Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dipendenze e trascendenza come stati alterati di consapevolezza

Dipendenze e trascendenza come stati alterati di consapevolezza

di Ralph Metzner - 27/05/2011


dali Sleep.jpgLe dipendenze, le compulsioni e gli attaccamenti sono stati di coscienza contratti mentre la trascendenza vede una espansione della consapevolezza. Un’approfondita analisi delle dipendenze dalle sostanze e delle vie per la trascendenza.

A un osservatore della natura umana privo di pregiudizi può sembrare che la dipendenza, la compulsione e gli attaccamenti siano una componente normale e inevitabile della vita umana. Questo stesso osservatore (forse un visitatore da un altro pianeta) penserebbe probabilmente che anche la ricerca della trascendenza, degli stati espansi o alterati di consapevolezza sono attività umane ugualmente diffuse e naturali. Gli scopi di questo articolo sono: 1) definire le dipendenze, vista la loro natura fissa e ripetitiva, come stati contratti di consapevolezza; 2) contrastarle con la trascendenza, ovvero con un’espansione della consapevolezza, consistente certe volte in un’esperienza mistica o visionaria.

Cos’è la dipendenza? La prima cosa vorrei dire è che la dipendenza e la compulsione (intese nel senso più generale possibile) sono espressioni patologiche o esagerate del comportamento umano naturale e normale. La maggior parte delle persone (se non tutte) hanno una tendenza alla compulsione o alla dipendenza. Quando il comportamento diventa tanto abituale da dominare la vita dell’individuo, a detrimento delle relazioni e del lavoro, abbiamo la diagnosi clinica di dipendenza.

Milioni di persone si sono riconosciute dipendenti da una cosa o l’altra, e questa definizione della compulsione come una condizione o una “malattia” è stata certamente salutare e terapeutica per molti individui. Ma, come tutte le metafore, anche quella della malattia ha i suoi limiti, ed è stata giustamente criticata da alcuni perché suggerisce l’idea che la dipendenza sia una condizione fissa e immutabile. D’altra parte, se consideriamo la dipendenza clinica semplicemente come un estremo dello spettro del comportamento umano, imparare a riconoscere, identificare e affrontare le proprie tendenze compulsive diventa un processo normale dello sviluppo dell’uomo, una sorta di maturazione o crescita.

In alternativa al modello della malattia, alcuni definiscono la dipendenza come la ricerca dell’appagamento esclusivamente nel mondo esterno, materiale. In questo caso è possibile contrastare la dipendenza con la consapevolezza, l’interiorità o la crescita spirituale, ovvero dirigendo l’attenzione a stati ed esperienze interiori, lontano dal mondo esterno. Anche questa è una definizione molto vasta, che farebbe della dipendenza una componente normale dell’esperienza umana.

Infatti, l’estroversione, la tendenza ad acquistare e consumare beni materiali, vengono generalmente considerate caratteristiche dominanti della consapevolezza collettiva dell’umanità occidentale (se non di tutto il mondo). Nelle tradizioni spirituali asiatiche, incluso lo yoga, il vedanta hindu e le varie scuole del buddismo, l’«attaccamento», la brama e il desiderio vengono considerati processi basilari della consapevolezza umana, oltre che gli ostacoli principali alla “liberazione”, l’«illuminazione» o “auto-realizzazione”. “La fonte della sofferenza è il desiderio”, recita la seconda della Quattro Nobili Verità del Buddha, dopo la prima, che sostiene l’universalità e l’ineluttabilità della sofferenza.

Ma questa definizione della dipendenza come della ricerca di oggetti esterni ha un limite. Infatti, molte persone dipendenti desiderano un’esperienza particolare, uno stato di consapevolezza, piuttosto che un oggetto materiale. L’oggetto può essere desiderato semplicemente per l’esperienza che provoca. Esistono forme di comportamento compulsivo, per esempio il gioco di azzardo o il sesso, in cui l’attenzione della persona è chiaramente rivolta all’esperienza interiore, o all’eccitazione, mentre l’«oggetto» esterno diventa, in un certo senso, secondario o irrilevante. Un’ulteriore complicazione è data dalla possibilità di diventare dipendenti dalle esperienze spirituali.

Gli stati meditativi distaccati che le tradizioni spirituali ritengono l’antidoto alla brama e all’attaccamento possono a loro volta diventare oggetto di una ricerca compulsiva. Esistono meditatori compulsivi che usano la ricerca dell’esperienza spirituale per evitare di affrontare aspetti spiacevoli del loro mondo esterno o interno. Le droghe psichedeliche possono produrre (in condizioni favorevoli e con l’intenzione giusta) stati di consapevolezza espansa, trascendentale e perfino mistica, ma possono anche diventare l’oggetto di una tossicodipendenza. Quindi, non è possibile distinguere chiaramente tra una dipendenza esteriore e una interiore, spirituale, come forse sembrava a prima vista.

Alcuni anni fa, Andrew Weil, nel suo libro The Natural Mind (Weil, 1986), ha affermato che la tendenza ad alterare la propria consapevolezza è una caratteristica diffusa e naturale negli uomini, come è possibile osservare nella predilezione dei bambini per le giravolte, le capriole e la posizione a testa in giù. Lo stesso modello è visibile anche negli adulti, in particolare nella ricerca di sensazioni forti attraverso situazioni estreme o di pericolo, e nel desiderio di svagarsi dal lavoro attraverso gli intrattenimenti, i viaggi, le cure estetiche, gli sport e cose simili. La modulazione della coscienza umana non sembra solo un universale bisogno umano: appare diffusa anche nel regno animale, come Ronald Siegel ha documentato nel suo libro, Intoxication (Siegel, 1989).

