Gli intellettuali del 'Corriere'
di Stefano Vernole - 07/10/2005
Fonte: rinascita.info
Gli intellettuali del 'Corriere'Stefano Vernole |
Evidentemente a corto di collaboratori, l’editoria italiana sempre più succube delle direttive provenienti d’Oltreoceano ha pensato bene di ricorrere ai contributi di noti esperti statunitensi. Il ”Corriere della Sera”, perciò, dedica ormai settimanalmente un’intera pagina ai “consigli” provenienti da Washington, spacciandoli appunto per “idee” o “cultura”.
Dopo aver così dato spazio al noto esponente neocons, Charles Krautammer, che già sul “Resto del Carlino” aveva dispensato perle di saggezza a favore dell’alleato di Tel Aviv e che sul “Corrierone” ci aveva invece spiegato come grazie alla globalizzazione la povertà nel pianeta fosse diminuita …, la scorsa settimana è stato il turno di Robert D. Kaplan.
Costui, in un articolo dal titolo immaginifico “L’imperialismo aiuta il mondo”, vuole invece convincerci che i vari interventi militari statunitensi avvengono sempre su richiesta di aiuto di altrettanti governi democratici, evidentemente sedotti dallo spirito umanitario emanato dal Pentagono.
Sorvolando sulle oltre 250 guerre condotte nella loro storia dagli Stati Uniti (senza che il suo territorio fosse mai stato invaso), Kaplan addita come esempio 5 casi particolari:
la modernizzazione delle forze armate della Georgia, 2) l’emarginazione nel sud delle Filippine del gruppo islamico “Abu Sayyaf”, 3) la lotta contro il narcoterrorismo in Colombia, 4) l’addestramento delle squadre di pronto intervento in Nepal in caso di terremoto, 5) la sorveglianza dello stretto di Malacca per tenere aperte le vie di transito al commercio globalizzato. Unico inconveniente è quello di un’eccessiva sovraesposizione che potrebbe causare il pericolo di esaurimento delle risorse, soprattutto in contesti bellici come quello dell’Iraq dove sono impiegate continuamente truppe ad alta professionalità; proprio in relazione al pantano mesopotamico arrivano le critiche che ingiustamente sta subendo oggi la Casa Bianca (egli suggerisce probabilmente di coinvolgere maggiormente gli “alleati” europei) e su questo limite è necessario “lavorare”.
Ora, il buon Kaplan, evita astutamente di spiegarci come le relazioni internazionali e la geopolitica siano in realtà un “gioco a somma zero” e quindi l’occupazione di spazio provochi l’aumento della potenza di uno Stato e la perdita d’influenza da parte di un altro.
Solo in funzione di questo obiettivo vanno allora inquadrate le varie operazioni di “peacekeeping” statunitensi in giro per il mondo e non certo come ausili umanitari per i popoli interessati.
Anche solo fermandoci agli esempi proposti da Kaplan, si potrebbe sinteticamente rilevare come l’addestramento delle truppe in Georgia corrisponda alla strategia di destabilizzazione della Russia nel Caucaso, la presenza nelle Filippine a quella di una vera e propria occupazione coloniale (che dura ormai da più di un secolo), il sostegno in Colombia come pretesto per reprimere tutte le opposizioni sociali del paese (il narcotraffico, peraltro, storicamente principale fonte d’introito per il mercato capitalistico sotto supervisione CIA è oggi molto più diffuso in Bolivia e Afghanistan che in Colombia), quanto al Nepal, in posizione strategica essendo vicino a India e Cina potenze in ascesa , ci sarebbe alquanto da ridere (se non si trattasse di una tragedia) pensando alla figuraccia appena rimediata in Florida con i soccorsi ... così come è ovvio che lo stretto di Malacca debba essere tenuto sotto controllo dalla più grande talassocrazia del pianeta.
Ma lo stesso giorno, nella sezione “cultura” del “Corriere”, un altro noto intellettuale (stavolta italiano) viene a erudirci.
Vittorio Strada, evidentemente convinto come il generale Jean che per la Russia “soltanto l’occidentalizzazione possa consentire di giocare un ruolo attivo di attrazione degli altri paesi e non di essere soltanto sulla difensiva, come lo è oggi”, si mostra sorpreso e preoccupato dalla rivalutazione che pare stia avvenendo a Mosca della figura di Ivan il Terribile.
