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Dieci anni dopo...

di Luciano Fuschini - 11/09/2011

 




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A distanza di dieci anni dall’evento dell’11 settembre è doveroso e inevitabile un bilancio politico. Lasciamo ai finti ingenui di recitare la convinzione che tutto quanto successo dopo si giustifichi con la lotta al terrorismo. Gli "apoti", quelli che non la bevono, sanno che le ragioni vere delle guerre e delle operazioni segrete di commandos e droni che, volenti o nolenti i governi interessati, hanno coinvolto decine di Stati, sono altre.
Proviamo a passarle in rassegna. Innanzitutto, impadronirsi di risorse strategiche, soprattutto fonti energetiche; in secondo luogo, fare cadere governi scomodi o frantumare l’unità nazionale di Stati non allineati con l’Impero, anche nell’interesse di Israele; infine, circondare di basi Russia e Cina, per combattere la più che probabile grande guerra prossima ventura da posizioni di vantaggio.
Vediamo se questi obiettivi siano stati realizzati o siano sul punto di esserlo. Quanto alle risorse strategiche, il caso iracheno diventa paradigmatico. Dopo il governatorato USA, per spegnere la rivolta armata generalizzata che metteva in difficoltà l’esercito invasore, gli aggressori sono stati costretti a sostenere un governo sciita non del tutto docile. Impadronirsi puramente e semplicemente dei pozzi petroliferi sarebbe stata una violazione talmente grossolana di qualunque forma di legalità che nemmeno la brutalità dei conquistatori ha potuto praticare questa via. Si è dovuto lasciare che il nuovo governo di Baghdad indicesse un’asta internazionale per concedere lo sfruttamento dei pozzi al miglior offerente. Ebbene, buona parte delle concessioni sono andate a chi ha i soldi. E i soldi non li hanno più gli americani. Li ha la Cina. Gli Usa hanno fatto la guerra per la Cina e, come vedremo, per l’Iran. Ho il vago sospetto che anche in Libia le cose non andranno come spera la “coalizione dei volonterosi”.
Passiamo al secondo punto. È stato facile abbattere il governo talebano in Afghanistan, data la sproporzione colossale di volume di fuoco fra le due parti in lotta. È facile anche trovare in loco un fantoccio e una minoranza di opportunisti disposti a trasmettere alla popolazione gli ordini degli occupanti. Non è facile imporre la legge dei nuovi padroni stranieri a un popolo fiero e bellicoso. Il colonialismo classico inventava pretesti per aggredire la vittima, poi inviava incrociatori e corazzate a distruggere un po’ di villaggi, piegando facilmente le deboli resistenze: è passata alla storia come la "politica delle cannoniere". Successivamente, il controllo del territorio abitato da una popolazione ostile era impresa più ardua. Analogamente, coi bombardieri e i droni è facile piegare difese incapaci di opporsi efficacemente. Il controllo del territorio è altra cosa, e la NATO deve prenderne atto nel momento in cui si pone il problema di andarsene salvando la faccia, come successe ai sovietici una ventina di anni fa. È stato facile liquidare Saddam, ma la successiva guerriglia irachena non è mai stata debellata. Alla fine si è riusciti a piegare Gheddafi, ma se i capi politici dell’Occidente fossero qualcosa di più dei miserabili pidocchi che sono, saprebbero che le complicazioni vengono adesso.
Le invasioni di Afghanistan, Iraq e Libia dovevano servire anche a far cadere i governi siriano e iraniano, per la minaccia ai loro confini e per l’infiltrazione di agenti provocatori e di una propaganda velenosa. A tutt’oggi non è accaduto. Sembra riuscita l’operazione di frantumazione dell’unità nazionale di alcuni Stati, rendendoli così deboli e non più minacciosi nemmeno per Israele. È successo in Iraq, oggi praticamente diviso in tre Stati, uno governato dagli sciiti, uno sunnita e uno curdo. Ma con la conseguenza, tutt’altro che favorevole all’Impero, che la parte sciita si appoggia all’Iran, che insieme alla Cina ha beneficiato della guerra americana, la parte sunnita è infida perché nostalgica di Saddam e la parte curda, la più riconoscente agli USA, provoca la reazione della Turchia che non può tollerare la nascita di fatto di uno Stato curdo ai suoi confini. Gli USA rischiano così di giocarsi una delle loro alleanze più preziose, quella con i turchi. Quanto alla Libia, è facile prevedere che lo scatenarsi delle rivalità fra berberi dell’interno e arabi della costa, fra tripolitani e cirenaici, fra laici e islamisti, rivalità prima soffocate dalla dittatura di Gheddafi, creerà un’instabilità permanente.
Sembra dunque che l’unico risultato tangibile di questa serie di guerre coloniali sia stato l’impianto di basi aero-navali che permetterebbero agli aerei americani di penetrare nei cieli della Russia e della Cina pochi minuti dopo il decollo. Però è vero anche il contrario: quelle basi sono alla portata dei missili a corto raggio, molto precisi, basati sul territorio russo e cinese. Questi dieci anni di guerre, preceduti da altre aggressioni, come quel vergognoso scempio di qualunque forma di legalità internazionale che fu il bombardamento della Serbia per strapparle il Kossovo, sua provincia, hanno logorato le forze armate degli USA e della NATO e soprattutto hanno potentemente contribuito al dissesto finanziario da cui non si vede via d’uscita. Lo stesso mantenimento del formidabile apparato bellico nelle centinaia di basi sparse per il mondo sta diventando un onere finanziario insostenibile.

Si può dunque concludere che il bilancio di dieci anni di aggressioni è fallimentare per l’Impero. Non saremo noi a dolercene.