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Debito, ancora più debito. Fino a quando?

di Sàntolo Cannavale - 16/08/2011


 

A quanto pare moltissimi Paesi del mondo risultano più che indebitati: verso i propri cittadini e verso cittadini ed enti straneri (banche, fondi sovrani, fondi comuni

d’investimento, ecc.).

Tutti si sono indebitati in maniera crescente nel tempo per “tenere il passo” con altri Paesi:  per finanziare la propria crescita, i consumi pubblici e privati e, nel  migliore dei casi, la realizzazione di infrastrutture utili e durevoli. La concorrenza tra Paesi debitori ha funzionato e funziona alla grande nel mondo con riferimento all’attitudine ad indebitarsi al di fuori e al di sopra delle proprie possibilità.

Le possibilità per un privato cittadino consistono nella capacità di guadagno presente e futuro. Le possibilità per gli Stati sono rappresentate dalla produzione di ricchezza in misura tale da ripagare con gli interessi i debiti contratti e cioè i titoli pubblici immessi sul mercato dei capitali. 

I Paesi sovrani in genere godono di largo favore da parte di creditori potenziali -  in particolare sottoscrittori di titoli pubblici -  e da parte delle agenzie di rating che, sulla base delle proprie analisi, attribuiscono valore e credibilità al debito presente e futuro della nazione. Si discute sul ruolo delle agenzie di rating; si nutrono dubbi sulla loro utilità.

Cosa succede quando un’agenzia abbassa il rating (grado di apprezzamento e credibilità) di uno Stato e poi di un altro Stato e di un altro ancora?

Cosa succede, poi, quando ad essere intaccato –  da AAA a AA-  - è il rating  della più grande potenza industriale e finanziaria del mondo: gli Stati Uniti d’America? Qui le cose si complicano parecchio. Si sente il bisogno di un ente superiore  di  “ultima istanza”  che rassicuri e garantisca i creditori, in particolare quanti hanno riposto fiducia incondizionata in quella che è comunemente ritenuta la più grande potenza a livello mondiale.

Abbiamo assistito per lunghi giorni alla  faticosa ricerca di un accordo negli Stati Uniti – raggiunto all’ultimo minuto e in maniera rabberciata -  sul maggior debito pubblico da programmare per far funzionare la macchina americana.

In conclusione  sempre di debito, anzi di maggior debito, si è trattato. La filosofia di fondo non è cambiata. E’ la filosofia che ormai impera nel mondo intero e quelli che osano additarla a comportamento umano irrazionale e irriguardoso verso le future generazioni vengono considerati affossatori di consumi e di economie.

La macchina, però, è stata tarata in un certo modo e non è facile cambiare repentinamente i codici di comportamento di intere popolazioni e di politici poco avvezzi ai cambiamenti traumatici..   

Gli Stati Uniti pensavano, in buona o cattiva fede, di non dover mai sopportare l’onta di un declassamento del proprio debito pubblico.

L’aver messo a disposizione del mondo la propria moneta gli consentiva la tranquillità di poter diffondere a livello mondiale i propri squilibri nazionali, impegnandosi all’occorrenza a stampare e distribuire miliardi di nuovi dollari. Fin quando vi è un mercato che richiede ed assorbe con continuità uno specifico prodotto (parliamo del dollaro), il fornitore di quel bene – in questo caso il monopolista Stati Uniti  – non si ferma a pensare che un giorno forse dovrà restituire risorse di ugual valore.  D’altro canto, dall’agosto del 1971 gli Stati Uniti hanno dichiarato al mondo la propria indisponibilità, a partire da quel momento, a scambiare i dollari di carta con le riserve di oro appositamente custodite nei forzieri centrali americani. 

Oggi però le cose nel mondo stanno cambiando. Vi è l’Unione Europea che, nonostante una guida politica  a volte scoordinata e poco efficiente, si presenta al mondo come una realtà granitica, con sistema monetario accentrato ed una moneta unica che ha guadagnato comunque rispetto ed affidabilità.    

Vi è la Cina che, volenti o nolenti, è determinante nel commercio mondiale e ancor più  significativo è il suo ruolo sui mercati finanziari del mondo in ragione dell’immensa liquidità acquisita con le sue crescenti,  corpose esportazioni.

I tre blocchi, quello americano, quello europeo e quello cinese sono alla continua ricerca di soluzioni che rendano meno dolorose sul piano interno le crisi finanziarie, produttive e di fiducia che contraddistinguono gli altri partner mondiali. Partner si perché, nel bene e nel male,  le economie mondiali sono legate e costrette ad una sorta di solidarietà, non sempre desiderata ed auspicata.  Le esportazioni dell’una dipendono dalla capacità di assorbimento delle altre. I dollari e gli euro incassati dalla Cina con la vendita dei propri prodotti devono  necessariamente  essere reimpiegati in Europa e negli Usa, acquistando titoli di stato o quote azionarie di società ed aziende produttive o mediante investimenti diretti.  Prima o poi la moneta cinese (Yuan – Renminbi) dovrà per forza di cose uscire allo scoperto ed avviare la sua navigazione a viso aperto sulle piazze  finanziarie del mondo.

Si impongono degli accordi a livello mondiale di tipo nuovo che coinvolgano innanzitutto le tre potenze indicate (UE, CINA e USA) e stabiliscano modalità nuove, in parte da inventare,  per un uso coordinato delle rispettive monete. Con ciò si determinerà, implicitamente e consapevolmente, un deciso arretramento del dollaro nella sua funzione di moneta fisica e di riferimento del mondo.  Oggi dello Yuan-Renminbi conosciamo solo vagamente il rapporto di cambio con riferimento a Dollaro ed Euro. La sua libera navigazione in mare aperto, senza restrizioni  e condizionamenti  da parte delle autorità centrali cinesi, potrà consentire un gioco più equilibrato tra potenze mondiali ed un’assunzione implicita di responsabilità cinese per quanto riguarda l’uso della propria moneta nella regolazione degli scambi internazionali – commerciali e finanziari -  anche di quelli che non riguardano la Repubblica cinese quale diretto contraente.

In tal modo gli Stati Uniti potranno e dovranno concentrarsi sulla “effettiva sistemazione dei loro conti pubblici”. L’Unione europea potrà e dovrà completare il suo percorso di aggregazione di Stati europei e la necessaria struttura politica di comando.

Solo allora, probabilmente, troveranno respiro e tranquillità le borse mondiali che torneranno a fare il proprio mestiere di misuratrici di valori delle società affidate ai propri listini azionari. Torneranno a far incontrare richiedenti e fornitori di capitali per l’espansione delle aziende e per il finanziamento di nuove iniziative imprenditoriali. Innanzitutto, però, non saranno bersaglio di situazioni internazionali che ne riducono la credibilità e funzionalità, come si registra nell’attuale, apparentemente indecifrabile, crisi finanziaria internazionale.  Cina, Stati Uniti, Unione Europea ed altri grandi Paesi, impegnati nella difesa dei propri interessi e per questo in evidente, comprensibile contrasto, hanno un vitale bisogno di trovare luoghi e momenti di discussione per definire aree di comune interesse ed operatività, a partire dalla possibile “sterilizzazione” di una parte del debito di ciascuno e dalla messa in comune delle monete nazionali, di fatto a vocazione mondiale.