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Fa caldo

di Francesco Lamendola - 17/06/2011





Queste giornate della tarda primavera, quando il caldo arriva di colpo e si passa bruscamente dalla coperta di lana al lenzuolo, dal giubbotto imbottito alla camicia con le maniche corte, provocano nell’organismo una vera tempesta ormonale e psicologica, specialmente dopo un inverno particolarmente freddo, come è stato quello da cui siamo usciti.
Il corpo ne risente, ne risente la mente.
Un languore improvviso si impadronisce della pelle, del tatto, del respiro: il vento tiepido che accarezza le braccia e il collo porta l’eco di mondi lontani, di sensazioni dimenticate, di trasalimenti che si credevano perduti.
Oggi fa caldo: sembra una cosa tanto naturale a dirsi; ma quanta novità vi è in queste parole, dopo i lunghi mesi dell’inverno.
La notte ci si rigira inquieti, non più abituati alle alte temperature: e, pur con la finestra aperta, si stenta a trovare il sonno; di giorno, la vampa del sole è divenuta accecante e la strada per andare al lavoro si è trasformata in uno spazio ardente e abbacinato, in cui ci si muove straniti, avanzando con cautela dall’ombra del viale dei bagolari a quella d’una macchia di pioppi, fermandosi a riprendere il fiato sul ponte che scavalca il fiume.
La pelle traspira: sotto le vesti leggere, assapora un nuovo senso di libertà, come se si fosse liberata dalle catene di una antica schiavitù.
È strano.
Solo qualche mese, faceva talmente freddo che il corpo era completamente intirizzito e stretto come in una gelida morsa; ed ecco che uno straordinario senso di leggerezza è subentrato, tutto appare semplice e naturale, il passo ha acquistato una fresca elasticità giovanile, quasi che molti anni gli fossero scivolati di dosso, facendolo tornare fanciullo.
Certo, il sudore è fastidioso: è antiestetico, dà una sensazione di disagio, di disordine: non si vede l’ora di arrivare a casa per cambiarsi, rinfrescarsi e farsi una bella doccia; eppure, nello stesso tempo…
Sì, bisogna ammetterlo: il sudore ha anche qualcosa di sensuale, di erotico: un corpo sudato è eccitante, a suo modo, come lo è un corpo abbronzato; vi è una naturalità quasi animale nel  suo offrirsi indifeso agli ardori del maggio inoltrato, del giugno.
E poi, gli odori: quel profumo esotico che portano con sé le donne, dopo essersi spalmate la crema sul viso, sul collo e sulle tempie: come un soffio che arrivi direttamente da terre e mari lontanissimi o, forse, da qualche remoto angolo dell’infanzia.
Bambini, eravamo in spiaggia e tutto era una festa di luce, di colori, di sole, di mare, di vento; e di aromi delicati e indefinibili, qualcosa di totalmente alieno rispetto a ciò che l’olfatto percepiva in città, per le strade, nell’aula scolastica.
E quel profumo di crema solare che permeava ogni cosa, dalla cabina agli ombrelloni multicolori, alle stuoie abbandonate sulla sabbia calda, come le armi di un esercito disfatto e scomparso chissà dove…
E quelle donne meravigliose, con il cappello a larghe tese e le grandi borse di paglia da cui uscivano gli asciugamani: sembravano divinità di un altro mondo, sacerdotesse di un rito ineffabile, così come le vedeva un bambino ancora ignaro del mistero della sessualità, e tuttavia segretamente affascinato da quel loro incedere da regine africane.
Frammenti di ricordo che emergono qua e là dai varchi della memoria, mentre il caldo si distende su ogni cosa e s’insignorisce delle strade, batte sui tetti delle case e dardeggia sulle cime degli alberi, mentre il cielo è tutto azzurro e le poche nuvole veleggiano come ali nel cielo.


*   *   *
Il termometro continua a salire e così pure l’igrometro: fa caldo e si avverte, nell’aria, una fortissima percentuale di umidità.
