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Cronache di ordinaria follia

di Francesco Lamendola - 16/08/2011





La finestra è spalancata sull’estate, il ventilatore gira vorticosamente le sue pale senza riuscire ad allontanare la pesante coltre di afa e dal televisore acceso giungono le immagini del telegiornale: piazze assolate e popolate da cittadini e turisti stremati dal caldo, grondanti  sudore, che sorbiscono gelati o mettono i piedi nudi a mollo nelle fontane; mentre la voce del giornalista ci informa che da molti anni non si vedeva un’estate così calda e così umida…
Già; solo che le stesse identiche immagini le abbiamo già viste infinte volte: l’anno scorso, e due anni fa, e tre anni fa… e che le vedremo ancora, precise identiche, anche l’anno prossimo… con gli stessi commenti da parte del giornalista, con le stesse frasi banali da parte degli intervistati: «Eh, sì, che caldo, proprio un gran caldo… Mai visto un caldo così…»
E poi le stesse raccomandazioni agli anziani: mi raccomando, bevete tanta acqua, assumete tanti liquidi, potreste rimane disidratati senza rendervene conto, anzi proprio la mancanza di sete è un preciso segnale d’allarme…
E poi, ancora, il problema dei negozi chiusi per ferie, degli ambulatori medici dove si trova solo un fiacco sostituto dell’abituale medico curante; delle farmacie chiuse anch’esse, l’una dopo l’altra, implacabilmente; della spesa da fare troppo lontano da casa; dell’inquinamento atmosferico i cui effetti sono aggravati dalla fascia di bassa pressione…
E così via, un giorno dopo l’altro, un’estate dopo l’altra, un anno dopo l’altro; forse sono addirittura gli stessi servizi che vengono riutilizzati più e più volte, chi può dirlo?; forse, a cambiare, sono solo i begli occhioni della annunciatrice di turno che parla dallo studio Rai, magari impreziositi da un lievissimo strabismo di Venere.
Chi l’avrebbe detto? D’inverno fa freddo, d’estate fa caldo… Eh, sì, un inverno così freddo e una estate così bollente, non li si vedeva da tempo…
Che frasi originali, che temi interessanti: ma intanto le farmacie e i supermercati sono sempre chiusi, i medici della mutua se ne vanno in ferie tutti nello stesso periodo e ad agosto le città restano sempre ugualmente abbandonate, con buona pace degli anziani e dei malati…
E pensare che per avere il privilegio di sentire e di vedere simili amenità, di gusto quasi surreale, quasi dadaista, gli onesti contribuenti pagano pure il canone a Mamma Rai e, come se ciò non bastasse, si devono sorbire i salotti televisivi dove la tv si parla addosso con spudorato narcisismo, da se stessa si sbrodola e si fa i complimenti, tutti sorridono e paiono dire: «Ammazza quanto semo bravi, ammazza quanto semo forti, ammazza quanto semo belli!».
Eh, sì, certo… tanto paghiamo noi…
L’estate è un periodo sociologicamente interessante, più d’ogni altro: perché in essa, nel colmo delle ferie, vengono a galla tutte le stupidità, tutte le ipocrisie, tutte le menzogne istituzionalizzate; e, all’occhio di un buon osservatore, la società si rivela per quel che realmente è, a dispetto dei veli di cui pudicamente si ricopre nel resto dell’anno, ma che, in estate, sono davvero troppo succinti e troppo trasparenti per non lasciar vedere tutto, ma proprio tutto di ciò che essa vorrebbe tener nascosto, consapevole della propria infinita miseria.
Lasciamo, dunque, che i begli occhioni scuri della annunciatrice di turno ci scocchino i loro sguardi assassini e un po’ strabici, mentre dalle sue labbra fluiscono, dolci come il miele, le più sublimi sciocchezze, le più inverosimili fandonie, le più disonorevoli menzogne: d’estate anche il potere getta la maschera e ci tratta apertamente per quel che siamo, un volgo disperso che nome non ha e che non merita alcun rispetto, visto che subisce tutto e digerisce tutto senza un sussulto, senza un lamento, senza un benché minimo fremito d’indignazione.
Tanto, fa così caldo, ma così caldo… Il ventilatore gira e gira, ma l’afa permane inesorabile, stagnante, opprimente come non mai… o forse come l’anno scorso, come due, tre anni fa…
Ecco: a Bari e a Crotone gli immigrati clandestini, spazientiti perché il riconoscimento giuridico dello status di rifugiati tardava a venire, si sono ribellati e hanno scatenato una guerriglia urbana in piena regola: assalto agli autobus, sassaiole contro la polizia con decine di feriti, vandalismi contro la proprietà privata, interruzione di strade statali e di ferrovie, perfino cattura di due donne come ostaggi, poi rilasciate.