Quest’ultimo, immancabilmente colpevole per aver fatto della Russia una grande potenza, fu non a caso esaltato anche da Stalin e si configura come il simbolo principale dell’attuale nostalgia per il passato e il prestigio perduti.
Per fortuna, dopo le citazioni dotte, Strada viene a spiegarci il vero problema, che consiste nel tentativo dell’attuale presidente Vladimir Putin di costituire dei movimenti giovanili da schierare in piazza quando i “democratici” finanziati dall’Ovest cercheranno di porre fine alla sua “autocrazia”, sull’esempio di quanto già avvenuto in altre nazioni della CSI.
A fianco dei filoputiniani “Camminare insieme” e “I nostri” viene stigmatizzata la recente presenza dell’Unione Eurasiatica russa di Valerij Voronin, che pur appoggiando criticamente il Cremlino non ha nessuna intenzione di lasciare spazio ai figliocci di Soros.
I giovani di Aleksandr Dugin, forti di un’organizzazione a rete basata soprattutto su internet e altri mezzi mediatici, possono già ora mobilitare dalle 15000 alle 20000 persone, ma si stima possano presto contare sull’adesione di almeno 200000 simpatizzanti.
Costoro sono da Strada considerati i gruppi più pericolosi, perché portatori di un’idea imperiale mistica che affonda le sue radici nella gloriosa tradizione russa; per criminalizzarla, ovviamente, il “Corriere” utilizza la solita disinformazione, proponendo l’immagine di una militante del partito nazionalbolscevico (bella ragazza comunque …) in un improbabile saluto romano, ma dimenticando di scrivere che Limonov (segretario del medesimo partito) è già da diversi anni avversario di Dugin e convinto sostenitore della caduta di Putin …
Lo scrittore italiano conclude perciò rammaricandosi che “la Russia di oggi non riesca a liberarsi del peso della sua storia, non per ignorarla ma per padroneggiarla criticamente e cercare nuove vie della propria identità nel mondo”.
Forse Strada dimentica che dalla caduta del Muro di Berlino in avanti la Russia, a causa anche della complicità di agenti atlantisti interni, non ha subito altro che saccheggio e devastazione ad opera delle oligarchie finanziarie occidentaliste, così come l’assedio militare della NATO è continuato a spron battuto fino quasi alle porte di Mosca.
Il presidente Putin, che pur disponibile alla cooperazione (soprattutto con l’Europa) non è però un ingenuo, ha iniziato a prendere le sue contromisure, suscitando l’ovvia irritazione di Washington.
Non a caso il capo dei Servizi di sicurezza russi, Nikolaj Patrushev, ha accusato governi stranieri e relativi Servizi segreti di “usare le ONG per finanziare e sostenere cambi di potere nelle Repubbliche ex sovietiche, allo scopo d’indebolirvi l’influenza russa e mettere le mani sui giacimenti di petrolio di alcuni nuovi Stati indipendenti, nonché sulle rispettive reti di distribuzione”.
In particolare, durante una riunione tenutasi lo scorso luglio in Slovacchia, sarebbe stato deciso lo stanziamento di 5 milioni di dollari per continuare le “rivoluzioni di velluto” nello spazio postsovietico, a cominciare dalla Bielorussia e proseguendo poi con il Kazakhstan.
Ad Astana, visitata pochi mesi fa proprio da Soros, sembrava si fosse optato di utilizzare il famoso Baku-Tblisi-Cehyan per il trasporto del proprio greggio, collegandosi a Sangachal-Baku con un oleodotto sottomarino in partenza dal suo terminale di Aktau.
La recente “rimonta” effettuata da Putin in questi ultimi giorni sul Kazakhstan, a scapito degli interessi atlantisti, ha immancabilmente scatenato il coro degli intellettuali politicamente corretti sulle ineliminabili nostalgie zariste-comuniste della Russia al fine di mettere in guardia il mondo dal solito pericolo “rosso-bruno”; in verità, si tratta di note rivalità geopolitiche che la propaganda orwelliana dell’Occidente non manca di giudicare alla sua maniera.
Stefano Vernole