In luglio, in agosto ci si è abituati: sia il corpo, sia la mente hanno assunto quel certo ritmo, sono allenati a sostenere quelle particolari condizioni; ma adesso, quando si sono appena smessi gli abiti pesanti, il brusco cambiamento fa uno strano effetto.
Ci si sente come un po’ fuori centro, come trasognanti; ed è una sensazione non priva di una sua inattesa dolcezza, perfino di una certa voluttà: come una vacanza da tanto tempo attesa e poi giunta all’improvviso, quando ormai non ci si sperava più.
Il mondo appare un po’ diverso da prima: appena un poco, quanto basta per accorgersi che è sempre lo stesso, eppure anche rinnovato.
Si riscopre la fisicità delle cose: quei colori più abbaglianti, quegli odori più intensi: di terra, di fiori, di vento; quei suoni più acuti…
I suoni, per esempio: le finestre sono aperte a causa del caldo ed ecco che, di colpo, ci si accorge quanto sia rumorosa la via, quanto traffico vi transiti continuamente: il rumore dei motori accesi, delle frenate all’altezza del semaforo, tutto questo non si sentiva fino a ieri, o giungeva molto ovattato, a causa dei vetri ben chiusi, perché non entrasse il freddo.
E questo brusio continuo, questo sottofondo rumoroso che porta le voci delle vita esterna, è come uno sguardo indiscreto che penetra da una porta socchiusa; che entra, non invitato, e si posa su ciò che è intimo, su ciò che è soltanto nostro: eppure non si può dire nemmeno che sia molesto, è semplicemente un ospite rozzo che si è invitato da sé, ma la cui compagnia, in fin dei conti, non riesce del tutto sgradita.
Alla sera, dai balconi aperti giungono le voci dei bambini che giocano in strada, nei giardini: le loro corse in bicicletta, il loro giocare a nascondino; ed è come una ventata d’aria fresca in un ambiente chiuso e un po’ stantio.
D’inverno, i bambini parevano scomparsi: se ne stavano in casa a fare i compiti o, forse, seduti davanti alla televisione; ma ora, le belle sere calde di maggio li richiamano fuori con prepotenza e l’aria risuona tutta dei loro richiami, delle loro voci argentine.
È bello sentirli; riempie il cuore di dolcezza.
Ci si sente di nuovo un po’ bambini, un po’ stupefatti, un po’ incantati davanti all’immenso mistero del mondo; ci si sente cader giù la scorza dell’uomo adulto che non crede più a niente, che è stanco di tutto ma che, nonostante ciò, vorrebbe sognare ancora una volta.
E poi, le rondini: lo stridio delle rondini che entra dalle finestre aperte e che porta, con le prime ombre della sera, ricordi di anni lontani, di serenità, di pace.
Sembra di vederle volare in cerchi sempre più ampi, descrivere magiche circonferenze, sfrecciando nell’azzurro, senza neanche bisogno di affacciarsi alla finestra per scorgerle materialmente: basta sentirle, perché si apra una prospettiva smisurata, si squarci un orizzonte più vasto di quanto riusciremmo a immaginarlo con uno sforzo supremo della fantasia.
Pochi suoni come lo stridio delle rondini sanno risvegliare distanze immense, pensieri piacevolmente indeterminati, che hanno in loro qualcosa del soffio dell’oceano e della carezza dell’eternità.
E non è solo questo; è anche qualcos’altro, di teneramente malinconico, che avvertiamo nelle profondità del nostro essere.
Sentiamo che un’epoca è passata, che qualcosa di nuovo sta nascendo, sta bussando alla nostra porta: qualcosa di uguale a un anno fa, eppure diverso, perché noi siamo diversi: non siano più gli stessi, non lo saremo mai più.
In queste lunghe sere della tarda primavera, calde e dolcemente familiari, qualcosa finisce e qualcosa sta muovendo i primi passi; che cosa esattamente, non sapremmo dirlo: ma intanto noi diventiamo altro da quello che eravamo, come una musica sussurrata in riva al fiume.