Inoltre, durante il ciclo circadiano di ventiquattro ore, nella nostra fisiologia si determina una modulazione regolare degli stati di consapevolezza tra la veglia, il sonno e il sogno, dalla nascita alla morte. In anni recenti, un secondo ciclo endogeno è stato identificato da Ernest Rossi (1991) e altri: il ciclo ultradiano di azione e riposo, cervello destro e sinistro, attività simpatetica e parasimpatetica. Questo stato ci mette in una leggera trance ipnotica interiore (più o meno ogni novanta minuti), dalle grandi potenzialità creative, ristoratrici e curative. Gli stati di consapevolezza cambiano costantemente; la natura di quest’ultima sembra fatta di fluttuazioni periodiche. Più che a qualcosa di statico, la consapevolezza assomiglia a un’onda. Quando siamo addormentati, scendiamo (in genere attraverso quattro fasi) nel sonno profondo, quindi risaliamo allo stato più leggero e passiamo attraverso una fase onirica, accompagnata da rapidi movimenti oculari.

Nemmeno lo stato di veglia è una condizione uniforme: piuttosto, esso oscilla continuamente, passando da momenti di grande attenzione a brevi “micro-sogni”. Oltre ai cicli multipli regolari e alle periodiche fluttuazioni della consapevolezza, siamo soggetti a vari catalizzatori o stimolatori di stati alterati, più o meno comuni: tra essi vi sono le droghe, il cibo, i suoni, i ritmi, gli stimoli visivi, il movimento, il godimento estetico, i paesaggi naturali, lo stress, le malattie, le ferite, gli shock, oltre a pratiche deliberatamente create per alterare la consapevolezza, come gli esercizi sul respiro, l’ipnosi, la meditazione, le pratiche sciamaniche, i rituali religiosi ecc.

In un altro testo (Metzner, 1989), ho affermato che storicamente sono esistite due metafore principali per la consapevolezza: una spaziale o topografica, l’altra temporale o biografica. Nella metafora spaziale, la consapevolezza è un “territorio”, un “terreno”, un “campo”, uno “stato” in cui si può entrare o uscire, oppure uno spazio vuoto, come nella psicologia buddista. La metafora spaziale, se usata inconsapevolmente, può originare un certo grado di fissità nella percezione o nella concezione del mondo di una persona. Può portare a ritenere la consapevolezza “statica”, generando un forte desiderio di stabilità e persistenza.

In questo caso, l’ordinaria consapevolezza di veglia è lo stato preferito, mentre gli “stati alterati” sono considerati con ansia e sospetto, come se uno stato “alterato” fosse automaticamente abnorme o patologico. In varie forme, questo è l’atteggiamento fondamentale del pensiero occidentale verso le alterazioni della consapevolezza. Persino i sogni e le trasformazioni rese possibili dall’introspezione, la psicoterapia o la meditazione sono spesso guardati con sospetto dal pensiero estroverso dominante. Per esempio, è improbabile che qualcuno che abbia fatto psicoterapia possa diventare un candidato presidenziale negli Stati Uniti. Infatti, chi è in psicoterapia dà l’idea di avere una malattia mentale, o di non godere di buona salute.

La metafora temporale della consapevolezza è quella di concetti come “il flusso dei pensieri” di Willam James, il flusso di coscienza, l’«esperienza di flusso», ma anche delle teorie evolutive dei vari stadi di consapevolezza. Storicamente (e trans-culturalmente), vediamo con più evidenza la metafora temporale in filosofi presocratici come Talete ed Eraclito, negli insegnamenti buddisti sull’impermanenza (“anicca”) e nell’idea taoista delle correnti e dei gorghi d’acqua come dei modelli fondamentali della vita. Secondo questa metafora, le fluttuazioni ondulatorie della consapevolezza sono considerate naturali e inevitabili, mentre la salute, il benessere e la creatività sono collegate alla capacità di una persona di entrare in sintonia con le modulazioni della consapevolezza naturali e “artificialmente” provocate.

Secondo Immanuel Kant, lo “spazio” e il “tempo” sono le categorie “a priori” di tutto il pensiero. Dunque, sembra giusto che nelle nostre riflessioni sulla consapevolezza abbiamo identificato in queste le due metafore più comuni. Forse il modo più equilibrato di pensare alla consapevolezza è avere in mente sia la metafora spaziale sia quella temporale. In qualsiasi momento possiamo riconoscere e identificare le caratteristiche strutturali e persistenti del mondo in cui ci troviamo, e allo stesso tempo essere consapevoli della fluida e sempre mutevole corrente di fenomeni nella quale siamo immersi. Anche se a Eraclito viene attribuita la frase “Non puoi entrare due volte nello stesso fiume”, ciò che ha detto veramente è: “Quando entriamo nello stesso fiume, l’acqua che scorre è sempre diversa”. Questa affermazione è in sintonia con la prospettiva duale che ho qui suggerito.

La dipendenza come uno stato contratto di consapevolezza

Un buon libro che traccia una panoramica di tutte le ricerche psicologiche sulle dipendenze è The Meaning of Addiction (Peele, 1983). In questo libro, Peele individua le caratteristiche principali di quella che chiama “esperienza di assuefazione” o “coinvolgimento”. In altre parole, questa è un’analisi dello stato di consapevolezza di una persona dipendente. Le esperienze di assuefazione o di coinvolgimento sono definite “modificatori potenti del carattere e della percezione”. Quando una droga o un comportamento hanno la capacità di produrre una trasformazione immediata, effettiva e vigorosa del carattere e della percezione, è possibile la formazione di un atteggiamento dipendente o compulsivo. Secondo questa definizione, un’esperienza di assuefazione è un caso particolare di consapevolezza alterata. Uno stato alterato di consapevolezza può essere definito come uno stato, di durata limitata, in cui le forme del pensiero, del sentimento, del carattere e della percezione sono diverse dalla condizione ordinaria o di base (Metzner, 1989).

