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Donne pericolose?

di Francesco Lamendola - 02/08/2011





Dopo essere stata costretta a rassegnare le dimissioni dalla carica di amministratore delegato di News International, l’ex pupilla di Rupert Murdoch ed ex regina dei tabloid britannici, Rebecca (si dovrebbe scrivere Rebekah) Brooks, non ha potuto evitare l’umiliazione dell’arresto, il 17 luglio scorso.
La rossa quarantatreenne, ambiziosa e senza scrupoli, ha visto così crollare i suoi sogni di potere e si è ritrovata esposta alla gogna mediatica, in una società - quella inglese - che, a differenza della nostra, non è abituata a simili colpi di scena, ma che, quando avvengono, non ha alcuna indulgenza per i colpevoli o anche solo per i sospettati.
I reati di cui la manager in carriera è accusata, infatti - gli stessi, in sostanza, che hanno investito il suo capo, lo “squalo” Murdoch - sono l’aver autorizzato intercettazioni telefoniche illegali e aver pagato la polizia per ricevere informazioni riservate, dunque violazione della privacy di cittadini britannici, compresa la famiglia reale, e corruzione.
Adesso, dopo la decapitazione dei vertici di Scotland Yard, anche la poltrona di premier di David Cameron sembra vacillare più che mai: da quelle parti, non solo Cesare, ma anche la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto, perché la società civile esige un drastico codice etico da coloro i quali hanno alte responsabilità pubbliche.
Roba che in Italia, invece, farebbe addirittura ridere e che non indurrebbe alle dimissioni non diciamo un presidente del Consiglio o un ministro, ma neppure un direttore di giornale, un assessore provinciale, un consigliere comunale.
Siamo abituati a ben altro, noi; non ci scandalizziamo certo con tanta facilità e, comunque, siamo incredibilmente propensi a perdonare i nostri personaggi pubblici, siano essi dei politici, degli imprenditori o dei calciatori, qualunque cosa facciano.
Dunque, tornando alla rossa Rebecca Brooks: ha lottato come una leonessa, ma alla fine ha dovuto cedere e le hanno tagliato gli artigli, riducendola a più miti consigli.
Anche se in carcere c’è rimasta solo una dozzina di ore, ottenendo poi subito la libertà su cauzione (almeno fino al prossimo ottobre), la grintosa manager dovrà dire addio, molto probabilmente, alla sua prestigiosa carriera e subire anche l’ostracismo sociale: quello stesso ostracismo che vide, a suo tempo, il popolarissimo commediografo Oscar Wilde, idolo e beniamino della Londra bene degli ultimi anni dell’800, precipitare nel baratro dell’infamia in seguito alla condanna per omosessualità e venire poi, all’uscita dai lavori forzati, evitato da tutti come un lebbroso.
In effetti, sarebbe stato strano che l’immenso scandalo che sta travolgendo il potentissimo Murdoch, strappando allo squalo i denti ad uno ad uno (impietosa la seduta davanti alla commissione parlamentare, quando è apparso come un settantenne umiliato ed esitante nelle risposte) non costasse la poltrona e la carriera anche alla sua insostituibile factotum, al suo brillante ex braccio destro che di cose doveva saperne parecchie, e non tutte belle, nonostante ora tenti, come il suo capo, di far credere che, in un’azienda così vasta, non poteva essere a conoscenza di tutto e tanto meno degli aspetti più disinvolti delle inchieste di News International.
Quello che colpisce il pubblico, in casi come questo - anche se, probabilmente, non del tutto a ragione - è la presenza, nelle pieghe dei poteri occulti e alle spalle di qualche uomo prestigioso e ricchissimo, ma che esercita un ruolo a dir poco ambiguo nella società, di donne piuttosto giovani, piuttosto intelligenti, piuttosto attraenti; di donne in carriera che sarebbero pronte a scavalcare il cadavere della propria madre, come si usa dire, pur di raggiungere i vertici della piramide.
Donne spregiudicate, che vanno dritte al punto; donne che hanno quattro dita di peli sullo stomaco e non indietreggiano davanti ad alcun rischio, ad alcuna illegalità, pur di aprirsi una strada verso l’affermazione personale, costi quello che costi.
In realtà, di donne così ne avevamo già sentito parlare dalla storia e dalla letteratura; anzi, le avevamo già viste al cinema: pensiamo, fra gli altri, a film come «Perversioni femminili», del 1996, diretto da Susan Streitfeld e interpretato da una straordinaria Tilda Swinton; tratto, a sua volta, dal saggio «Female Perversions: The Temptations of Emma Bovary» della psicanalista Louise J. Kaplan.
