Rabbia e orgoglio… afghani
di Massimo Fini - 13/06/2006
L’altro giorno è bastato
un incidente stradale
perché a Kabul,
una delle poche aree controllate
dalle forze internazionali
dell’Isaf, peraltro asserragliate
in fortini con mura alte più di
cinque metri (il resto è in mano
ai capi tribali e ai Talebani che
sono ormai a 50 chilometri
dalla capitale), scoppiasse
un’insurrezione popolare. Un
convoglio americano che,
come del resto tutti quelli occidentali,
procedeva a velocità
folle per paura di imboscate ha
travolto dodici macchine, fatto
un morto e alcuni feriti. Gli
americani non si sono fermati.
Allora la gente li ha presi a
sassate. I soldati hanno sparato
sulla folla. Secondo le autorità,
i morti sono stati diciotto,
i feriti cento.
La rabbia della gente di Kabul
è diventata incontenibile, una
folla immensa ha cominciato a
percorrere le vie della città
attaccando ambasciate, sedi
dell’ONU, sedi delle Ong, i
quartieri ricchi dove vivono gli
occidentali. Insomma, come
scrive il Corriere della Sera,
«chiunque non fosse afghano».
Il governo Karzai ha addebitato
l’insurrezione a "sobillatori",
ma perfino l’iper filo-occidentale
Franco Venturini ha
dovuto ammettere, sempre sul
Corriere
, che qui i "sobillatori"non c’entrano nulla e
ancor meno i "terroristi" e che
l’episodio è dovuto «all’emergere
di un diffuso clima di rabbia
che si scarica sulla presenza
militare straniera».
Burhannuddin Rabbani, che fu
Presidente dell’Afghanistan
durante il periodo intercorso
fra la cacciata dei sovietici e
l’avvento dei Talebani, attribuisce
questa rabbia, questo
malcontento, questo malessere
diffusi alla debolezza, all’incapacità,
alla corruzione di
Hamid Karzai, il fantoccio
degli americani, e della sua
cricca, cui si aggiunge «la corruzione
dei funzionari delle
ambasciate straniere» (
Corriere,30/5). Per cercare di controllare
in qualche modo una
situazione che si fa ogni giorno
più esplosiva, gli americani,
col paravento di Karzai, stanno
arruolando, armando e
finanziando le milizie tribali al
confine con il Pakistan, per
combattere i talebani. «Credono
di poter comprare la fedeltà
con i dollari - dice Rabbani - e
non capiscono che così facendo
stanno regalando
(…) nuove truppe al mullah
Omar». Perché i capi tribali,
invece di combattere il mullah,
passano al leader dei Talebani
parti delle armi e dei finanziamenti.
Bisogna non aver compreso
nulla della mentalità
afghana per tentare un’operazione
del genere. In Afghanistan
la fedeltà non è in vendita,
tanto meno allo straniero.
È tutto vero quello che dice
Rabbani. Ma a mio avviso, la
rabbia del popolo afghano
affonda le sue radici in ragioni
assai più profonde dell’incapacità,
della corruzione di Karzai,
della stagnazione dell’economia,
della disoccupazione.
1) Un popolo orgoglioso e
guerriero come quello afghano
non sopporta, puramente e
semplicemente, l’occupazione
straniera. Ci han messo dieci
anni per cacciare i sovietici,
prima o poi faranno lo stesso
con gli occidentali.
2) L’odiosità di questa occupazione
è ingigantita dal modo
bestiale e vile con cui si comportano
gli americani. La settimana
scorsa, per snidare un
manipolo di combattenti Talebani,
hanno bombardato a
folate il villaggio di Azizi, vicino
a Kandahar, uccidendo
ottanta persone. Di queste,
solo venti erano combattenti,
gli altri civili, fra cui sei bambini
(questo modo di combattere
ha fatto dire a un ex agente
delle forze speciali inglesi:
«Mai più al fianco degli americani
», affermazione che suona
come un sinistro campanello
d’allarme, se si pensa agli storici
rapporti di alleanza fra
Gran Bretagna e Stati Uniti).
3) Gli afghani non tollerano
che noi si porti nel loro Paese,
con la pretesa di imporli, i
nostri costumi: bordelli, prostituzione,
un modo di considerare
la donna che è lontanissimo
dalle loro tradizioni, trasmissioni
televisive idiote. Il
comandante delle truppe italiane
in Afghanistan, Mario
Giacobbi, ha detto: «Una cosa
è chiara. La destabilizzazione
del Paese passa per l’attacco
alle truppe internazionali».
Buon Dio, possibile che tutti
facciano finta di non capire
che i veri destabilizzatori siamo
noi? E che quando c’erano
i Talebani l’Afghanistan non
era affatto destabilizzato? È
possibile che nessuno si ponga
mai la domanda se gli afghani
non preferissero i Talebani,
che comunque era una storia
loro, a una storia che non è più
loro?