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A proposito di amore omosessuale e di matrimoni lesbici e gay

di Francesco Lamendola - 16/08/2011




ALL’AMICO E LETTORE FABIO R.

Un gentile lettore di nome Fabio mi chiede di esprimere una opinione sulla questione dei matrimoni omosessuali, sulla scia della recentissima unione fra la quarantottenne deputata italiana Paola Concia e la quarantaquattrenne criminologa tedesca Ricarda Trautmann, svoltasi a Francoforte il 5 agosto scorso; e, più in generale, sul tema dell’omosessualità.
Lo faccio distinguendo, per prima cosa, i due differenti ambiti: quello dell’amore omosessuale e quello dei cosiddetti matrimoni omosessuali.
L’amore, quello vero, è sempre un fatto privato ed è sempre un fatto positivo: tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra uomini e donne, tra uomini e animali, tra uomini e piante; perché non dovrebbe esserlo quello tra due individui dello stesso sesso?
Diamo una definizione dell’amore: esso è quel sentimento profondo, assoluto, che ci spinge a desiderare il bene dell’altro e, al tempo stesso, a desiderare la sua presenza, la sua tenerezza, la sua disponibilità.
È chiaro che i due aspetti, solitamente confusi, sono, in realtà, distinti: perché non sempre si sa amare in maniera disinteressata, non sempre si cerca davvero il bene dell’altro, ma si persegue, talvolta in misura prevalente, il proprio bene, anzi, la propria gratificazione e il proprio piacere. E questo non è vero amore, non è amore con la “a” maiuscola.
Ma non è il caso di soffermarci troppo su questo ordine di considerazioni, che richiederebbero un apposito spazio; ci limitiamo qui a ribadire il concetto che amore e piacere non sono affatto sinonimi; perché, se è innegabile che nell’amore si cerca anche il piacere, e sostenere il contrario sarebbe ipocrisia o masochismo, a noi sembra altrettanto chiaro che il piacere è solo un aspetto dell’amore e che il piacere in senso fisico è solo un sotto-aspetto di questo aspetto; diversamente, cadremmo in un paradosso analogo a quanti affermano che il corpo contiene l’interezza della persona (i materialisti), o che il sesso corrisponde alla totalità della dimensione corporea (gli psicanalisti d’indirizzo freudiano).
Ora, se una persona ama davvero, il suo amore, come fatto privato e come diritto dell’individuo, è sempre una cosa buona, sempre, sempre: chi potrebbe negarlo?
D’altra parte, l’amore non è sempre e solo un fatto privato e un diritto individuale: e qui le cose cominciano a complicarsi, che ciò piaccia o no a coloro i quali hanno sempre in bocca solo diritti e libertà, mai doveri o senso del limite.
L’amore può travalicare dall’ambito privato in quello sociale in diverse maniere; quelle principali sono due: allorché si pone come segno di contraddizione rispetto alle norme collettive vigenti, sulle quali riposa la struttura stessa della società; o allorché colui che lo vive cerca intenzionalmente di farne un richiamo per l’altrui attenzione o, eventualmente, una leva su cui agire per innescare una contraddizione fra i membri del corpo sociale.
Nel primo caso, semplificando le cose al massimo, sono gli altri ad entrare nel tempio dei sentimenti privati individuali; nel secondo, è il singolo individuo che trasforma il proprio sentire privato in un megafono per entrare nella sensibilità altrui ed, eventualmente, per modificare il modo di pensare dei propri simili.
Esistono poi numerose situazioni intermedie, perché, sovente, è difficile, se non impossibile, tracciare una netta linea di demarcazione fra queste due tipologie fondamentali; ciò non toglie che siano queste ultime, a nostro avviso, a rappresentare il nocciolo della questione.
Prendiamo il caso di una ragazza che, nel bel mezzo di una guerra, si innamori di un soldato nemico, magari appartenente ad un esercito di occupazione: è già successo e sappiamo bene quali conseguenze ha comportato.
Oppure prendiamo il caso di due ragazzi, appartenenti a due diverse fedi religiose, o magari a due diverse etnie, che si innamorino l’uno dell’altra, nel bel mezzo di un conflitto etnico o religioso: anche questo è già accaduto infinite volte.