In qualunque Paese normale, una notizia del genere sarebbe stata la prima di qualunque telegiornale; da noi, scivola al settimo o all’ottavo posto, come cosa del tutto marginale e trascurabile.
In qualunque Paese normale, quei facinorosi sarebbero stati arrestati, caricati sul primo aereo militare ed espulsi immediatamente verso i Paesi di provenienza; a parte il fatto che si tratta per lo più di Africani che lavoravano in Libia (o magari vi facevano i mercenari) e non di Libici e che, pertanto, non avrebbero alcun diritto di chiedere asilo in Italia, ma dovrebbero comunque fare ritorno nei Paesi d’origine, se la parola “profugo” ha un senso preciso e non è solo un mantra per invocare ogni diritto e negare qualunque dovere verso la nazione che li accoglie.
Da noi, le autorità scendono a patti con simili individui, promettono che vedranno, che cercheranno, che faranno; insomma, sempre e solo la politica dello zuccherino, mai quella del bastone: che, quando ci vuole, ci vuole, se si vuole essere rispettati e non presi in giro da chiunque abbia voglia di venire in Italia per vivere gratis.
Basta confrontare le pensioni di una vedova italiana e il sussidio di cittadinanza per un profugo straniero: per il secondo, lo Stato italiano stanzia quaranta euro al giorno, più l’alloggio gratuito; per la prima, la pensione minima è di sedici euro al giorno, ovviamente senza alcuna garanzia di avere un tetto sopra la testa…
Intanto, l’ennesima carretta del mare è arrivata sulle nostre coste stracarica di disperati, questa volta, però, con venticinque cadaveri ammucchiati nella stiva: soffocati per la mancanza d’aria, accanto alle caldaie arrugginite; senza contare quelli che sono stati gettati fuori bordo durante l’allucinante traversata. I sei scafisti sono stati identificati, ma nemmeno arrestati, con il ridicolo  bizantinismo giuridico che il reato è stato commesso in acque internazionali.
In un Paese normale, sarebbero stati arrestati, processati per direttissima e condannati all’ergastolo, come quei criminali che in realtà sono; o, per lo meno, sarebbero stati espulsi all’istante, senza neppure dar loro il tempo di dire «bah»: e si può star certi che i loro infami colleghi ci penserebbero due volte, prima di ripetere simili prodezze.
Inoltre, in un Paese normale, sarebbe scoppiato un pandemonio politico, con sacrosante interrogazioni in Parlamento, doverose ispezioni presso le magistrature competenti, inchieste giornalistiche al vetriolo, se non altro per rispetto al denaro dei contribuenti, oltre che al più elementare senso della giustizia; e la notizia, in televisione, sarebbe stata data in maniera completamente diversa, non con quel tono abulico di fatalismo e rassegnazione, ma con sdegno e ferma volontà di accertare le responsabilità di chi non è stato all’altezza del ruolo istituzionale che ricopre (e dello stipendio che percepisce).
Ma da noi, si sa, quando un politico è intervistato dalla televisione, sia essa pubblica o privata, si sdraia davanti al microfono e ci ammannisce un comizio in piena regola, perfino se si tratta di un individuo indagato per vilissimi reati di corruzione; mentre, nei Paesi normali, quando il giornalista si avvicina brandendo il microfono, il politico trema, perfino quando ha la coscienza perfettamente a posto, perché sa che verrà sottoposto a un terzo grado e che dovrà rispondere in modo umile e convincente, non alla persona del giornalista, ma al pubblico dei telespettatori, cioè a milioni e milioni di suoi concittadini che pagano le tasse e pretendono da lui assoluta efficienza, assoluto rigore, assoluta incorruttibilità.
Intanto, l’immancabile e impareggiabile servizio del corrispondente da Londra (qualcuno dovrebbe dire ai nostri dirigenti televisivi che la capitale sul Tamigi non è più il “caput mundi” almeno da tre generazioni) ci informa degli ultimi pettegolezzi dei tabloid sulla famiglia reale britannica, sul colore delle scarpe esibite dall’inossidabile regina Elisabetta nella più recente cerimonia ufficiale, sulla forma smagliante e sull’abbronzatura di principi e principini della dinastia Windsor - una dinastia che non è mai esistita, dato che il suo vero e tedeschissimo nome è  Hannover, o meglio ancora Wettin, abolito da Giorgio V, con un tratto di penna, nel 1917.