*   *   *
Fa caldo anche la notte.
Le stecche della persiana lasciano filtrare strisce di luce dalla strada, che si proiettano vivacemente sulla parete opposta della camera da letto, mentre dalla finestra aperta entra il profumo della notte, carico di lontane suggestioni.
La birra fresca era una meraviglia, ma la pizza resta sempre un po’ sullo stomaco; e così la mente vaga qua e là nelle ore che fuggono via davanti al sonno, affastellando mille pensieri, mentre sul muro si inseguono le luci e le ombre della notte.
Un’altra primavera sta finendo, un’altra estate sta arrivando: le stagioni si succedono con regolarità, ma ogni volta con un senso di sorpresa; e, ogni volta, lasciando qualche ruga in più sul nostro volto, qualche nuova ombra nel nostro sguardo.
Lo sguardo del bambino è perfettamente limpido: vede le cose con stupore immenso e le vede con tutta l’anima, non solo con il pensiero razionale: perciò ne scorge anche la parte nascosta, anche la parte che gli adulti non riescono più a vedere.
Poi, mano a mano che gli anni trascorrono e il bambino cresce, il suo sguardo incomincia a intorbidarsi, a farsi più stanco e abitudinario: le cose non gli sono più naturalmente amiche, non gli parlano più d’istinto e, soprattutto, non gli si mostrano più per intero, compreso il loro lato nascosto, ma solo così come le percepisce il pensiero strumentale e calcolante.
È l’inizio del disincanto del mondo, che, per molti, dura tutto il resto della vita, con tristezza crescente.
Pure, non è un destino che ciò debba accadere: nulla ci impedisce di conservare i nostri sogni, i nostri sogni di bambini, soltanto portandoli su un piano più elevato di consapevolezza, ma conservando tutta la fragranza del loro primo incanto.
In genere diamo la colpa del disincanto alle circostanze della vita; invece esso dipende da noi, molto più di quanto non crediamo, né siano disposti ad ammettere.
E questa notte calda che già prelude all’estate, con le macchie di luce sulla parete e il sussurro della strada che entra dalla finestra aperta, è la stessa di un tempo, di quando eravamo bambini, se noi sappiamo ritrovare lo sguardo limpido di allora: tutto permane e nulla scompare, per chi abbia appreso il segreto della seconda vista.
Anche il caldo è ancora quello: col suo profumo di creme femminili, di vegetazione in fermento, di vernice fresca delle case appena ridipinte.
Con le sue atmosfere di lontananza, di sogni indistinti e meravigliosi: quando si aspettava la fine della scuola e la partenza per le vacanze; quando si gioiva nel vedere la mamma che tirava fuori le valige e cominciava a prepararle per la partenza.
Sì: c’è come un’aria di partenza, quando arriva il caldo; anche se si sa di non dover partire: è come se giungesse un invito da qualche luogo remoto, un invito suadente, del quale si avverte fortissimo il richiamo.
Il corpo respira aria di libertà; e l’anima si avvolge in un sogno voluttuoso, fatto di fili evanescenti, come la rugiada che si posa sulle foglie del bosco, in una notte incantata di mezza estate, popolata di sogni, di fatine e di folletti.
Il grillo canta la sua canzone festosa e sempre uguale, immerso nel buio, mentre la Luna si riflette nelle acque calme del ruscello.
In momenti come questi, si vorrebbe che il tempo si fermasse.
Eppure, si è già fermato: quando ci abbandoniamo all’incanto del mondo e al silenzioso fluire dell’essere, noi siamo già al di là del tempo e dello spazio.
Siamo già nell’assoluto e nell’eterno: solo che non lo sappiamo.
Le stelle ammiccano alte nel cielo e tutto è pace.
La notte fragrante, la notte amica veglia su di noi.
Tutto è così come deve essere: perfetto, armonioso.
E tutto è pace, bellezza, meraviglia.