Un altro caso, in apparenza meno drammatico, ma in realtà altrettanto gravido di sottili e delicate implicazioni etiche, è quello di una bambina o di un bambino che provino un profondo amore per un animale domestico, ad esempio un cane o un cavallo; e che, in tempi di estrema difficoltà, per esempio di guerra e di carestia congiunte, debbano assistere alla sua uccisione da parte di altri uomini, magari dei suoi stessi genitori, per necessità di sopravvivenza.
Ciascuno la pensi come crede: è chiaro, comunque, che, a seconda dei punti di vista, si può considerare come prioritario il diritto del singolo all’amore, oppure il diritto del gruppo a far rispettare il proprio codice etico. Le società occidentali contemporanee tendono a considerare come prevalente il primo termine (ma non senza distinguo e sottili ipocrisie); quelle orientali, o, per meglio dire, quelle tradizionali, ivi compresa la nostra civiltà contadina di un secolo o due secoli fa, considerano o consideravano come prevalente il secondo.
Spesso vediamo che il conflitto emerge insanabile allorché si verifica una mescolanza di culture e di codici comportamentali: come accade, per esempio, in una famiglia islamica tradizionalista trapiantata in un Paese europeo, nella quale una ragazza ami, contro il volere dei genitori, un giovane del luogo, rifiutando il matrimonio che essi le avevano combinato con un uomo appartenente alla loro stessa cultura e tradizione.
I progressisti a un tanto il chilo di casa nostra insorgono indignati davanti alla “violenza” di quella famiglia e vorrebbero imporle il nostro codice comportamentale, nel quale un figlio - ma non da sempre, diciamo da meno di un secolo - è lasciato interamente libero di amare chi vuole e di sposare chi preferisce; ma il loro democraticismo è astratto e velleitario, perché non tiene in alcun conto il fatto che ogni cultura esprime un proprio paradigma e che i diversi paradigmi sono incommensurabili, dunque che non esistono ragioni oggettive per preferire, e meno ancora per imporre, l’uno a scapito dell’altro, ma solo e unicamente ragioni soggettive.
Per farla breve, e per non allontanarci troppo dal nostro tema, dovremmo sempre tener bene a mente che due persone non si amano mai sull’isola di Robinson o in qualche paradisiaca Laguna Blu, soli e lontani da tutto: si amano in un contesto sociale, che ha le sue regole e i suoi codici, piacciano o non piacciano loro.
Non stiamo dicendo che questi ultimi devono essere sempre accettati e subiti, magari obtorto collo; stiamo dicendo che, se si va frontalmente contro di essi, e si rende palese il proprio dissenso e il proprio rifiuto, bisogna esser ben consapevoli delle conseguenze che ciò comporta; inoltre, bisogna essere abbastanza realisti da capire che i codici di una società, per quanto nascano dal consenso generale, possono essere modificati solo con una azione lenta e progressiva, mai con uno strappo improvviso.
L’esperienza storica delle rivoluzioni insegna che quando i codici etici e di comportamento di una data società vengono rovesciati e sovvertiti dall’oggi al domani, evidentemente da parte di una minoranza che ritiene fermamente di essere nel giusto, si crea sempre una resistenza e si produce una serie di reazioni a catena, al termine delle quali, generalmente, si stabilisce un compromesso, ossia si accolgono talune istanze del cambiamento,  mentre si recuperano alcuni aspetti del vecchio paradigma: il tutto sulla pelle viva delle persone concrete e a prezzo di immense sofferenze, oltre che, di solito, di un buon numero di soppressioni fisiche dei dissidenti.
Veniamo al punto dell’amore omosessuale e dei relativi matrimoni.
In una società che non approva l’omosessualità, l’amore omosessuale incontra ostacoli di vario genere, che una riforma legislativa (come quella, appunto, auspicata e perseguita dalla deputata Paola Concia in Parlamento) può attenuare, ma non eliminare: perché, in simili casi, una cosa è quello che sta scritto nel codice penale ed un’altra è ciò che le persone sentono e pensano.
Non si tratta, comunque, solo di questo; non si tratta, semplicemente (si fa per dire), di un dilemma fra la libertà e i diritti dell’individuo da una parte, e il paradigma culturale della società, coi suoi codici di comportamento, dall’altra.