Adesso, la novità è che abbiamo scoperto, si fa per dire, che simili donne esistono nella nostra realtà di tutti i giorni: non occorre sfogliare i libri di storia o di letteratura, né sedersi su una poltroncina davanti al grande schermo: basta guardare il piccolo schermo della televisione, basta sfogliare i giornali e le riviste illustrate.
Naturalmente, si tratta, in larghissima misura, di uno stereotipo maschile: ché, fra le donne, ve ne sono sempre state anche di quel genere: astute, intriganti, magari anche belle, ma sempre altamente pericolose; così come ve ne sono di dolci, generose, altruiste, appassionate, idealiste e per niente interessate al denaro, né al potere.
C’è qualcosa, nella psicologia maschile, che tende a vedere le donne, specialmente se belle e intelligenti, come potenzialmente pericolose; qualcosa che solo in parte trova giustificazione nei fatti e molto, invece, si fonda su oscure inquietudini, su arcane paure, su attrazioni e repulsioni che si svolgono, in buona misura, sotto il livello della coscienza.
Molti uomini sognano la donna forte, intelligente, determinata, capace di stare loro alla pari in ogni circostanza; però, al tempo stesso, ne sono anche segretamente spaventati, intuiscono in una donna di tal genere una sorta di minaccia o, quanto meno, un indecifrabile enigma.
Se, poi, la donna in questione ha anche i capelli rossi, come nei quadri del pittore inglese John Collier (l’antico pregiudizio del verghiano «Rosso Malpelo»; si pensi alla conturbante e celeberrima «Lilith», ma anche alla non meno celebre e tenerissima «Lady Godiva»), allora c’è poco da fare: una simile donna non potrà che apparire come la grande tentatrice dai disegni avvolgenti, e tuttavia nascosti: la donna pericolosa per eccellenza, che si vorrebbe incontrare nella vita, ma da cui sarebbe anche saggio fuggire, prima di restarne fatalmente soggiogati.
Certo, se basta così poco per spaventare i signori maschietti, per metterli in allarme, per renderli guardinghi e sospettosi, allora vuol dire che qualche problema ce l’hanno in casa loro; e sono, secondo ogni evidenza, dei problemi di identità, perché non si è mai visto che un uomo, sicuro della propria virilità, si faccia inquietare da delle semplici ombre, nate sostanzialmente dalla sua fantasia (a questo proposito calza a pennello il discorso sui pre-raffaelliti inglesi i quali, mentre dipingevano, in variazioni innumerevoli sullo stesso tema, la rossa donna tentatrice e fatale, palesemente erano afflitti da una sessualità a dir poco tormentata).
Una donna, per l’uomo, non dovrebbe mai apparire come un essere potenzialmente pericoloso, a meno che egli sia ben poco sicuro di sé; come un essere misterioso, questo sì, perché esiste un mistero fra i due sessi, vi sono delle cose che essi, reciprocamente, non arriveranno mai a comprendere né, forse, ad accettare sino in fondo: ma il mistero non è qualcosa che debba fare paura, al contrario, è un elemento che dovrebbe eccitare la curiosità e aumentare l’attrazione, non provocare un istinto di fuga e tanto meno mettere in crisi un soggetto che possieda una giusta consapevolezza di sé.
D’altra parte, a voler essere il più possibile obiettivi e, quindi, a guardare la cosa da entrambi i versanti e non da uno solo, bisognerà convenire che un crescente numero di donne, a partire dalla cosiddetta emancipazione femminile, ha cavalcato in maniera discutibile il suo nuovo ruolo e la sua nuova immagine, pensati in concorrenza e in competizione col maschio sul suo stesso terreno, anzi, diciamolo pure, sul terreno del maschio più superficiale, più rozzo e più immaturo; col risultato, spesso, di dare consistenza reale a quello stereotipo della donna-vampiro che, fino ai primi anni del Novecento, era esistito essenzialmente come mito letterario.
A partire dal primo dopoguerra, mentre il movimento femminista riporta le prime, significative vittorie (ad esempio, il diritto di voto in alcuni Paesi del Nord Europa), i salotti della buona società e gli atelier delle avanguardie artistiche si popolano di donne viriloidi in giacca e cravatta, di maschiette dai capelli corti che ostentano gli stivali da cavallerizza e la sigaretta stretta fra le labbra, come nei quadri di Tamara de Lempicka o nei romanzi di Ann Radclyffe-Hall; mentre il filosofo Oswald Spengler osserva, proprio in quegli anni, che la donna “moderna” ed “emancipata” ha dei problemi al posto dei figli e ciò suggerisce che, dopo tutto, forse ella non ha raggiunto quella felicità che aveva tanto sospirato ed inseguito.
