensi, nella visione ecologica della esperienza quotidiana, a quello del molto grande e del molto piccolo. Con il passaggio dall´esperienza alla scienza, e soprattutto con il cambio di scala che dal mondo mesoscopico osservabile a occhio nudo ci porta a quello che si vede (o meglio si visualizza) con i microscopi e i telescopi, viene a prodursi un passaggio di stato. E contrariamente a quello che ci testimoniano i sensi dobbiamo arrenderci all´evidenza che il cuore della materia è pieno di vuoto. Gli atomi, cioè i componenti elementari del mondo fisico, sono vuoti (per l´esattezza, al 99, 999999999999%). Lo sappiamo bene, ma tendiamo a dimenticarlo, e soprattutto facciamo fatica a immaginarlo. Close racconta che vicino al Cern di Ginevra avevano pensato di adoperare un grande edificio sferico alto 20 metri, ideato per delle esposizioni e rimasto inutilizzato, per mettere in scena la grande rappresentazione di arte concettuale che è l´esperienza del vuoto interno a un atomo: appesa a un filo, una pallina del diametro di un millimetro. Quello è tutto il pieno dell´atomo, il resto è vuoto.
La terza mossa è il passaggio dalla fisica newtoniana al mondo della relatività e della fisica quantistica. È in questo universo che il nulla, pardon, il vuoto, si rivela un elemento altamente creativo. D´accordo con la visione (oggi un po´ antiquata, ma potente e affascinante) proposta ottant´anni fa dal fisico Paul Dirac, diventa un mare profondissimo agitato da onde di energia negativa, e che le cose stiano in questi termini è provato dal fatto che se in quel vuoto mettiamo due placche di metallo una forza oscura incomincerà a far sì che siano spinte l´una verso l´altra perché hanno interferito con le onde che attraversano il vuoto. A questo punto la creazione dal nulla è la cosa più naturale di questo mondo, in un processo che avrebbe fatto la delizia di Hegel. Quando nel gran mare negativo si produce un buco, sarà un positivo, sarà un qualcosa, che dunque non è affatto più complicato del nulla, come sosteneva Leibniz, e anzi, sembra il resto di niente, un buco nell´acqua. È da questa "tenebra ricoperta da tenebra", come dice Close citando i versi del Rig Veda, che viene tutta la materia che compone il nostro mondo. Un po´ come in quelle illusioni ottiche per cui una superficie concava si presenta a noi come convessa, tranne che questa non è una illusione, è la realtà, è l´universo. In questo senso, osserva ancora Close con tranquilla ironia, l´universo potrebbe essere il pasto gratis supremo.
E non finisce qui. Perché queste potrebbero semplicemente essere le leggi del vuoto per come si dà oggi alla nostra osservazione, ma potrebbe darsi benissimo che in altre epoche della storia dell´universo le sue forme fossero diverse. Così come potrebbe darsi altrettanto bene che le dimensioni spaziotemporali di cui abbiamo esperienza non siano tutte, che ce ne siano altre a noi non accessibili, o che la totalità del nostro universo (e delle sue leggi) non sia che uno degli infiniti mondi che ci circondano, quello in cui per un caso fortuito si sono realizzate le condizioni compatibili con la nostra vita. In questo quadro, il problema, si direbbe, si capovolge, e dal troppo vuoto si passa al troppo pieno. Nel frattempo noi, che continuiamo a chiederci dove finisce il presente quando è passato e dove finiremo noi quando passeremo, ci siamo distratti osservando il gioco di prestigio, e abbiamo seguito un corso di fisica privo di trionfalismo e pieno di humour.