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Gli strumenti per la nostra maturazione spirituale sono qui, davanti a noi: ma sappiamo vederli?

di Francesco Lamendola - 27/05/2011

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È bello, nella luminosa dolcezza che precede un sereno tramonto della tarda primavera, camminare lentamente lungo la spiaggia, e lasciare che l’onda lunga della bassa marea venga a morire ai nostri piedi, sfiorandoci e avvolgendoci le caviglie con la sua carezza.
È divertente posare il piede sulla sabbia tenerissima e fresca, esattamente là dove il mare bacia la terra, lasciando vagare la mente in libertà, mentre, pur restando silenziosi, anzi appunto per quello,  ci stiamo dicendo assai più cose di quante mai potremmo dircene barattando parole.
La parola tradisce sempre il pensiero, figuriamoci i sentimenti e le emozioni; ma il silenzio, un certo tipo di silenzio, fatto di pura gioia e di grato, umile abbandono dell’ego, è eloquentissimo; e mai, come in questa tiepida sera di maggio, ne sono stato pienamente consapevole, con Sabina che mi cammina al fianco, svelta e leggera.
Talvolta ella si ferma e si china ad osservare una stella di mare o a raccogliere una conchiglia dalla forma e dai colori particolarmente attraenti; talaltra, presa come da una fanciullesca esuberanza di vita, spicca quattro salti in avanti, quasi accennando a dei passi di danza, per poi rallentare e lasciarsi raggiungere o superare.
L’espressione del suo viso è un caleidoscopio di luci e ombre in perenne mutamento: ora tiene il capo chino, con le sopracciglia arcuate e l’aria quasi corrucciata, riflettendo intensamente, o forse, semplicemente, lasciandosi portare da chissà quale ricordo, da chissà quale associazione mentale; ora rialza il viso e il suo sguardo cerca maliziosamente il mio, sfidandolo e poi subito fuggendo, con incredibile velocità di movimenti.
C’è un grande silenzio, a parte il mormorare dell’onda sulla sabbia e, di tanto in tanto, il verso di qualche gabbiano ritardatario che torna verso il nido; un orlo di spuma bianchissima si disegna e si rompe continuamente fra le nostre gambe, e un venticello teso, sempre più forte, ma non fastidioso, anzi gradevolissimo, spira dal mare verso la terra.
Il cielo è rigato di nubi sottili che incominciano a tingersi d’oro e di porpora, ma l’aria è limpida, quasi cristallina, tanto che si possono intravvedere, tremolanti per la distanza ma non per la foschia, le montagne sulla riva opposta del mare, ad almeno duecento chilometri in direzione del mattino; mentre, sul lato opposto, con il Sole ormai basso all’orizzonte, la terra si prepara ad accogliere devotamente le ombre del crepuscolo.
Sabina cammina in quel suo modo caratteristico, tenendo fermo il braccio destro, quasi aderente al corpo, e muovendo invece il sinistro in modo ritmico, accompagnando il moto regolare delle gambe snelle.
Il ciuffo della frangetta le scende sulla fronte e le conferisce un’aria sbarazzina e quasi infantile, che, unita all’impressione del suo fisico asciutto e dalle forme adolescenziali, la fa apparire ancor più giovane e ancor più desiderabile.
Eppure, anche in costume da bagno e anche con quel tratto inconfondibilmente fresco, quasi acerbo, vi sono in lei la dolce pensosità e la matura compostezza della donna adulta, se non proprio anziana: singolarissima «coincidentia oppositorum» nel mistero della stessa personcina, così piccola e ingenua, eppure così grande e compita.
Procediamo così, tutti soli lungo quel tratto di spiaggia semideserta, per un paio di chilometri, in perfetta sintonia e in un vergine silenzio; finché, arrivati all’altezza di un pontile, ci guardiamo con un lampo d’intesa e ci sediamo sulle travi di legno, respirando a pieni polmoni l’aria carica di iodio e riordinando i nostri pensieri.
