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Slavoj Zizek. Con quella faccia un pò così...

di Marco Iacona - 13/05/2011

Fonte: scandalizzareeundiritto


Mettiamo il caso che il giornalista nottambulo col capello nero e lungo, rivolgesse la consueta, bizzarra, domanda anche al filosofo sloveno Slavoj Žižek: «la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?». Siamo sicuri che, in quell’occasione, la risposta dell’ospite in studio sarebbe chiara, netta e (senza ironia), alla luce del sole: «Sì, la seconda che ha detto, i sogni aiutano a vivere…».
Parliamo di Žižek dunque, di uno dei cosiddetti “Philostars”, i filosofi da terzo millennio, noti più per le provocazioni e meno per il pensiero che, nel caso di Žižek si muove fra Marx, Lacan e il cinema hollywoodiano, vera fucina del sogno e per lo sloveno del mondo che verrà; che poi a leggere l’ultimo suo libro, Vivere alla fine dei tempi, in Italia per Ponte alle grazie (pp. 620, euro 26,50), non sarà proprio il migliore dei mondi possibili. Domenica 15 maggio, alle 14,00, con l’intervento di Antonio Gnoli, presso la sala azzurra, Žižek presenterà la sua ultima fatica al Salone del libro di Torino e discuterà sui quattro temi che, sempre secondo lui, preannunciano la morte del capitalismo e la fine di un’intera epoca, in Occidente. La crisi ecologica globale, gli squilibri del sistema economico-finanziario, la rivoluzione biogenetica e le fratture sociali. Mica roba da ridere.
Un altro dei filosofi catastrofisti che ci dicono con tutta la falsa modestia del mondo, come vivere nel Terzo millennio? E cosa comprare, di cosa nutrirci e che abiti indossare? Può darsi, ma se non altro Žižek non è un grossolano pessimista come lo era chi lo precedette un secolo fa – Gnoli su “Repubblica” del 28 aprile scorso fa il nome di Spengler – e a nessun fanatico “dell’azione” verrebbe in mente di “canonizzarlo” anche da vivo. Žižek invece è uno che vuole “abituare” ed educare il lettore alla precarietà e al trauma della fine del vecchio e all’inizio del nuovo. E rischia non poco. A volte è “antico” a volte eccessivamente complicato, a volte ironico fin sopra la linea di confine. Tanto per cominciare, è uno che nell’ambiente – sostantivo che meriterebbe un trattato a sé – gode di una fama un po’ a singhiozzo.
Per alcuni è un heideggeriano distratto, per altri – come Gianni Vattimo - «possiede una ammirevole capacità di collegare tematiche e riferimenti tra loro remoti, molto spesso in chiave decisamente paradossale, spaziando dal cinema alla psicanalisi lacaniana, a Marx, Heidegger, Lenin e ai pensatori recentemente più discussi dalla sinistra». Per il britannico e liberale “Observer” Žižek «sta fra il funambolismo filosofico, la maratona performativa e una sorta di continuo ottovolante intellettuale», che a pensarci bene non sono cose che servono alla causa del vivere comune o ordinario; per altri infine è il filosofo più pericoloso d’Occidente. Che dire? Certo è che Žižek è un tipo molto informato, conosce l’Italia, anche se è singolare, buffo – a Torino se ne vedranno di belle – radicale fin dentro le ossa e petroliniano nel senso che è nato per divertirsi e far divertire. Descrive la democrazia di oggi come una grande commedia nella quale Berlusconi e “berlusconisti” non sono da prendere sul serio – e forse l’hanno capito pure loro – e parla di ideologia come se il muro di Berlino non fosse mai caduto: oggi le ideologie sono il cinema, il mondo dei computer, gli affari e qualche sopravvissuta, ripete. Difficile dire però se la difesa di un comunismo sempre meno platonico e più legato agli “eventi” sia per Žižek l’ennesima bizzarria o la convinzione – molto “moderna” – che prima o poi qualcosa dovrà accadere. Lui dice, intanto, che in passato si è agito troppo e adesso mancano le teorie per capirlo meglio, questo mondo. Dunque? Dunque vuole capovolgere per l’ennesima volta Marx: i filosofi forse è meglio che si dedichino a interpretarlo il mondo invece di volerlo cambiare… e sottolinea, fra i tanti, i peccati capitali delle nostre abitudini. Narcisismo e illusione di libertà, due pugili che se le danno di santa ragione senza mai scendere dal ring. E “gli altri” a godersi lo spettacolo.
È nella natura delle cose che un filosofo così radicale finisca per piacere a chi non vive di oggetti e idee “conservate”. E oggi, Žižek, non è solo il filosofo della sinistra; sinistra intesa in senso “tradizionale”, ovviamente. Nel suo ultimo libro – Il fascista libertario (Sperling & Kupfer) – Luciano Lanna lascia intendere che l’ossimoro posto alla base del saggio (definirsi contemporaneamente “fascisti” e libertari), possa trovare nel vulcanico Žižek un valido difensore. Alla fine del 2009 quando dirigeva il “Secolo”, recensendo In difesa delle cause perse di Žižek (Ponte alle grazie, 2009), citava lo sloveno come possibile filosofo da “terza via”, fra il grigiore dell’ideologia dell’interesse personale e le rovine totalitarie del peggior Novecento. A un certo punto ricordava perfino la definizione (un po’ ironica un po’ no) che Žižek dava di se stesso, mi sento un “fascista di sinistra”...
Come tutti i fenomeni contemporanei, docili o “pericolosi”, Žižek conosce le regole del mercato della parola e dell’immagine. Riesce così a dosare le punte di “profetismo” alle analisi di Lenin e Mao, condite con le delusioni del post-68. La tragedia? Inizia proprio nel 1969, quando «lo spazio per l’azione collettiva» lascia il posto ai peggiori difetti del Sessantotto: l’americanismo spirituale e la violenza terroristica. Le cose, forse, sono andate anche peggio ma almeno negli ultimi tempi, specie nell’Italia di Berlusconi si è cominciato a ridere. E anche troppo. Ma Žižek si dice convinto che la «democrazia si stia autodistruggendo» e che il capitalismo e la democrazia stiano prendendo due strade diverse. Come in Cina, per esempio. Così rispondeva a Gnoli qualche tempo fa: «Credo che i meccanismi democratici non siano più sufficienti ad affrontare il tipo di conflitti che si prospettano all’orizzonte». La democrazia è in crisi e «non si tratta delle decisioni di singoli leader, della loro brama di potere o simili: è il sistema stesso che non può più riprodursi in modo autenticamente democratico». Un “sogno”? Staremo a vedere. Oggi dei trascorsi “profeti” della fine della storia, del mondo e della vita, resta solo la cornice ironica di una frettolosa citazione…