Parmacrac, rimane ancora un lato oscuro da svelare
di Sabrina Lauricella - 08/06/2006
Si è aperto ieri a Parma il terzo processo per il crack della Parmalat. Un processo che vede accuse pesanti per ben 64 imputati, tra cui l’ex patron del colosso agroalimentare, Callisto Tanzi, il figlio e il fratello del Cavaliere di Collecchio e l’ex Dg, Fausto Tonna. Durissime le accuse, dall’associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta, passando per le false comunicazioni sociali. Contrariamente alle attese, ieri al processo erano assenti sia gli imputati - alcuni dei quali rei confessi ma altri decisi sostenitori della propria estraneità alle vicende che nel 2003 hanno portato al fallimento l’azienda di Collecchio - sia i risparmiatori, rappresentati in Aula dagli avvocati delle associazioni di consumatori che si sono dichiarati parte civile, promettendo risarcimenti per svariati milioni di euro.
Per il momento si tratta solo della prima udienza, ma a tre anni dal disastroso fallimento che ha coinvolto circa 135.000 risparmiatori, per un valore complessivo di circa 10 miliardi di euro, resta il fatto che ancora non è possibile sapere cosa sia realmente accaduto nell’azienda emiliana e negli altri casi di fallimento come Cirio o Giacomelli. Anche i processi già aperti a Milano, sede della Borsa e per questo competente per il reato di aggiotaggio, pur vedendo coinvolti numerosi manager, revisori e amministratori del gruppo di Collecchio e delle due società Deloitte & Touche e Italaudit (accusate anche di ostacolo alla Consob e false revisioni) non promettono di ricostruire l’intero quadro d’insieme del più grande fallimento mai visto in Europa. È infatti ancora poco chiaro il ruolo giocato dalle banche italiane, accusate di aver venduto bond ad alto rischio e riservati ad investitori istituzionali avvezzi ad operare con prodotti di questo tipo ad investitori normali, tra cui molti pensionati, sapendo spesso che tali prodotti erano inesigibili. Anche se molte banche sono state condannate dai tribunali civili competenti nelle azioni penali portate avanti dai singoli risparmiatori, lo stesso non può dirsi per il loro contributo ‘dietro le quinte’, vale a dire il ‘sistema’ che consentiva le emissioni di bond ad aziende già gravemente indebitate e quindi incapaci di rientrare della grave esposizione verso il mercato. Tanto più che gli istituti di credito continuano a dichiararsi ‘vittime’, rifiutandosi spesso di risarcire i risparmiatori anche a fronte di una sentenza di condanna. In una intervista ad un noto giornale, lo stesso Tanzi ha dichiarato ieri di non aver mai saputo che i bond del gruppo fossero venduti “a man bassa ai risparmiatori”. Ancora più dure le parole dei legali dell’ex patron di Parmalat. Giampiero Bancolella, ad esempio, ritiene necessaria la riunificazione del fascicolo relativo alle banche e alla Ciappazzi nel processo apertosi ieri. Un episodio del genere “non deve più accadere”, ha sottolineato l’avvocato di Tanzi, ma affinché ciò sia possibile “è necessario capire come un’azienda di questo tipo possa essere andata avanti grazie alla collocazione di bond ai risparmiatori”. La maggior parte degli avvocati, insomma, ritiene impossibile comprendere le reali dinamiche se non si fa luce sul ‘contributo’ del mondo bancario. Coinvolgimento che potrebbe essere confermato se dovessero confermarsi alcuni rumors che vedono i pm di Parma che indagano sulle banche pronti a chiedere il rinvio a giudizio del presidente e di altri manager ed ex manager di un importante gruppo italiano, con accuse gravi che vanno dal semplice ‘non aver impedito la commissione del reato’ fino al concorso in bancarotta e all’usura. In un altro processo in corso a Milano, sarebbero invece coinvolte quattro banche straniere che, secondo alcune indiscrezioni comparse ieri su un quotidiano, sarebbero pronte a trattare sulle revocatorie, ‘regalando’ così all’amministratore Sandro Bondi non pochi milioni di euro.
Insomma, al di là di come si concluderanno i processi, l’ex numero uno della Parmalat sembra essere solo la punta di un iceberg. Seppur gravemente responsabile, Tanzi appare il perfetto ‘capro espiatorio’ da sbattere sulle prime pagine dei giornali per distogliere l’attenzione dagli altri responsabili: dalle banche alle Authority, che hanno vigilato male e tardivamente. Fino all’intero sistema di connivenze politiche e partitiche. Se è vero che oggi sul banco degli imputati c’è l’ex patron di Collecchio, dare tutta la colpa a lui sarebbe quindi profondamente sbagliato e impedirebbe di prevenire altri gravi eventi simili nel futuro. Dissesti che trovano radici nel distorto rapporto tra banche, finanza e imprenditoria. Un sistema che permette alle banche creditrici di entrare nei CdA, condizionare la politica aziendale e scaricare l’eccessivo e rischioso indebitamento con l’emissione di bond sul mercato, spesso ‘garantendo’ di fronte al mercato l’intera operazione, magari contando anche su un ‘velo di protezioni’ politiche e partitiche.
Basti pensare che dopo aver chiesto scusa “ai risparmiatori e ai figli”, Callisto Tanzi ha aggiunto: “mi hanno strozzato”.