Che vuol dire essere alla moda? Secondo i dizionari significa saper individuare ciò che è giusto e adeguato al momento presente. Ad esempio sono alla moda, in questa per nulla torrida quasi estate, le giovani donne con l’ombelico in bella mostra… Come lo sarebbero, ma d’inverno (un freddo inverno), le stesse ragazze di cui sopra, completamente rivestite di felpe, jeans, scarpe da tennis e con zainetto sulle spalle. Per contro chi tiene coperto l’ombelico e non porta felpe e jeans non è sicuramente trendy: né in estate né in inverno.
A prima vista perciò essere alla moda, significa seguire un certo modello (di abiti, e più in generale di consumi) apprezzato da alcuni e rifiutato da altri. Chi va in giro mezzo nudo si sente diverso da chi è più pudico, e al contempo uguale a chi condivide la sua scelta. Ovviamente tra coloro che sbandierano l’ombelico, c’è chi ama esibirlo, “impreziosendolo” con piercing e tatuaggi, un elemento, quest’ultimo di ulteriore diversità, che consente maggiore stratificazione: chi mostra l’ombelico è alla moda, chi ha un piercing “ombelicale” lo è ancora più , e chi oltre al piercing ha anche un tatuaggio, è decisamente supertrendy ( se però nel frattempo la moda fosse cambiata, desiderei essere avvisato... Grazie).
Questo per chiarire che la moda, come il poker, si basa sul costante rilancio delle somme puntate: più si corre dietro alla moda più si aspira a essere diversi dagli altri: persino da chi provvisoriamente condivide i nostri stessi gusti. Di qui un processo a spirale, che spesso, come nel caso delle diete estreme, finisce per stritolare chiunque capiti tra suoi ingranaggi.
E’ anche lecito chiedersi perché e come nasca la moda. Per dirla con Georg Simmel, ogni società, anche quella tradizionale si fonda su un contrasto sociale che nasce dal bisogno dell’uomo di essere al contempo uguale e diverso dall’ altro. Per sanare questo conflitto ogni gruppo sociale fissa, o prova a fissare, il suo punto di equilibrio, che ovviamente sarà diverso a seconda dei valori condivisi: una società sacerdotale punterà sulla riduzione dei consumi e controllerà rigidamente le mode, invece una società liberale incentiverà gli uni e le altre. Ma entrambe dovranno fare i conti col bisogno umano, insopprimibile, di confrontarsi con l’altro anche attraverso la moda.
Ora, il problema è che le nostre società, e probabilmente per ragioni economiche (un capitalismo che cessasse di produrre sarebbe perduto), devono ignorare il senso del limite. Pertanto il “punto di equilibrio” tra l’essere uguali è diversi viene costantemente sposato in avanti: l’individuo non può e non deve avere tregua, il consumo di mode è tutto, la persona nulla. Ha perciò importanza relativa scoprire se la moda oggi nasca dall’ imitazione in basso dei gusti del jet set, o dalla ripresa in alto, da parte di guru musicali e pubblicitari, di tic e atteggiamenti del sottoproletariato nordamericano. Il vero problema è il rifiuto del limite, o comunque di un equilibrio stabile.
Non ci si deve perciò scandalizzare per un ombelico scoperto, ma per l’infernale meccanismo che vi è dietro: quello di una macchina mediatica ed economica, che pur inneggiando alla creatività del singolo, lo spinge, attraverso il frenetico susseguirsi delle mode, verso il precipizio di una nevrosi dell’apparire. Un male “sociale” che inizia da giovani col culto dei consumi inutili, per poi diventare sempre più insidioso, soprattutto da adulti, quando si scopre che il capitalismo non è il Paese dei Balocchi. A quel punto però è già tardi, le frustrazioni hanno avuto il sopravvento. E l’uomo troppo impotente e avvilito per reagire, privo di autentiche radici, continua a comprare di tutto, sperando così di guarire, mentre in realtà si consegna alle sue due ossessioni: comprare e apparire, apparire e comprare…
Ovviamente, va anche respinta ogni pericolosa nostalgia per l’Età della Pietra, o per la Cina di Mao, dove ci si vestiva tutti uguali. Si dovrebbe invece riscoprire il senso del limite, almeno sul piano individuale, come giusto equilibrio interiore tra essere e apparire, tra uguaglianza e diversità.