Se ci si limitasse a questo, come generalmente fanno coloro i quali trattano la problematica in questione, ci si lascerebbe sfuggire l’essenziale: e cioè che esistono società, quelle tradizionali, le quali fanno coincidere i propri codici con l’ordine naturale in quanto tale; ed altre, come la nostra attuale, che lo negano e che sostengono l’assoluta convenzionalità dei codici, col risultato che non possiedono più alcun codice autorevole e condiviso.
In altre parole, abbiamo da un lato società intimamente coese, che si riconnettono direttamente a un ordine soprannaturale, del quale si sforzano di essere come un riflesso; e, dall’altro, società decadenti, disgregate, anarcoidi, come lo fu, per esempio, quella romana negli ultimi secoli della sua esistenza, nelle quali ultime l’individuo pretende solo diritti, ma nega il riconoscimento di quasi tutti i doveri, a cominciare da quello di contribuire alla difesa militare o di prestarsi ad una equa ripartizione del carico fiscale.
Nelle società tradizionali, generalmente l’omosessualità è considerata come una deviazione dall’ordine cosmico; questo non significa che esse siano tutte omofobe e repressive: alcune lo sono, in altre vige un notevole grado di flessibilità, ma alla condizione di codificare i comportamenti devianti. Nelle società amerindie del Nord America, ad esempio, la figura dell’invertito era pienamente riconosciuta e niente affatto emarginata: egli poteva non solo vestirsi da donna, ma perfino sposarsi; quello che si voleva evitare era il disordine indiscriminato. La nostra pretesa attuale, che tutti possano fare qualsiasi cosa in qualunque tempo e luogo, in qualunque modo e circostanza, non sarebbe ammessa, perché lesiva della stabilità del gruppo.
Nella nostra società, tutti vorrebbero il riconoscimento dei propri diritti individuali, nessuno è disposto a sentir parlare di oneri o di doveri; ciò, peraltro, è il naturale punto d’arrivo delle filosofie politiche liberali e, più ancora, radicali, secondo le quali la società ha l’unica funzione di garantire ai suoi singoli membri il massimo godimento del loro piacere e il massimo sfruttamento delle loro possibilità, poco o nulla dando essi in cambio.
Parliamoci chiaro. Esistono varie forme di omosessualità, profondamente diverse tra loro: bisognerebbe perlomeno distinguere fra ciò che è realmente parte della struttura originaria della personalità, e perciò, a suo modo, “naturale”, da ciò che è il portato di influenze o persino di mode culturali, ciò che è tipico delle epoche di decadenza. Perciò l’amore fra due omosessuali “veri” è una cosa; quello fra due persone che hanno voglia di togliersi curiosità e capricci più o meno sentiti, magari perché resi più stuzzicanti dalla riprovazione sociale e, per contro, magnificati da una sedicente controcultura, è tutta un’altra cosa.
Noi non abbiamo titoli, e meno ancora ne abbiamo la voglia, di ficcare il naso sotto le lenzuola delle persone per vedere, sapere, giudicare, approvare o condannare quel che fanno nell’intimità della loro vita sessuale: è cosa che riguarda solamente loro.
Se, però, essi stessi ne fanno oggetto di pubblica discussione; se ne fanno motivo di orgoglio, di esibizione, di crociata contro la pretesa ottusità e la supposta intolleranza altrui; se sollecitano la pubblicità dei loro sentimenti e si offrono di buon grado ai riflettori delle cronache, allora la cosa cambia aspetto, ed essi non hanno alcun motivo di lamentarsi delle eventuali critiche. I veri intolleranti sarebbero loro, se pretendessero che tutti approvino il loro modo di sentire e di pensare e che tutti si inchinino alla loro nuova tavola dei valori.
Quanto ai cosiddetti matrimoni omosessuali, poche ma chiare parole. Il matrimonio, in tutte le culture e in ogni epoca storica, è l’unione stabile e codificata fra uomo e donna, che trova il suo naturale completamento nella nascita e nella cura della prole. Pretendere il riconoscimento di un matrimonio omosessuale è qualcosa di illogico e di assurdo; e questo è tutto.