Il ruolo del fattore genetico, biochimico, socioculturale, personale e situazionale nello sviluppo delle dipendenze è ancora oggetto di discussione. Alcuni ritengono che le condizioni genetiche e biochimiche creino una predisposizione alla dipendenza, e che la situazione e la personalità agiscano come catalizzatori o stimolatori. Altri sostengono che la dipendenza sia qualcosa di “appreso” e che i fattori biochimici-genetici si limitano a influenzare la scelta del particolare oggetto o comportamento da cui si è dipendenti. Per comprendere i contributi relativi di questi diversi fattori, sono ovviamente necessarie ricerche molto più approfondite. In questo studio intendo concentrarmi esclusivamente sulla fenomenologia della dipendenza.

Se consideriamo quest’ultima come un tipo particolare di stato alterato di consapevolezza, possiamo paragonarla ad altri stati alterati di consapevolezza. La mia idea è che le dipendenze, le compulsioni e gli attaccamenti implichino la fissazione dell’attenzione e il restringimento del numero degli oggetti della percezione: in altre parole, si tratta di uno stato contratto di consapevolezza. Ciò è l’opposto degli stati mistici, trascendenti o estatici, che implicano un momento di attenzione e l’allargamento del numero degli oggetti della percezione: in altre parole, il classico stato espanso di consapevolezza. “Trascendente” vuol dire sopra e al di là, mentre estasi viene dalla parola “extasis”, cioè fuori dalla condizione statica, fuori dallo stato normale di consapevolezza. Invece, la dipendenza e l’attaccamento vanno nella direzione contraria, come abbiamo visto: essi implicano la fissazione, la ripetizione, il restringimento e la selettività dell’attenzione e della consapevolezza.

Possiamo pensare alla consapevolezza come a un campo sferico di coscienza che ci circonda e ci segue ovunque andiamo. Facendo una sezione orizzontale di questa sfera, possiamo avere un cerchio di 360 gradi, che potremmo definire il cerchio della consapevolezza potenziale. Quindi, in questo modello, esiste un cerchio di consapevolezza potenziale di 360 gradi (in realtà, naturalmente, la sfera ha un numero di gradi molto maggiore di 360, ma il cerchio è sufficiente per dare un’idea). A questo punto, negli stati contratti e fissati (vedi figura 1), l’attenzione si concentra in modo esclusivo su 30, 15, o addirittura un grado solo: l’oggetto del desiderio, la sensazione bramata, la bottiglia, la pipa, a esclusione di tutti gli altri aspetti della realtà, degli altri segmenti del cerchio.

Il commediografo Richard Prior ha fatto una “performance” sulla sua dipendenza dalla cocaina, che è stata filmata e può essere vista su video. Si tratta di una performance terrificante, in cui egli descrive come la sua vita sia divenuta sempre più ristretta, fino a eliminare tutte le relazioni all’infuori di quella con la sua pipa da crack, relazione che era diventata ripetitiva e ritualistica. Egli non lavora, non socializza e non comunica che con la sua pipa, che gli dice: “Questo è tutto ciò di cui hai bisogno”. Una boccata dietro l’altra, niente più è importante o può catturare il suo interesse. La consapevolezza e l’attenzione sono completamente fisse e contratte.

Al contrario, tornando al cerchio di 360 gradi della consapevolezza potenziale, nella trascendenza e nell’estasi la consapevolezza e l’attenzione si espandono (vedi figura 2) dalla condizione normale o “di base” (che potrebbe essere 30 o 60 gradi), fino a un arco di 90, 120, 180 o anche 360 gradi: uno spettro di consapevolezza più completo. Un’espansione simile della consapevolezza ha luogo ogni mattina, quando ci alziamo. Un fatto interessante è che le persone che hanno preso l’LSD (la sostanza per eccellenza in grado di espandere la consapevolezza) hanno spesso riferito di percepire il proprio campo visuale espanso fino a raggiungere i 360 gradi, dando loro la sensazione di stare guardando dalla nuca. Forse questa è un’interpretazione letterale di un’esperienza di espansione totale della consapevolezza o delle percezioni. Abbiamo davvero la possibilità di essere consapevoli di ciò che sta accadendo dietro di noi, o di sperimentare correnti sottili di energia nelle nostre immediate vicinanze, senza doverci necessariamente basare sulle nostre percezioni visive.

La consapevolezza, le sensazioni o l’attenzione possono essere immaginate come una sorta di raggio diretto verso un punto o una banda molto stretta, oppure verso porzioni molto più vaste del cerchio di consapevolezza potenziale. Questo raggio di consapevolezza-attenzione cambia costantemente oggetto e portata, e il restringersi e l’allargarsi sono ovviamente sue qualità naturali. Inoltre, in stati particolari di consapevolezza, incluse la dipendenza e la trascendenza, una contrazione o un’espansione della consapevolezza possono essere provocate da stimoli esterni.

Un’altra area dell’esperienza umana in cui si verifica un restringimento selettivo dell’attenzione è il legame tra la madre e il neonato. L’affinità linguistica delle parole legame, attaccamento e dipendenza rivela già le loro somiglianze psicologiche. Questo l’ho compreso molto bene osservando l’attaccamento al seno materno di mia figlia neonata. Andava in giro farfugliando e agitando gli arti, fino a quando improvvisamente cominciava a concentrarsi sul seno. Iniziava a piangere, e tutti i suoi movimenti erano diretti verso la madre, con l’attenzione completamente rivolta al suo seno.

A quel punto non ero più in grado di distrarre mia figlia o di catturare la sua attenzione. Non potevo più dire: “Guarda qui, guarda questo”, riuscendo a farmi seguire dai suoi occhi o dalle sue mani. Improvvisamente ho capito che questa era la stessa restrizione della consapevolezza che si verifica in un bevitore davanti alla sua bottiglia, in me stesso quando dico: “Voglio quel biscotto al cioccolato, adesso!”, o in un tossicodipendente di fronte alla droga.