Sono io a rompere, infine, il silenzio; e lo faccio quasi con il timore di spezzare uno stupendo incantesimo, inesprimibile a parole.
- A che cosa stai pensando?
Mi guarda fisso prima di rispondere, con una luce particolare negli occhi di un incredibile color verde, e con la serietà inattesa di una bambina cresciuta di colpo:
- A niente; cioè a tutto.
Incuriosito, mi protendo verso di lei:
- Dai, racconta.
- Pensavo a come è bello godere del presente, liberi dalle ombre del passato e dalle aspettative del domani: essere qui e ora, senza null’altro che questo cielo, questo mare, questo silenzio, tutta questa bellezza e questa pace infinite.
Sabina è così: ogni volta mi sorprendono la sua freschezza, la sua immediatezza, la sua spontaneità, che non hanno nulla di banale o di superficiale, nulla di artefatto.
- Sì, hai ragione.
- Tu, invece, orso impenitente, raramente sei capace di lasciarti andare, di lasciarti trasportare dal flusso delle cose, dall’armonia del qui e ora.
- È vero.
- Secondo me, il tuo vizio è quello di pensare troppo. Ci fosse una volta che ti vedo senza un libro in mano. Fa’ vedere, che cos’hai stavolta? Gilles Deleuze? Mai sentito. È interessante? Ma no, lasciamo perdere, tanto ci capisco poco…
Mi piace, Sabina: è onesta.
Non vuol sembrare altra da quella che è; non si vergogna di ammettere che non sa qualcosa, anche se non ostenta la sua scarsa preparazione, anzi se ne duole, ma insomma senza perderci il sonno.
Ama la cultura e sa che è importante; ma ama di più la vita e sente, d’istinto - l’infallibile istinto femminile - che la vita non è nei libri; che non è mai stata fra le pagine di un libro e che, a leggerne troppi, si rischia di allontanarsi da essa, come fa il pescatore imprudente allorché si spinge troppo al largo con la sua fragile barchetta.
Si accorge che la sto fissando in un modo particolare e un’ombra di stupore le attraversa gli occhi verdi, rapido come una meteora nel cielo della sera.
- A volte mi sembri un po’ matto. Hai uno sguardo da pazzo…
- Vuoi che ti dica a cosa stavo pensando?
- Sì.
- A un appendino per i pantaloni.
Si lascia sfuggire un lungo sospiro, come se le venisse dal profondo:
- L’ho appena detto che devi essere un po’ svanito, a forza di leggere e di pensare…
- No, dico sul serio. Non vuoi sentire tutta la storia? Guarda che potrebbe anche esserci una morale, dopotutto.
- Che il Cielo ci scampi dalle morali… Di’, non ti sembra che sia un po’ ingrassata, ultimamente? -, mi chiede, considerando con aria dubbiosa le pieghe dell’addome che in qualunque persona, anche se magra, appaiono evidenti nella posizione seduta, quando il tronco è piegato un po’ in avanti, le mani posate sulle ginocchia.
- Ah, sì, orribilmente… Tra poco non entrerai più nei pantaloni.
Sabina si abbassa a raccogliere una manciata di sabbia e me la getta verso gli occhi, ridendo con quel suo riso argentino, irresistibilmente contagioso.
- Scherza, scherza… ma intanto sto ingrassando davvero. Finirò per diventare una balena.
Poi, tornando seria di colpo, come se questo intermezzo non si fosse mai verificato, come se fosse stato un mio sogno ad occhi aperti:
- Forza, racconta la storia dell’appendino: sono tutt’orecchi.
- Presto fatto. Stamattina, entrando in casa, sono andato in camera, passando accanto alla tavola da stiro, che era rimasta, aperta, in mezzo al corridoio.
- Mmmh, promette di diventare una storia davvero intrigante: meglio di un thriller, di quelli che non ti fanno più dormire la notte.
