Da un paio di mesi le borse mondiali sono in fibrillazione: la tendenza è al ribasso. Questo significa che sono stati bruciati centinaia di miliardi di capitalizzazione e che i valori azionari sono oggi inferiori a quelli dell'inizio anno. E' interessante capire se dietro questo trend si nasconda unicamente lo sgonfiamento di una bolla speculativa o se, al contrario, vi sono tendenze dell'economia reale che spingono verso una direzione ribassista. Quotidiani e riviste specializzate sono pieni di articoli che spiegano il ruolo degli hedge fund che fuggono da varie mercati. Certo la speculazione sui mercati finanziari ha un ruolo fondamentale, così come le aspettative, ma dietro gli scivoloni di questi ultimi due mesi c'è dell'altro. Negli Usa, ad esempio, si avverte i segnali di un deciso rallentamento del ciclo. Nessuna recessione è per il momento in vista, ma la tendenza è netta. E dovrebbe portare il tasso di crescita del pil da una quota superiore al 5% come quella registrata nel primo trimestre a valori attorno al 2% negli ultimi tre mesi dell'anno. Recentemente il presidente della Fed ha affermato che le famiglie americane che sono ancora molto patrimonializzate. Però la situazione dell'indebitamente è molto grave: da un anno il risparmio delle famiglie è su valori negativi. Come dire, consumano più di quello che guadagnano. Nel recente passato le famiglie riuscivano a consumare molto - sempre indebitandosi - godendo degli incrementi della patrimonializzazione grazie al boom del settore edilizio che gonfiando i valori immobiliari consentiva la rinegoziazione dei mutui e quindi la possibilità di avere a disposizione somme più o meno elevate di denaro da poter spendere. Da circa un anno, però, i valori delle case stanno frenando, rinegoziare i mutui diventa meno conveniente, anche perché i tassi sono cresciuti di molto. Risultato: la spesa per consumi (che pesa per il 70% sul pil Usa) sta rallentando, come dimostrano i dati sulle vendite al dettaglio. Ma c'è di più: anche se la crescita dell'occupazione rimane abbastanza elevata appare insufficiente a recuperare disoccupazione. Insomma, i redditi crescono, ma solo per chi lavora e l'area di emarginazione rimane stabile.
A peggiorare la situazione c'è una incombente pericolo di inflazione per ora assolutamente non paragonabile con quella del passato, ma in ogni caso preoccupante. Anche perché gli aumenti che in una prima fase erano legati solo al petrolio, ora si stanno espandendo a tutti i settori, tanto che gli indici «core» segnalano incrementi superiori a quelli che comprendono anche la spesa per l'energia. A questo punto tutto è più chiaro: le borse sanno che l'economia Usa necessità di aggiustamenti strutturali e che questi non potranno che deprimere l'economia reale, ma anche i profitti delle imprese. Quindi chi può vende, aspettando tempi migliori.