L’attaccamento, o il processo di dipendenza, può allora implicare un’alterazione immediata o molto rapida del carattere e della percezione. In questa alterazione, sono incluse la soddisfazione del bisogno e la riduzione dell’ansia. Focalizzando la consapevolezza e l’attenzione sull’oggetto che bramiamo o desideriamo, la consapevolezza non è più assorbita da altri aspetti della nostra realtà, in particolare dal dolore, la paura o l’ansia. Esiste un bisogno autentico di ridurre il dolore e la paura, e questo bisogno viene immediatamente ed efficacemente soddisfatto. Il centro dell’attenzione si restringe, l’attenzione si fissa. Poi questi passi vengono ripetuti e gradualmente, col tempo, si può creare una sorta di rituale.

L’aspetto rituale delle dipendenze e delle compulsioni è molto importante. Una volta ho lavorato con un uomo che aveva quella che lui stesso chiamava una dipendenza sessuale: non riusciva a fare a meno della pornografia e della frequentazione di prostitute, con le quali assumeva sempre una posizione degradante e umiliante. Era un comportamento estremamente ripetitivo e ritualistico, anche perché nessun altro tipo di attività sessuale lo attirava. Persino l’appagamento orgasmico sembrava secondario rispetto alla soddisfazione particolare ricavata dalla ripetizione ritualistica.

L’assunzione di droga che produce dipendenza spesso sembra associata a un comportamento ritualistico, che viene ripetuto compulsivamente in modo sempre uguale, all’infinito. Anche Freud ha parlato della “compulsione a ripetere” nelle nevrosi. Questo è vero per le droghe narcotiche come gli oppiacei, i calmanti come i barbiturici, i sedativi psichiatrici, gli antidepressivi, gli stimolanti come l’anfetamina e la cocaina. L’assunzione ritualistica è evidente e ben nota nel caso di sostanze che provocano assuefazione e che sono socialmente accettate e commercialmente pubblicizzate, come l’alcool, il tabacco e il caffè. In tali situazioni, il rituale di assunzione fa parte del messaggio pubblicitario volto a incoraggiare il consumo.

Riti di assunzione sono evidenti anche nel caso della dipendenza da cibi, specialmente nel caso di dolci, carne e farinacei. I rituali di assunzione del cibo diventano dolorosamente distorti nell’atteggiamento che in inglese si chiama “binge and purge” (bisboccia e purga), tipico delle persone con “disturbi alimentari”. Queste persone, tra le altre cose, stanno magari cercando con tutte le forze di mettere sotto controllo la propria dipendenza.

La modificazione immediata o rapidissima del carattere e delle percezioni prodotta da tali droghe e cibi è uno dei fattori che facilitano lo sviluppo della dipendenza. Gli alcolisti raccontano spesso la sensazione di onnipotenza che provano quando la loro bevanda preferita scende per la prima volta nello stomaco: l’ansia o la frustrazione svaniscono, l’individuo non sperimenta più dolore o (nel caso di assunzione di stimolanti) sensazioni di impotenza e inadeguatezza. La rapidità della trasformazione provoca una sensazione di onnipotenza. Tutti gli spiacevoli effetti collaterali (che il soggetto potrebbe conoscere benissimo) sono troppo lontani nel futuro per annullare l’effetto immediato.

Il potere di cambiare istantaneamente lo stato di consapevolezza di una persona (soprattutto di farlo passare da sensazioni dolorose ad altre piacevoli o anche neutre) può essere dovuto non solo all’effetto fisiologico della droga, ma anche al comportamento rituale associato a quest’ultima. Per il fumatore, il semplice estrarre la sigaretta dal pacchetto e prepararsi ad accenderla può avere l’effetto di ridurre il suo stress. Considerazioni simili si applicano al caso di dipendenze da determinate attività, come la sessualità compulsiva, il gioco d’azzardo, lo shopping o il lavoro, in cui la ripetizione ritualistica di certi comportamenti sembra, in se stessa, riuscire a ridurre l’ansia e a cambiare la consapevolezza di una persona. Essendo io stesso uno stacanovista che sta cercando di curarsi, so che concentrandomi sulle attività quotidiane posso evitare di soffermarmi su altri aspetti ansiogeni della mia vita.

Il fatto che il “lavoro duro” è una componente essenziale dell’etica del lavoro europea e americana (specialmente protestante), e che a esso sono associate evidenti ricompense sociali, non cambia le dinamiche fondamentali. Quando il “lavoro duro” comporta un restringimento e una fissazioni estremi dell’attenzione, a svantaggio degli altri interessi e le altre attività, diventa stacanovismo compulsivo. La famiglia e le altre relazioni sociali possono esserne danneggiate, e persino il talento e la produttività sul lavoro possono risentirne, giustificando quindi la diagnosi di dipendenza.

Processi simili di fissazione, attaccamento e ripetizione ritualistica si possono osservare nella dipendenza dalle relazioni, o nei modelli co-dipendenti tante volte descritti nella letteratura sulle dipendenze. In una dipendenza da una relazione, o in una co-dipendenza compulsiva, l’attenzione si restringe a ciò che l’altra persona pensa, sente, vuole e non vuole, escludendo o trascurando ciò che io penso, sento, voglio e non voglio. In questo modo posso evitare di prestare attenzione a ciò che voglio o di cui ho bisogno, e a ciò che la situazione richiede davvero. I desideri dell’altra persona diventano sempre più il centro della relazione, negando la mia consapevolezza interiore. Se anche l’altro partner sta facendo la stessa cosa, è facile vedere come la comunicazione diventa estremamente confusa e problematica.

Anche le esperienze trascendentali e le espansioni di consapevolezza possono modificare profondamente il carattere e le percezioni, ma in modo molto diverso: l’intera gamma dell’esperienza, il continuum della sensazione e della percezione, diventa estesa e più fluida. I pazienti terminali di cancro cui è stato somministrato l’LSD per paragonarne gli effetti antidolorifici a quelli della morfina, hanno detto che con la sostanza psichedelica avvertivano ancora il dolore, ma che questo non era più tanto doloroso; inoltre, c’erano molte altre esperienze che assorbivano la loro attenzione (Grof & Halifax, 1977). In genere, le sostanze psichedeliche che espandono la consapevolezza non hanno portato alla dipendenza, e i consumatori di narcotici non hanno verso di esse grande apprezzamento. Gli effetti sono troppo imprevedibili, diversi, sottili e ritardati per permettere quel tipo di liberazione dal dolore o dalla tensione che il tossicodipendente sta cercando.

