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Copiare fa bene

di Claudio Magris - 13/06/2006


 

A scuola, come nella vita, ciascuno dovrebbe essere consapevole del proprio ruolo e fare bene la parte che gli spetta.


Anzitutto copiare (in primo luogo far copiare) è un dovere, un’espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino (poco importa se per un’ora o per una vita)che costituiscono un fondamento dell’etica. Passare il bigliettino al compagno in difficoltà insegna ad essere amici di chi ci sta a fianco e ad aiutarlo pure a costo di rischi, forse anche quando, più tardi, tali rischi, in situazioni pericolose o addirittura drammatiche, potranno essere più gravi di una nota sul registro.

Chi, sapendo un po’ più di informatica o di latino di quanto ne sappia il compagno di banco, non cerca di passargli il tema resterà probabilmente per sempre una piccola carogna (il termine appropriato sarebbe un altro, più colorito e disdicevole) e magari si convincerà che quel voto in più sulla sua pagella, casuale e precaria come ogni pagella, sia chissà cosa: ossia diventerà un imbecille.

Se agli scolari tocca copiare, agli insegnanti tocca impedirlo, e il gioco va bene se ognuno fa ciò che gli spetta, senza bollare la copiatura come un crimine e senza rivendicarla come un diritto contro la repressione scolastica. Le cose si guastano invece quando tutti vogliono fare tutto e la scuola, o l’esistenza intera , diventa un Comitato universale permanente, in cui i docenti esortano gli alunni a manifestare la loro creatività rifiutandosi di studiare e gli alunni si mettono al posto dei docenti per rinnovare pedagogicamente la scuola, anziché marinarla ogni tanto, o lamentano che in classe non si leggano autori contemporanei, come se la scuola fosse una mucca da cui succhiare ogni latte e non fosse possibile leggere qualcosa per conto proprio.

In questo non ci si diverte più, come non ci si divertirebbe a scopone se ogni giocatore, anziché cercare di far scopa, primiera e settebello, cercasse di far vincere gli altri per evitar loro frustrazioni. E se non ci si diverte si impara poco.