Riassumendo: c’è stato un doppio movimento nella società moderna, della donna verso la mascolinizzazione e dell’uomo verso l’effeminatezza; e il risultato è che si è creata una atmosfera di competizione, di disagio, di diffidenza, di sospetto e di insicurezza: nessuno dei due sessi è venuto a trovarsi meglio di come stava prima, entrambi sono andati in crisi e sia pure per ragioni e con modalità diverse.
La donna, resasi conto di poter fare quasi tutto quello che faceva il maschio, talvolta anche meglio di lui, è stata presa da un senso di ebbrezza; ebbrezza che ben presto si è trasformata in delusione, perché questa super-donna si è accorta di dover interloquire con un maschio dimezzato, insicuro, rachitico, non certo con quel supermaschio che la sua rinnovata ambizione le faceva desiderare e che innumerevoli film e telefilm le avevano fatto sognare quale premio della spossante fatica a cui s’era sottoposta per “emanciparsi”.
Così, essa è venuta a trovarsi, press’a poco, nella condizione di un campione sportivo che, dopo aver raggiunto livelli di prestanza e di efficienza molto superiori ai precedenti, a prezzo di allenamenti diuturni e massacranti, si vede poi privato della ovvia soddisfazione di volersi misurare con un avversario del suo stesso livello o, comunque, che sia degno di lui: immaginatevi un tennista di fama mondiale che debba accontentarsi di scambiare qualche misero palleggio con tutta una serie di principianti più o meno goffi, più o meno maldestri…
L’uomo, da parte sua, dopo essersi trastullato con l’idea che avrebbe finalmente trovato, nella donna libera ed emancipata, una compagna più interessante, più vitale, più attraente e più desiderabile, si è accorto, con crescente disorientamento, di avere di fronte un essere assai poco femminile, a dispetto delle apparenze: un essere, cioè, che dietro la facciata della superfemminilità, cela una mente ed un cuore da maschio, per giunta da maschio ottuso e superficiale: perché quel tipo di donna ha preso a modello la parte maschile peggiore, non certo la migliore.
A questo punto, l’uomo avrebbe voluto fare precipitosamente dietro-front; ma glielo hanno impedito non solo le circostanze esteriori, perché il sasso lasciato cadere giù per la montagna provoca una frana che non può essere fermata a comando, ma anche la sua stessa forma mentis pseudo emancipata e pseudo libertaria: perché non sarebbe mai disposto ad ammettere, contro i pregiudizi falsamente progressisti che ha volonterosamente introiettato, in dosi massicce, dalla cultura dominante, che la donna di un tempo, realizzata nel suo ruolo di moglie e madre, era anche infinitamente più femminile e costituiva una compagna più generosa e più appagante, sotto ogni punto di vista.
Come se ne esce?
Sappiamo bene che un ritorno al passato, sic et simpliciter, è impossibile e ciò per varie ragioni, non solo di ordine culturale e psicologico; come si potrebbe mantenere una famiglia oggi, come si potrebbe sostenere l’economia mondiale, se la donna, per esempio, rinunciasse alle sue ambizioni di carriera e tornasse a cercare la felicità nei figli e nella casa?
Dunque, piaccia o non piaccia, il frutto proibito è stato mangiato e le porte del Paradiso terrestre si sono chiuse definitivamente alle nostre spalle: indietro non si torna, l’innocenza perduta non sarà mai più ritrovata nei termini in cui esisteva prima.
Costi quel che costi, bisogna andare avanti.
Ma andare avanti in modo consapevole, anche se lungo un cammino irto di difficoltà, è sempre meglio che procedere, con la falsa sicurezza dell’incosciente, sull’orlo dell’abisso; specialmente se si è in due e si potrebbe darsi una mano a vicenda, per aiutarsi nei passaggi più scabrosi, invece di fare di tutto per spingere l’altro nel baratro, al solo scopo di sentirsi più forti…
Ce ne sono, di cose, che l’uomo e la donna devono ancora imparare a dirsi; di gesti che devono imparare a scambiarsi, prima che il loro rapporto possa inaridirsi, come un pozzo disseccato fra le sabbie del deserto…