Ciononostante, esistono delle prove secondo cui, in casi rari, anche le stesse esperienze trascendentali (che siano state provocate dalle droghe, dalla meditazione o da pratiche fisiche come la corsa) possono diventare oggetto di dipendenza. Se qualcuno prende continuamente droghe psichedeliche come l’LSD, o empatogeni come l’MDMA, ottenendo sempre lo stesso mutamento di stato (a detrimento degli altri interessi, e magari trascurando la famiglia e le altre responsabilità), siamo di nuovo di fronte alla forma classica di dipendenza e abuso. Ciò è stato osservato anche in alcuni meditatori, che potrebbero evitare conflitti intrapsichici o interpersonali attraverso una pratica continua e compulsiva della meditazione.

Gli insegnanti delle tradizioni spirituali asiatiche parlano della possibilità di dipendenza spirituale, o di “materialismo spirituale”, mettendo in guardia contro l’attaccamento a esperienze insolite, estatiche o visionarie che vengono sminuite come “illusioni”. Il meditatore compulsivo o il consumatore coatto di sostanze psichedeliche diventano dipendenti da quella esperienza trascendentale, per cui desiderano ripeterla in continuazione, cosa che naturalmente non è possibile. Questo tipo di esperienze ha un limite intrinseco: non puoi continuare a trascendere, devi avere qualcosa rispetto a cui trascendere. Oppure, come ha detto qualcuno, l’ego deve prima erigere una barriera, per poi potersi dissolvere in stati unificativi di consapevolezza.

Trascendenza e pseudo-trascendenza dissociativa

Le esperienze estatiche o trascendentali, come le classiche descrizioni della consapevolezza mistica o cosmica, implicano un allargamento del centro di attenzione, un’espansione della consapevolezza oltre i limiti dello stato ordinario o di base. Per cui, tali esperienze implicano l’opposto delle contrazioni dipendenti della consapevolezza. La consapevolezza e l’attenzione, anziché essere fissate e ristrette, sono allargate ed espanse. È un processo di distacco piuttosto che di attaccamento, di dissoluzione o allentamento anziché di fissazione. Nei primi tempi della scoperta dell’LSD, esso veniva consigliato agli psichiatri per “allentare la psiche” (“seelischen Auflockerung”); e in Europa la terapia a base di LSD è ancora nota come “psicolitica” (Grinspoon & Bakalas, 1979).

Sia la contrazione sia l’espansione della consapevolezza sono processi normali e naturali, e praticamente tutti conosciamo la fenomenologia di tali cambiamenti di stato. Gli stati indotti dalle droghe psichedeliche vennero in origine appropriatamente definiti esperienze di “espansione della consapevolezza”. Le pratiche di meditazione, come la Meditazione Trascendentale (MT), miravano chiaramente a produrre uno stato unificativo di consapevolezza, nel quale i conflitti e i dualismi della consapevolezza ordinaria venivano dissolti o trascesi. Ma, osservando meglio, questo processo di trascendenza è molto più complesso. Esistono almeno tre diversi processi collegati alla trascendenza, che vanno riconosciuti gli uni dagli altri.

Dobbiamo distinguere tra la trascendenza autentica e una sorta di pseudo-trascendenza, o dissociazione, che potremmo chiamare “cambiamento di canale”. Se l’attenzione è diretta verso un oggetto o un evento nel mondo esterno o interno, questa situazione è paragonabile al vedere un programma alla TV. Per rendere più convincente l’analogia, immaginiamo di avere un mini schermo TV fissato ai nostri occhi, che ci impedisce di vedere altro. Quindi, il centro o la fissazione dell’attenzione e della percezione sono le immagini che ci vengono offerte. Potremmo definire tutto ciò la “modalità attaccamento” della percezione. Se sono triste, depresso o sto guardando un evento o un’attività esteriori, la mia percettività è focalizzata o fissata su quella depressione, tristezza o evento.

“Cambiare canale” è una forma di trascendenza, nel senso che non stai più guardando il programma precedente. Se sei depresso e in qualche modo riesci a “cambiare canale”, sei andato al di là della depressione. Le droghe antidepressive possono essere considerate sostanze “per cambiare canale”; probabilmente, la maggior parte dei farmaci psichiatrici in grado di cambiare lo stato d’animo funziona in questo modo. Alcune forme di psicoterapia, come l’uso di affermazioni o altri tipi di interventi e distrazioni operati da amici (quello che i francesi chiamano “changer le idées”), possono essere interpretati in questo modo. Si riesce a cambiare oggetto di attenzione, allontanandolo da quelle cose stressanti e dolorose che creano preoccupazione.

Quello che io chiamo “cambiare canale” potrebbe essere molto simile alla dissociazione che vediamo negli stati di trance ipnotica e in certe reazioni ai traumi. Tornando al modello a 360 gradi della consapevolezza potenziale totale, “cambiare canale” (vedi figura 3) vuol dire dirigere l’attenzione a un altro segmento del cerchio: da un arco di 60 gradi a un altro arco di 60 gradi. Questo non comporta un’espansione di consapevolezza, bensì la semplice alterazione di quest’ultima. Con ciò non si vuole negare il possibile valore terapeutico di tale operazione.

Usando l’analogia del “cambiamento di canale”, è possibile comprendere meglio, credo, l’effetto delle droghe psicoattive capaci di alterare lo stato d’animo. Esse alterano la consapevolezza, mentre le droghe psichedeliche la espandono. L’alcool, per esempio, non fa che cambiare il “canale” della consapevolezza, senza espanderla. Così, invece di sentirti teso o ansioso, sei rilassato ed euforico, almeno per un po’, fino a quando l’effetto calmante agisce sulle funzioni cognitive e sensorio-motorie. Lo stesso vale per gli altri farmaci depressivi: essi spostano il centro dell’attenzione dall’ansia al rilassamento. Poiché tali farmaci cambiano il nostro stato d’animo in modo rapido ed efficace, abbiamo imparato che possiamo “evadere” da dolorosi stati interiori, e a questo punto la nascita di una fissazione-dipendenza è molto facile.