Anche perché, come abbiamo visto, seguire la moda è una gran fatica: si corre e si suda, per poi ritrovarsi sempre al punto di partenza. Misteri dell’uomo? Della moda? No, del capitalismo.
A prima vista perciò essere alla moda, significa seguire un certo modello (di abiti, e più in generale di consumi) apprezzato da alcuni e rifiutato da altri. Chi va in giro mezzo nudo si sente diverso da chi è più pudico, e al contempo uguale a chi condivide la sua scelta. Ovviamente tra coloro che sbandierano l’ombelico, c’è chi ama esibirlo, “impreziosendolo” con piercing e tatuaggi, un elemento, quest’ultimo di ulteriore diversità, che consente maggiore stratificazione: chi mostra l’ombelico è alla moda, chi ha un piercing “ombelicale” lo è ancora più , e chi oltre al piercing ha anche un tatuaggio, è decisamente supertrendy ( se però nel frattempo la moda fosse cambiata, desiderei essere avvisato... Grazie).
Questo per chiarire che la moda, come il poker, si basa sul costante rilancio delle somme puntate: più si corre dietro alla moda più si aspira a essere diversi dagli altri: persino da chi provvisoriamente condivide i nostri stessi gusti. Di qui un processo a spirale, che spesso, come nel caso delle diete estreme, finisce per stritolare chiunque capiti tra suoi ingranaggi.
E’ anche lecito chiedersi perché e come nasca la moda. Per dirla con Georg Simmel, ogni società, anche quella tradizionale si fonda su un contrasto sociale che nasce dal bisogno dell’uomo di essere al contempo uguale e diverso dall’ altro. Per sanare questo conflitto ogni gruppo sociale fissa, o prova a fissare, il suo punto di equilibrio, che ovviamente sarà diverso a seconda dei valori condivisi: una società sacerdotale punterà sulla riduzione dei consumi e controllerà rigidamente le mode, invece una società liberale incentiverà gli uni e le altre. Ma entrambe dovranno fare i conti col bisogno umano, insopprimibile, di confrontarsi con l’altro anche attraverso la moda.
Ora, il problema è che le nostre società, e probabilmente per ragioni economiche (un capitalismo che cessasse di produrre sarebbe perduto), devono ignorare il senso del limite. Pertanto il “punto di equilibrio” tra l’essere uguali è diversi viene costantemente sposato in avanti: l’individuo non può e non deve avere tregua, il consumo di mode è tutto, la persona nulla. Ha perciò importanza relativa scoprire se la moda oggi nasca dall’ imitazione in basso dei gusti del jet set, o dalla ripresa in alto, da parte di guru musicali e pubblicitari, di tic e atteggiamenti del sottoproletariato nordamericano. Il vero problema è il rifiuto del limite, o comunque di un equilibrio stabile.
Non ci si deve perciò scandalizzare per un ombelico scoperto, ma per l’infernale meccanismo che vi è dietro: quello di una macchina mediatica ed economica, che pur inneggiando alla creatività del singolo, lo spinge, attraverso il frenetico susseguirsi delle mode, verso il precipizio di una nevrosi dell’apparire. Un male “sociale” che inizia da giovani col culto dei consumi inutili, per poi diventare sempre più insidioso, soprattutto da adulti, quando si scopre che il capitalismo non è il Paese dei Balocchi. A quel punto però è già tardi, le frustrazioni hanno avuto il sopravvento. E l’uomo troppo impotente e avvilito per reagire, privo di autentiche radici, continua a comprare di tutto, sperando così di guarire, mentre in realtà si consegna alle sue due ossessioni: comprare e apparire, apparire e comprare…
Ovviamente, va anche respinta ogni pericolosa nostalgia per l’Età della Pietra, o per la Cina di Mao, dove ci si vestiva tutti uguali. Si dovrebbe invece riscoprire il senso del limite, almeno sul piano individuale, come giusto equilibrio interiore tra essere e apparire, tra uguaglianza e diversità.
Anche perché, come abbiamo visto, seguire la moda è una gran fatica: si corre e si suda, per poi ritrovarsi sempre al punto di partenza. Misteri dell’uomo? Della moda? No, del capitalismo.