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Il successo della scienza lirica

di Massimiano Bucchi - 31/08/2011




Basta un titolo per capire: Gödel, Escher e Bach, volume favoloso e folle di 900 pagine scritto da Douglas Hofstadter che unisce la musica, l´arte e i teoremi della matematica. Lunghi cenni sulla conoscenza, insomma. Ebbene questo libro è diventato un bestseller da centomila copie. E non è il solo. Perché prima c´era stato Verso un´ecologia della mente di Gregory Bateson e poi le opere di Richard Feynman e i lavori su emozione e coscienza di Antonio Damasio: sono i libri sulla scienza di Adelphi che hanno portato i lettori italiani a scoprire testi sofisticati e geniali. Dietro di loro c´è un fisico, studioso di cibernetica, esperto di modellistica computazionale dei sistemi biologici: Giuseppe Trautteur che ha curato sin dall´inizio i temi scientifici per la casa editrice diretta da Roberto Calasso.
Come nasce l´idea della Biblioteca Scientifica Adelphi?
«La mia amicizia con Calasso risale ai tempi in cui ero all´università e Calasso al liceo. Poi lui fu chiamato all´Adelphi da Bobi Bazlen e Luciano Foà. A un certo punto ci siamo chiesti: perché non apriamo una linea scientifica, che sia in sintonia con lo spirito della casa? Dopo varie conversazioni, sarà stato il 1974-1975, individuammo alcuni libri. Poi ci capitò il libro di Bateson, Verso un´ecologia della mente, che inizialmente non era previsto e ne restammo molto impressionati… fu subito, e continua ad essere, un grandissimo successo».
Perché?
«Oggi molti usano a vanvera un termine come "interdisciplinarietà", ma quello era un raro e autentico esempio di capacità di pensare in modo interdisciplinare e al tempo stesso in modo profondo. L´interdisciplinarietà deve essere nella testa di chi pensa, Bateson era un antropologo di formazione e anche uno psicologo. In questo senso, una fonte di ispirazione importante per le nostre pubblicazioni furono le conferenze della Fondazione Macy. Una decina di incontri, tra il 1946 e il 1953, a cui parteciparono alcuni tra i maggiori studiosi di discipline diverse, dalla matematica (John von Neumann) alla genetica (Max Delbrück), dall´antropologia (Margaret Mead) alla sociologia (Talcott Parsons). Io ebbi modo di entrare in contatto con molti di questi studiosi grazie al fisico Eduardo Caianiello, nel cui gruppo lavoravo, dove si univa una struttura di pensiero rigorosa alle idee più eterodosse».
Che tipo di lettori speravate di coinvolgere?
«Cito un esergo che all´inizio riportavamo nel secondo risvolto: "Una serie di testi che segnano il movimento del pensiero scientifico verso nuovi territori e insieme riflettono sui suoi fondamenti". Benché siano inevitabilmente classificati come divulgativi, in realtà i nostri libri non sono poi tanto divulgativi. Si rivolgono "allo studioso della porta a fianco", dicendo quello che sta facendo un altro. Abbiamo sempre cercato una sorta di intermediazione: il libro doveva essere leggibile dal lettore colto, ma anche corretto e aggiornato per il lettore specialista. Doveva far vedere al chimico che cosa fa il fisico, all´informatico che cosa fa il biologo. Per i temi da un lato ci siamo concentrati sulla fisica e dall´altro (adesso si può dire, trent´anni fa era molto più difficile) sulla consapevolezza, la coscienza».
Un catalogo che ha anche aspetti dichiaratamente seduttivi.
«In generale, c´è la speranza che questi testi portino alla contemplazione estetica della scienza, nonché a riflettere sui suoi fondamenti. Ai nostri autori si richiede di fare della scienza in prima persona, ma allo stesso tempo di avere la maturità per guardarla dal di fuori e di "contemplarla". La scienza va goduta, che poi sia applicativa è meraviglioso. Però questa visione moderna, tutta incentrata sulle applicazioni, che fa leva sulle aspettative dei pazienti ad esempio, a me sembra estremamente riduttiva… ciò che è veramente straordinario è che noi riusciamo a capire come è fatto il mondo, anche solo un poco, e possiamo contemplare questo mondo e saperne un po´ di più. Questa è una gioia intellettuale, diversa ma non dissimile dalla fruizione estetica. I nostri libri presentano la scienza così com´è, però per così dire "guardata", e suggeriscono di impararla a fondo, in primo luogo. Una volta saputo qualcosa si può goderne».
La scienza come visione del mondo, quindi, più che la cultura scientifica di cui tanto si parla oggi…
«Da questo punto di vista il discorso sulle due culture di C.P. Snow è stato veramente deleterio. Tutti dicono che bisogna colmare il gap tra le due culture… questa strana convinzione secondo cui la cultura umanistica guarderebbe con disappunto la cultura scientifica. Ma non ci sono due culture, non c´è una cultura scientifica intesa come Kultur, come movimento di pensiero. Ci fu un accenno di cultura scientifica in epoca illuministica, poi con l´Ottocento quest´accenno è scomparso. La cultura europea e occidentale è tout court una cultura umanistica. Noi facciamo questo piccolo lavoro di dire: attenzione, non diciamo più umanistica o scientifica, o due culture, ma parliamo della "cultura", che comprende la contemplazione sì dei nostri artefatti, ma anche della natura, della natura conosciuta scientificamente».
Inevitabile pensare al successo straordinario di Gödel, Escher e Bach di Hofstadter...
«Quando Kessler della Basic Books ci portò a mano il manoscritto, l´autore era un Ph.D. relativamente sconosciuto, anche se era figlio di un premio Nobel per la fisica. Hofstadter è riuscito a mettere insieme tre fili diversi della collana intrecciata: un´esposizione correttissima della teoria formale dell´aritmetica, con i risultati limitativi di Gödel; una visitazione colta del significato profondo, da un punto di vista formale e strutturale, dell´opera del grafico Escher e come condimento, Bach… io lo consiglio ancora ai miei studenti come prospettiva, una tela di fondo dello studio più tecnico che devono fare».
Dopo trent´anni come è cresciuto il vostro pubblico?
«Il pubblico ha buon gusto. Capisce quali sono i libri più importanti, il numero delle ristampe è un piccolo diagramma del buon gusto del pubblico. I lettori italiani hanno capito benissimo l´importanza dei libri di Damasio, di Hofstadter, di Barrow, anche di libri che noi stessi consideravamo un vero e proprio azzardo, come ad esempio il libro di Bell, Dicibile e indicibile in meccanica quantistica, una testimonianza della controintuitività della natura profonda della materia che è andata a ruba. Un libro che invece non ha avuto nessun riscontro, pur essendo piaciuto molto a noi, è La fine della scienza di Horgan, forse perché fu percepito come una visione pessimistica, cinica… In realtà il tema non era la fine della scienza, ma una critica di molti metodi della fisica, della scienza del secondo Novecento».
C´è un libro che si sarebbe inserito bene nel vostro progetto, ma che non siete riusciti a pubblicare?
«Mi viene in mente quello di Brian Greene, L´universo elegante, ottimo libro sulla teoria delle stringhe. Un esempio di quella che io chiamo la "fisica lirica", un filone che ha ripreso forza tra la fine degli anni Novanta e all´inizio del nostro secolo».