Le droghe stimolanti – incluse la cocaina, le anfetamine e anche la nicotina – cambiano il centro dell’attenzione senza espandere la consapevolezza. Attraverso queste droghe si passa spesso da sensazioni di impotenza, inadeguatezza e incapacità, a sensazioni di forza, capacità e potenza sessuale. Il cosiddetto “rush” della cocaina o lo “speed” delle anfetamine (momento di estasi), sono quella sensazione di trovarsi in cima al mondo, pieni di forza e potere, che si prova subito dopo l’assunzione. Un aneddoto personale può servire a capire questo punto.

Anni fa, quando avevo tra i venti e i trenta anni, stavo guidando attraverso la campagna con due amici. Notte e giorno ci alternavamo alla guida. Una volta, in previsione del mio turno di guida a notte inoltrata, presi una pillola di anfetamina. Poi la macchina si ruppe e dovemmo accamparci per la notte, aspettando l’assistenza meccanica che sarebbe arrivata il mattino dopo. Naturalmente, non dormii per tutta la notte: i miei occhi erano sbarrati e la mente andava a mille. Fantasticavo di compiere ogni sorta di impresa grandiosa e arrivai a provare l’euforia del successo fino a quando, ovviamente, mi sgonfiai alla fredda, grigia luce dell’alba.

Mi sono spesso chiesto se la diffusa e crescente attrazione esercitata dalla cocaina e da altri stimolanti (tra cui la nicotina, uno stimolante relativamente blando) non sia in qualche modo un riflesso della sensazione di disperazione e impotenza che tante persone provano, nella nostra società frammentata e segnata da profonde ingiustizie e problemi sociali. Forse c’è anche una differenza caratteriale alla base dell’attrazione provata dalle persone per i farmaci depressivi (che permettono di sfuggire dall’ansia in modo passivo), o per gli stimolanti e le attività che provocano sensazioni di forza e potenza.

Anche la dipendenza dalla rabbia (in tedesco chiamata “Tobsucht”), o la violenza compulsiva, che è spesso, anche se non sempre, associata ad abusi e aggressioni sessuali, può essere interpretata come una reazione, fissa e appresa, a ripetute sensazioni di inadeguatezza e impotenza. Il comportamento aggressivo e distruttivo allontana temporaneamente l’attenzione e la consapevolezza del soggetto da dolorose sensazioni di inadeguatezza e impotenza, e dalla paura di una disperazione ancora più profonda. Avendo imparato una volta una “via d’uscita” da sentimenti-stati estremamente dolorosi, la strada verso la dipendenza e la ripetizione compulsiva è spianata.

Adesso vorrei citare un affascinante articolo su La ritualizzazione dell’odio e della violenza nel razzismo, di Maya Nadig, psicoanalista e professoressa di Etnologia Europea all’università di Brema. In questo articolo viene analizzato l’atteggiamento psicologico dei neonazisti skinhead. Nadig scrive: “Il vestito e l’uniforme paramilitari permettono al giovane di non sentire minacciata la propria virilità… La cultura della violenza è ricercata in modo compulsivo per superare sensazioni di paralisi, vuoto e impotenza… Gli episodi di violenza collettiva creano una sorta di esperienza «rush», in cui i confini esterni e le insicurezze interiori si dissolvono. I soggetti si sentono onnipotenti e dalla parte del giusto: rappresentano un’energia di purificazione che ripristina l’ordine” (Nadig, 1993).

La dipendenza dallo shopping e dal gioco d’azzardo può formarsi perché queste attività spostano momentaneamente l’attenzione da sentimenti di indegnità. In questo caso, l’identità e l’autostima sono strettamente legate ai beni materiali posseduti e alla quantità di soldi spendibili. Lo shopping può dare l’illusione momentanea di possedere più beni e di essere più importanti perché si può spendere di più. Le inserzioni pubblicitarie conoscono questo “complesso del consumatore” e lo sfruttano al massimo, come si può vedere in qualsiasi centro commerciale della periferia, dove il messaggio subliminale, potente e costantemente ripetuto, è: “Comprare va bene”, “Quando compri sei bello e OK”. I giocatori d’azzardo compulsivi, dal canto loro, possono divertirsi con l’illusione, e la possibilità, di vincere improvvisamente grandi somme. Avere beni materiali, o anche solo avvicinarsi alla possibilità di essere ricchi, può farci sentire importanti, ricchi e socialmente stimati.

Il processo che definisco “cambiare canale”, una tecnica pseudo-trascendentale per alterare la propria consapevolezza, può entrare in gioco anche in quelli che popolarmente si chiamano “trip mentali”. Questo è quel genere di attività intellettuale compulsiva che è stata definita anche “dipendenza dal pensiero”. In essa posso identificare un’altra delle mie tendenze compulsive. Nella prima adolescenza ho imparato che potevo spostare la mia consapevolezza dalle sensazioni dolorose che provavo, soprattutto al cuore e alla regione addominale, alla testa: potevo pensare, leggere, scrivere, parlare e ottenere riconoscimenti sociali per la mia attività intellettuale.

Se sto facendo trip mentali, se sono immerso nei pensieri e nelle idee, posso evitare di sentire e di imparare dalle mie emozioni e dalle sensazioni corporee. Per molte persone, questo è il tipo di fuga più facile, la forma di fissazione dipendente più immediata e meno visibile all’esterno. La psicoanalisi lo chiama il meccanismo di difesa dell’intellettualizzazione o razionalizzazione. Portare l’attenzione ai processi di pensiero nella testa richiama facilmente la nozione di trascendenza o di “andare al di là”, forse perché la testa è posta sopra il resto del corpo.