Ma le cronache di ordinaria follia estiva non finiscono certo qui; c’è solo l’imbarazzo della scelta, a cominciare dal modo turpe e vergognoso con cui le notizie vengono date e dall’ordine demenziale con il quale vengono rispettivamente presentate.
Se poi si esce dalle delizie del telegiornale e ci si affida alle delizie dei cosiddetti programmi di attualità e informazione, si entra in un altro manicomio, in un’altra galleria degli orrori: ore e ore di trasmissione dedicate, tutti i santi giorni, con insistenza maniacale, all’ultimo fatto di cronaca nera, all’ultimo delitto a sfondo sessuale, onde solleticare i pruriti meno nobili e più inconfessabili di un pubblico senza pudore e senza vergogna.
Così, frotte di opinionisti e di tuttologi salottieri, tutti con la permanente ben lisciata e con il look firmatissimo, stravaccati sulle loro poltrone, dissertano e pontificano all’infinito sul coltello che è stato ritrovato qui, sulla telefonata anonima che è stata fatta là; e su quante coltellate sono state inferte al corpo della vittima, e come, e con quanta forza; e se questa è stata ammazzata mentre stava facendo pipì oppure mentre si apprestava a fare all’amore, illusa proprio dal suo perfido assassino: avanti tutta, di immondizie cosiffatte ce ne sono all’infinito, da sbattere in faccia ai telespettatori.
Stremati, avviliti, aspettiamo la sera per distrarci con qualche filmetto senza pretese, magari vecchio di venti o di trent’anni; con qualche onesto spettacolo d’intrattenimento; con qualche documentario che sia interessante, ma senza diventare insopportabilmente palloso: macché, niente da fare, la tivù non è disposta ad offrire nessuna di queste cose.
Non c’è niente di guardabile, alla lettera: nulla, assolutamente nulla, se non telefilm americani infinitamente stupidi e insulsi, che dovevano essere già vecchi quando Cristoforo Colombo attraversò l’Atlantico con le sue caravelle; repliche di varietà, che farebbero venire l’orticaria perfino al pubblico dai gusti più rozzi e volgari; e ancora filmacci americani d’azione, grondanti sparatorie e morti ammazzati in tutte le possibili versioni e variazioni sul tema: chissà quanto li paghiamo, roba che da loro non la vuol più vedere nessuno da almeno un secolo, mentre ci sarebbero dei film d’autore russi, scandinavi, indiani, cinesi, latino-americani, che le nostre reti potrebbero acquistare per quattro soldi e che allargherebbero un poco i nostri orizzonti e arricchirebbero la nostra sensibilità.
Nossignori: qualcuno ha deciso che ignoranti siamo e ignoranti dobbiamo rimanere; che idioti siamo e idioti dobbiamo restare: così, all’infinito, eternamente, senza speranza alcuna di remissione, né di redenzione.
E così, mentre paghiamo per vedere una televisione sempre più assurda e fuori della realtà, stiamo diventando, ad ogni giorno e ad ogni ora che passano, dei burattini sempre più inconsapevoli, sempre più manipolabili, sempre più degradati al ruolo di cavie per esperimenti di incretinimento collettivo e planetario, pianificati in alto e medio loco.
Abbiamo ancora speranza di uscirne?
Sì: spegnendo il televisore.
Molti non ci crederanno, tuttavia siamo in grado di divulgare una notizia assolutamente strabiliante: è possibile sopravvivere anche senza guardare la televisione, anche senza sottoporsi al quotidiano lavaggio del cervello da parte sua.
Questo sì, che è uno scoop da prima pagina!
Recentissimi studi ed esperimenti hanno dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la creatura umana è in grado di vivere anche senza fare shopping, ma solo le normali spese; senza vestire firmato, ma semplicemente scegliendo gli abiti necessari alla vita di ogni giorno; senza condizionatore d’aria, ma adeguandosi al nostro clima temperato: freddo d’inverno e caldo d’estate; senza andare dallo psicanalista, ma frequentando buoni amici, che siano saggi e che ci vogliano bene per davvero; senza imbottirsi di sonniferi per poter dormire, ma conducendo una vita attiva e serena; senza ingozzarsi di carne, ma nutrendosi solo di alimenti vegetali; e perfino senza vedere il telegiornale, il Festival di Sanremo e la Formula Uno in diretta… incredibile, vero?