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Allarme a Pechino: Potremmo morire soffocati

di Francesco Sisci - 09/06/2006

Il governo pubblica il primo libro bianco sui problemi ambientali, che costano ormai all'impero rosso il 10 per cento del pil. L'impetuosa crescita economica sta uccidendo la natura. 

      
      Sembra l'elenco dei caduti di Caporetto, travolti dalle truppe che dilagano sulla pianura senza trovare più alcuna resistenza. Il libro bianco sull'inquinamento cinese, il primo mai preparato dal governo, e già nero di fuliggine, cerca di presentare in modo positivo gli sforzi di Pechino negli ultimi anni ma la realtà che traspare è spaventosa.

      Il 60% del territorio cinese ha un fragile equilibrio ambientale, oltre 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati, circa otto volte il territorio italiano, sono desertificati, il 90% delle praterie sono a rischio. Rischiano di estinguersi il 44% degli animali e il 29% delle piante selvatiche.

      A questi dati del libro bianco se ne possono aggiungere altri, non compresi nello studio, ma comunque pubblici. Circa un quinto delle città è vittima di forme gravissime di inquinamento, interi distretti industriali del Sud sono coperti 12 mesi all'anno da nuvole scure. Circa 300 mila persone ogni anno muoiono per malattie e incidenti dovuti ai problemi ambientali. Il vice ministro dell'ambiente cinese Zhu Guangyao ha denunciato che i danni ambientali ammontano a quasi il 10% del prodotto interno lordo, circa 200 miliardi di dollari. La stima della Banca Mondiale arriva al 15%. Il libro bianco racconta i successi della battaglia per l'ambiente, delle oltre 30 fabbriche fortemente inquinanti chiuse tra il 2001 e il 2004, delle foreste passate negli ultimi 5 anni a occupare dal 18 al 20% del territorio. Ma il documento rimane soprattutto un grido di allarme, pubblico e senza infingimenti. È ora di rimboccarsi le maniche per non morire soffocati, grida Pechino.

      Il trionfo della burocrazia

      Ma non è facile. Un paio di anni fa il governo aveva deciso di introdurre la valutazione dell'inquinamento come uno dei criteri di giudizio, promozione o licenziamento, dei funzionari statali. Governatori e sindaci vengono già oggi valutati in base sia alla crescita economica della loro area che della pace sociale e politica che riescono a mantenere. La nobile idea sull'inquinamento dopo mesi di gestazione è stata però accantonata. Molte fabbriche inquinanti hanno impianti di depurazione ma si rifiutano di metterli in funzione, spiegando alle amministrazioni che altrimenti perderanno profitti e non potranno pagare le tasse. Inoltre i dipartimenti dell'Ambiente a livello locale dipendono direttamente dall'amministrazione provinciale o cittadina di pertinenza, la loro subordinazione al ministero di Pechino è labile. Questo, secondo i verdi cinesi, è un motivo di debolezza. Il ministero dell'Ambiente vorrebbe più potere a livello locale, ma governatori e sindaci sono restii a cedere questa fetta di controllo che può rivelarsi di ostacolo per il turbo-sviluppo del Paese.

      Inoltre neppure il ministero dell'Ambiente è esente da critiche. Un'indagine interna dell'anno scorso ha trovato proprio il ministro - ora ex - Xie Zhenhua colpevole di non essersi tempestivamente occupato del disastro del Songhua, il fiume che ha avvelenato le acque di Harbin, nel Nord Est. Il ministro è stato deposto, il ministero ristrutturato, ma tante competenze sono ancora disperse.

      Le tecnologie arretrate

      Il ministero dell'Ambiente italiano, che con il suo direttore Corrado Clini ha costruito il più grande progetto di cooperazione internazionale con la Cina, è costretto a parlare con una moltitudine di enti cinesi. Gli enti locali e le città poi non vogliono finire nel mirino. A Pechino la municipalità si vanta di aver espulso dal centro il vecchio riscaldamento a carbone. Ma contemporaneamente sono aumentate le automobili e la notte entrano anche camion pesanti con motori diesel della tecnologia Anni 50 e fumi di scappamento nerissimi. L'inquinamento è cambiato di qualità ma resta molto alto per quantità.

      Oggi in 9 province si è cominciato a sperimentare l'uso dell'etanolo, mischiato a benzina, che, su modello brasiliano, dovrebbe far diminuire l'inquinamento e far scendere le importazioni di petrolio. Nella provincia del Guangdong, nel Sud, ieri è stata inaugurata la fabbrica della Magneti Marelli, che detiene il brevetto per l'apparecchio che facilita l'uso dell'etanolo. Ma l'etanolo, ricavato dalla canna da zucchero o dalle biomasse produce nuovi quesiti ambientali: occorre trasformare una parte di agricoltura, oggi è concentrata nella produzione di cereali per il sostentamento alimentare della popolazione.

      L'urbanizzazione continua.

      Nelle campagne poi è in corso il grande cambiamento. Nel 1980 la popolazione urbana era di circa 200 milioni, 25 anni dopo ha superato i 500 milioni senza contare i tanti villaggi che si sono trasformati in cittadine. In questo periodo l'economia è cresciuta a quasi il 10% l'anno e dovrà mantenere questi ritmi per i prossimi 30 anni perché anche gli altri 800 milioni di abitanti della in campagna vogliono migliorare la qualità della loro vita. Questo significa altri 300 milioni di nuovi abitanti delle città intorno al 2030, e tanto inquinamento in più.

      Già oggi il 64% dell'acqua delle città grandi e medie è inquinata e le falde acquifere sono in diminuzione. Oltre 300 milioni di cinesi non hanno acqua potabile.
Un mondo che è finito. L'equilibrio tra l'uomo e la natura era stato per secoli il paradigma della cultura cinese. In un popolo senza un dio e senza un Olimpo, la natura era stata la grande bussola religiosa dell'azione umana. Perfino i giardini imperiali, rigorosamente artificiali, imitavano la natura. Oggi la religione-natura cinese è morta, o almeno moribonda. Salvarla forse è una questione di identità, ancor prima che di sopravvivenza ai fumi oscuri della modernità. Se ciò avverrà la molla però non sarà religiosa, ma ancora una volta di interesse economico: inquinamento significa danni alla crescita economica e sprechi delle già scarse risorse energetiche.