Ma il “cambiamento di canale” è probabilmente un’analogia inappropriata per descrivere la dipendenza spirituale, o la pratica compulsiva della meditazione. Una volta ho avuto una cliente che in precedenza aveva praticato la Meditazione Trascendentale. Ella era molto tesa e ansiosa, eccetto mentre stava meditando, cosa che si verificava due volte al giorno per venti minuti. Nella MT ci si concentra su un mantra specifico, selezionato. In tal modo, la mente può escludere praticamente tutti gli altri pensieri. Mentre meditava, la mia cliente non era ansiosa; nelle altre circostanze, sì. Per cui, questo era uno spostamento del centro di attenzione, un cambiamento di canale, non un’autentica trascendenza o un’espansione di consapevolezza.

L’analogia appropriata per la trascendenza autentica, per l’espansione di consapevolezza, è che si continuano a guardare le immagini alla TV, ma allo stesso tempo si fa un passo indietro, oppure si allontana lo schermo dal viso, rendendo possibile la visione di tutto ciò che c’è nella stanza e, attraverso la finestra, fuori dalla casa. È ancora possibile guardare le immagini della TV, ma stavolta si comprende che è solo una TV, con questo o quel programma, mentre dentro e intorno a te stanno avvenendo molte altre cose. Lo stato trascendentale include la forma precedente, più limitata di attenzione, e si spinge oltre. Adesso hai il quadro generale, per così dire; sai che là fuori c’è tutto un mondo, e che puoi scegliere dove dirigere la tua consapevolezza.

Non ti stai allontanando dal precedente oggetto di attenzione: stai espandendo la consapevolezza. Forse stai passando da un arco di 30 gradi a uno di 90 o 180, che include quello precedente di 30. La vera trascendenza dissolve le fissazioni ed espande le forme contratte di percezione. “Le porte della percezione sono ripulite”, ha detto William James, e questa è anche la frase che Aldous Huxley ha usato per intitolare il suo libro sulle sue esperienze con la mescalina.

La meditazione dell’attenzione (“vipassana”) può produrre la vera trascendenza, perché in essa non cerchi di concentrarti su qualche oggetto o soggetto. Semplicemente, osservi e prendi nota del flusso continuo di sensazioni, sentimenti e pensieri. Tutto ciò che emerge, lo osservi. Non fai altro che prenderne nota. Non te ne allontani, non cerchi di abbandonarlo, non provi a concentrarti su qualcos’altro. Inoltre, non lo analizzi né lo interpreti, come faresti in psicoterapia. Lasci semplicemente che arrivi e scompaia. I pensieri vanno e vengono. Tutti gli aspetti dell’esperienza sono inclusi; niente è lasciato fuori. Ecco perché la meditazione dell’attenzione produce una trascendenza graduale, un distacco e una disidentificazione lenti e progressivi, che può includere i contenuti precedenti della consapevolezza, così come gli elementi di un tutto più vasto.

Nel movimento per la cura dalle dipendenze (come si può leggere negli scritti di John Bradshaw e di altri insegnanti), e nell’insegnamento basilare dei Dodici Passi, si dà moltissima importanza al riconoscimento e all’ammissione delle esperienze terribili e dolorose vissute: la sofferenza, la vergogna, il senso di colpa, l’angoscia, la solitudine, l’abbandono, l’abuso, l’umiliazione, la disperazione e così via. Tale riconoscimento del dolore e della vergogna viene giudicato fondamentale per la liberazione dalla dipendenza. Questo possiamo comprenderlo pensando alla trascendenza autentica, in cui ogni cosa è inclusa (a differenza del “cambiamento di canale”, che di solito si verifica nelle dipendenze, in cui cerchiamo di evitare di affrontare i demoni).

Trascendenza e trasformazione

Una distinzione finale può essere fatta tra la trascendenza, in quanto “andare oltre”, e la trasformazione, in quanto “diventare diversi”. La trascendenza è uno stato alterato di consapevolezza che è sempre temporaneo; qui troviamo tutte le esperienze mistiche, le espansioni di consapevolezza e le estasi. Le trasformazioni sono mutamenti duraturi nella struttura e nella funzione della consapevolezza; ovvero, della mente, delle emozioni, delle percezioni, dell’identità, dell’immagine di sé e così via. Puoi spostare il centro della consapevolezza, o anche espandere quest’ultima, ma la forma-base della consapevolezza resta la stessa. Provocare trasformazioni nelle strutture basilari della personalità può richiedere un lavoro psicoterapeutico o di sistema, cioè addentrarsi nei livelli più profondi del sistema corpo-mente e disfare letteralmente i samskara, i modelli karmici che ti hanno fatto assumere quel tipo di comportamento.

William James, nel suo Le varie forme dell’esperienza religiosa (1902), ha posto il problema di questa distinzione nel modo seguente: egli si è domandato se un’«esperienza di conversione» (come lui definiva l’esperienza trascendentale) avrebbe portato inevitabilmente alla “santità”, cioè a un comportamento migliore, più morale e umano. La sua risposta è stata: non necessariamente. Molto dipende da ciò che la personalità era prima dell’esperienza, e se i mutamenti nel comportamento e nello stile di vita sono stati appropriati. Per qualcuno che stia già facendo, più o meno, il lavoro della sua vita, un’esperienza mistica o estatica può solo essere una conferma del cammino, senza provocare un cambiamento radicale nella sua vita.

