Petrolio, basta autoinganni I giacimenti si vanno esaurendo
di Giorgio Ferrari - 07/10/2005
Fonte: avvenire.it
Petrolio, basta autoinganni I giacimenti si vanno esaurendo
Giorgio Ferrari
Nel sottosuolo della penisola arabica si annidano dai 500 ai 700 miliardi di barili di petrolio, bastevoli da soli a nutrire la fame energetica mondiale per i prossimi 50 anni (Fonte: la Aramco, compagnia nazionale saudita). Nient’affatto: il trono wahhabita ha già spremuto il massimo dai deserti che avvolgono la città proibita di Riad e gli anni a venire segneranno solo il suo inesorabile declino di signore dell’oro nero (da un rapporto di Energy Intelligence). Contrordine: ci sono oltre 2.500 miliardi di barili in giro per il mondo ancora da estrarre, una vera manna (US Geological Survey). Niente affatto: le grandi scoperte petrolifere si sono esaurite già a metà degli anni Sessanta (Crude Oil Geological Research di Londra). Il petrolio da raffinare in benzina si riduce di 2 milioni di barili al giorno a causa della penuria di greggio pesante (Fonte: PowerSwitch). «Possiamo aumentare la produzione anche del 300%, solo che non vogliamo farlo» (annuncio dell’Opec). La via che conduce al collasso annunciato delle economie mondiali è – come vedete – lastricata di menzogne o, al massimo, di crudeli autoinganni. Perché l’unico dato certo, in questa babele di cifre, di stime, di proiezioni, tutte contraddittorie quindi tutte prive di reale credibilità, è che la domanda di petrolio sale vertiginosamente e l’offerta non riesce a tenerle dietro. In altre parole la risorsa petrolifera – intesa come riserva di materia prima – si sta affievolendo, o se preferite, detta ancor più crudamente, stiamo probabilmente esaurendo il petrolio a nostra disposizione. Non è fantageologia, è così. La Cina assorbe una sempre maggiore quantità della domanda petrolifera mondiale. La Cina è un gigante demografico, economico, politico e militare. I suoi ritmi di crescita viaggiano sul 9% all’anno. Chiedere ai cinesi di fermarsi è una pia illusione: un miliardo e trecento milioni di persone sono in marcia verso una promessa di benessere (e di riscatto, visto che l’Impero Celeste è già stato una superpotenza per secoli, con un Pil equivalente a quello dell’Inghilterra vittoriana) che nessuno può loro vietare. Neanche l’America può fermarsi: l’idrovora statunitense consuma il 25% delle risorse mondiali che le consentono elevati standard di vita e un potenziale economico, militare e scientifico senza eguali al mondo. No, nemmeno l’America si fermerà. Che fare?, domandava retoricamente Lenin. Una domanda analoga se la poneva ieri il quotidiano di Rifondazione comunista, Liberazione, il quale aggiungeva – udite, udite – che è meglio diversificare le fonti. Sappiamo che il petrolio copre solo il 35% del fabbisogno energetico mondiale, e che il suo consumo cresce di oltre il 2% all’anno. Il resto è affidato a fonti rinnovabili (11%), al nucleare (7%), al gas naturale (21%), al carbone (24%). Ma sono cifre del passato, che non guardano al futuro. Il futuro ci sta ammonendo: il petrolio non basta più, bisogna cercare altre fonti, altri rimedi, che non siano soltanto calmieratori dei prezzi. A proposito dei quali una domanda – anche questa rimasta misteriosamente sotto traccia, come l’intero problema, quasi fosse una rimozione collettiva – corre febbrile per tutta Europa: fino a quando l’euro forte (ma è meglio dire il dollaro debole) farà da scudo all’urto della bolletta petrolifera? Fino a quando nasconderemo – noi, i governi, la politica – la testa sotto la sabbia?