Questa volta sono io a chinarmi per raccogliere una conchiglia e tirargliela velocissimo: il lancio è preciso, ma Sabina è svelta come un gatto a scansarsi e poi subito si raddrizza, come se non fosse successo assolutamente nulla.
- Dunque, stavo dicendo, prima che una maleducata mi interrompesse con la sua sciocca ironia, che sono andato in camera per cambiarmi d’abito, senza fare minimamente caso né alla tavola da stiro né, tanto meno, a quel che c’era sopra.
- Certo; voi uomini, chiedo scusa: voi orsi, siete fatti così. Non vedete mai niente, pare che abbiate le fette di salame sugli occhi, specialmente dentro casa. La polvere, poi, non la notate neppure se è alta mezzo metro; e il disordine più inverosimile non vi fa né caldo, né freddo.
- Ma insomma, mi lasci raccontare o no?
Ora assume la sua aria mortificata, quanto mai buffa, e fa seriosamente  il gesto di incerottarsi la bocca, come a significare che non fiaterà più.
- Dunque, arrivo in camera per cambiarmi d’abito; faccio i soliti gesti meccanici, come potrei farli anche al buio, tanto sono abituali. Ma, stavolta, nell’armadio c’è qualcosa che non quadra: non trovo l’appendino per i pantaloni. Guardo di qua, guardo di là, si capisce, nei soliti posti; poi nei posti più probabili, anche se diversi dal solito: ma niente da fare, non riesco a trovarlo. Alla fine mi spazientisco, ho già perso abbastanza tempo per una simile sciocchezza: stendo i pantaloni sul letto e non ci penso più. Prima o poi salterà fuori, mi dico.
- Ed è saltato fuori, alla fine?
- Certo. E sai dov’era?
- Scommetto che era sopra la tavola da stiro.
- Infatti. Ma io l’ho visto solo quando, più tardi, ci sono ripassato davanti. Anzi, è andata così: sono andato a rispondere al telefono, in corridoio: e in quel momento, trovandomi davanti la tavola da stiro, ho notato l’appendino che vi era poggiato sopra.
- Tutto qui?
- Tutto qui.
- E dove sarebbe questa famosa morale, secondo te?
- Sai che questo episodio, in se stesso estremamente banale, mi è sembrato carico di significato? Mi ha lasciato parecchio pensieroso…
- Altro che matto: tu sei da ricovero, vecchio mio…
- Ma aspetta, ragazzina impaziente: possibile che non comprendi? Io ho “visto” l’appendino solo dopo essermi accorto che non era al suo posto e che non lo trovavo, allorché ne avrei avuto bisogno; ma avrei dovuto vederlo subito, perché ci ero passato proprio davanti, un attimo prima di andarne alla ricerca.
Il viso di Sabina si fa attento, il suo sguardo concentrato:
- Forse comincio a capire…
- Per me, si è trattato di una lezione esemplare: noi abbiamo le cose davanti agli occhi, a portata di mano, ma non le vediamo. Abbiamo a nostra disposizione tutto quel che ci serve, ma la nostra attenzione è selettiva e automatica: vediamo solo quello che ci va di vedere, udiamo solo quello che ci va di udire. Se non siamo pronti, non riusciamo a scorgere nemmeno la montagna che abbiamo davanti al naso, né a udire, fra mille suoni e rumori, l’unica voce di cui avremmo bisogno. Solo quando ci manca qualcosa, ci mettiamo alla sua ricerca; ma le cose sono già qui, sono sempre state qui: tutte le cose di cui potremmo aver bisogno per maturare spiritualmente, per mettere pienamente a frutto la grande lezione della vita.
Lo sguardo di Sabina s’illumina e un sorriso incantevole le increspa le labbra.
- Avevi ragione, orso. Una morale c’era… e mica stupida.
Non diciamo altro; ma si vede che anche lei sta pensando, ora, mentre guarda il mare al tramonto...