Tutte le tradizioni spirituali del mondo riconoscono delle esperienze di trascendenza di qualche tipo, e si ritiene che molte pratiche spirituali provochino stati di consapevolezza più elevati, come la chiaroveggenza, la precognizione e la telepatia. Nello yoga questi si chiamano “siddhi” (poteri), ma tutte le tradizioni tendono a mettere in guardia contro la ricerca o il desiderio eccessivo di essi. Le tradizioni avvertono: non essere troppo avido di queste visioni; esse non sono altro che illusioni, e possono distrarti. Credo che le tradizioni diano questa avvertenza perché riconoscono che è possibile perdersi nelle esperienze trascendentali. Si finirebbe col fare meditazione solo per ottenere in continuazione queste esperienze. Così ti bloccheresti sui mezzi e non sui fini, o su quello che è chiamato “materialismo spirituale”. Per questo gli insegnanti tradizionali dicono spesso: “Continua ad andare avanti, fino alla liberazione totale, all’autorealizzazione o all’illuminazione, che è al di là di tutte le visioni o esperienze dualiste”.

Le pratiche che conducono a esperienze estatiche o trascendentali hanno svolto un ruolo centrale in tutte le tradizioni spirituali del mondo, incluso lo sciamanesimo, da molti considerato la religione e la pratica di guarigione più antica di questa Terra. Alcune di queste pratiche implicavano l’uso di allucinogeni, di piante capaci di produrre visioni, mentre altre usavano tecniche per indurre trance, come i tamburi, il movimento, il digiuno, l’isolamento, le ordalie, la ricerca di visioni, il canto e molte altre. Tutte queste tecniche possono essere oggetto di una ricerca compulsiva quando conducono a fissazioni e contrazioni della consapevolezza. Le tradizioni mettono in guardia contro queste tendenze.

Conclusione

Ebbene, molto brevemente, quali sono le implicazioni di tutto ciò per l’individuo? Poiché potenzialmente tutti siamo dipendenti e abbiamo tendenze alla compulsione, dobbiamo imparare a equilibrare la soddisfazione dei bisogni genuini con le pratiche spirituali della vera trascendenza o dell’espansione di consapevolezza. Dobbiamo imparare a focalizzare consapevolmente la nostra attenzione quando ciò è necessario, e a espanderla quando ciò è indicato. Questo è un altro modo di definire l’antica virtù della moderazione. È l’uso eccessivo, la ripetizione continua, molto al di là del vero bisogno, che ci porta nel modello compulsivo.

Il movimento per la cura dalle dipendenze è un movimento di genuina rivitalizzazione religiosa dove troviamo descritto il cammino spirituale per liberarci dalle dipendenze. Questo cammino può cominciare quando “si tocca il fondo”, accettando il peggio di sé, valutando le proprie forze e debolezze, aggiustando le relazioni deteriorate e rientrando, infine, nella vita sociale. Possiamo paragonare questo modello di recupero ai tradizionali insegnamenti dell’Asia riguardo la trasformazione dell’attaccamento e alle tradizioni occidentali sulla trasformazione psico-spirituale. Da un certo punto di vista, il modello di recupero dalla dipendenza è vicino alla tradizionale concezione religiosa occidentale, come l’ha descritta Dante nella Divina Commedia. Prima c’è la discesa nell’inferno; poi l’impegnativa e dolorosa ascesa della montagna del purgatorio, dove la persona viene trasformata; infine, c’è la trascendenza assoluta nei mondi spirituali, o paradiso.

Per contrasto, nel modello asiatico (sia hindu che buddista), l’accento viene posto maggiormente sul distacco progressivo attraverso la meditazione. Nella ruota del samsara, in ognuno dei sei mondi c’è una figura di Buddha che insegna la via per trascendere o raggiungere la liberazione da quel mondo. In qualunque dimensione ci troviamo, secondo l’insegnamento buddista, possiamo, attraverso la pratica spirituale, trascendere le false dualità e i conflitti, raggiungendo la comprensione e la liberazione dalla ruota delle nascite e delle morti.

dipendenza_trascendenza_01.jpgFigura 1

Stati fondamentali e contratti

Stato fondamentale di consapevolezza

Stato contratto – fissazione

dipendenza_trascendenza_02.jpg

Figura 2

Stati fondamentali ed espansi

Stato fondamentale di consapevolezza

Stato espanso – trascendenza

dipendenza_trascendenza_03.jpg

Figura 3

Stati fondamentali e di “cambiamento di canale”

Stato fondamentale di consapevolezza

Dissociazione – “Cambiamento di canale”

 

 

Ordina i libri con InternetBookshop

William James. Le varie forme dell’esperienza religiosa. Morcelliana. 1998. ISBN: 8837216777

Ordina i libri con Amazon

Ralph Metzner, Richard Alpert, Timothy Leary. The Psychedelic Experience: A Manual Based on the Tibetan Book of the Dead. Citadel Press. ISBN: 0806516526

Ralph Metzner, Timothy Leary, Gunther Weil. The Psychedelic Reader: Selected from the Psychedelic Review. Citadel Press. 1993. ISBN: 0806514515

Ralph Metzner. Green Psychology: Transforming our Relationship to the Earth. Inner Traditions. 1999. ISBN: 0892817984

Ralph Metzner. The Unfolding Self: Varieties of Transformative Experience. Origin Press. 1998. ISBN: 1579830005

Lester Grinspoon, James B. Bakalar. Psychedelic Drugs Reconsidered. Bookworld Services. 1997. ISBN: 0964156857

Stanislav Grof. The Human Encounter With Death. Bookthrift. 1977. ASIN: 0525129758

Ronald S. Valle, Steen Halling. Existential-Phenomenological Perspectives in Psychology: Exploring the Breadth of Human Experience With a Special Section on Transpersonal Psychology. Plenum. 1989. ISBN: 0306430444

Stanton Peele. The Meaning of Addiction: An Unconventional View. Jossey-Bass. 1998. ISBN: 0787943827

Ronald Siegel. Intoxication: Life in Pursuit of Artificial Paradise. Pocket Books. 1990. ASIN: 0671691929

Andrew Weil. The Natural Mind : A New Way of Looking at Drugs and the Higher Consciousness. Houghton Mifflin. 1998. ISBN: 0395911567

Copyright originale “The Journal of Transpersonal Psychology” www.atpweb.org
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per l’edizione Italiana: Innernet.