Suicidi a Guantanamo: martirio o disperazione?
di Marjorie Cohn * - 19/06/2006
"Sono intelligenti, creativi e devoti. Non nutrono alcun rispetto per la vita, né per la nostra né per la loro. Non lo considererei un atto di disperazione, quanto piuttosto il risultato di una dichiarazione di guerra asimmetrica contro di noi". Contrammiraglio Harry B. Harris Jr., Comandante della Joint Task Force (Jtf) di Guantanamo |
Sabato scorso tre detenuti della prigione militare statunitense di Guantanamo Bay, a Cuba, si sono tolti la vita impiccandosi nelle proprie celle. La “spin machine” del Team Bush ha subito ingranato la marcia. Ufficiali militari hanno definito la morte dei tre detenuti un atto di protesta concertato. Il comandante della prigione, il Contrammiraglio Harry B. Harris Jr., l’ha battezzata invece come un "atto di guerra asimmetrica". Colleen Graffy, vice segretario di Stato Usa per la democrazia pubblica ha dichiarato che togliersi la vita "è certamente un’efficace mossa da PR". Nel frattempo, George W. Bush ha espresso "grave preoccupazione" riguardo al triplice suicidio. "Ha sottolineato l’importanza di trattare le salme umanamente, con sensibilità culturale" – ha fatto sapere Christie Parell, portavoce della Casa Bianca. Alla fine dell’anno scorso, Bush si è opposto all’emendamento anti-tortura promosso dal senatore repubblicano John McCain, minacciando di porre il veto alla legge collegata (uno stanziamento militare di 440 miliardi di dollari – NdT), e ha mandato Dick Cheney a cercare di convincere McCain ad esonerare la CIA dalla proibizione di trattamento crudele, disumano e degradante dei prigionieri. Al rifiuto di McCain di modificare il proprio decreto, Bush ha firmato il progetto di legge, aggiungendo pacificamente una delle sue "signing statements" , ovvero il fatto di poter scegliere di ignorare il divieto a propria discrezione. Bush & Co. stanno lottando in tutti i modi alla Corte Suprema al fine di negare l’accesso da parte dei prigionieri di Guantanamo alle corti statunitensi per opporsi alla propria reclusione. La Corte comunicherà la propria decisione nell’ambito del caso 'Hamdan contro Rumsfeld'1 alla fine di questo mese. Questo non si confà proprio ad un uomo che dice di credere nel trattamento umano degli invididui. I tre uomini che si sono suicidati – Mani bin Shaman bin Turki al-Habradi, Yasser Talal Abdulah Yahya al-Zahrani, e Ali Abdullah Ahmed – erano detenuti a Guantanamo a tempo indeterminato. Nessuno di loro era stato accusato di alcun crimine specifico. Tutti avevano partecipato a scioperi della fame ed erano stati costretti all’alimentazione forzata – una procedura che la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha classificato come "tortura". "Un fetore di disperazione incombe su Guantanamo. Ognuno sta chiudendo i battenti e se ne sta andando", ha dichiarato Mark Denbeaux, avvocato di due prigionieri. Il suo cliente, Mohammed Abdul Rahman, "sta cercando di uccidersi" rifiutando il cibo. "Ci ha confessato che preferirebbe morire piuttosto che rimanere a Guantanamo", ha aggiunto Denbeaux. Mentre l’amministrazione Bush sta cercando di far passare i tre suicidi come atti politici Salim Ahmed Hamdan, ex autista di Osama Bin Laden e detenuto a Guantanamo da due anni incriminato per associazione a delinquere a fini di crimini di guerra [NdT]di martirio, Shafiq Rasul, un ex prigioniero di Guantanamo che da detenuto ha partecipato ad uno sciopero della fame, non è d’accordo. "Togliersi la vita è un atto per nulla sottovalutato in Islam, ma se giorno dopo giorno ti viene ricordato che non tornerai mai a casa o che ti metteranno in isolamento, si capisce come questi atti possano essere dettati dalla disperazione e dalla totale perdita di speranza", ha affermato Rasul. "In questo caso non si è trattato di un atto di martirio, di guerra o cose del genere". "La totale e irreversibile riluttanza dell’amministrazione Bush nel fornire a questi uomini la bencheminima significativa possibilità di ottenere giustizia è alla base di queste tragedie", sostiene Bill Goodman, direttore legale del Centro per i Diritti Costituzionali Usa, che rappresenta molti prigionieri di Guantanamo. Lo scorso anno, almeno 131 detenuti di Guantanamo hanno preso parte a scioperi della fame, mentre 89 vi hanno partecipato quest’anno. Le guardie militari statunitensi, con l’aiuto dei medici, li legano alle cosiddette sedie-cella (“restraint chairs”) e infilano loro nel naso e nello stomaco grossi tubi di plastica per tenerli in vita. Gli avvocati dei detenuti hanno rivelato che il dolore è atroce. Bush è ben consapevole che l’aumento di decessi di prigionieri statunitensi diventerebbe imbarazzante per la sua amministrazione, soprattutto alla luce dei documentati episodi di Abu Ghraib e dell’esecuzione di Haditha. Più di un anno fa, la Lega Nazionale statunitense degli avvocati Usa (“National Lawyers Guild”) e l’Associazione Americana dei Giuristi (“American Association of Jurists”) hanno chiesto al governo statunitense di chiudere il "campo di concentramento" di Guantanamo. La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il Comitato Onu contro la Tortura, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, e il Consiglio d’Europa, hanno anch’essi sostenuto la chiusura del carcere. Bush afferma di voler chiudere la prigione, ma a quanto pare è in attesa che la Corte Suprema si dichiari. Allo stesso tempo, in ogni caso, la sua amministrazione sta spendendo 30 milioni di dollari per costruire a Guantanamo celle permanenti.
Marjorie Cohn è docente di diritto presso la Thomas Jefferson School of Law, Presidente eletto della Lega Nazionale statunitense degli avvocati e rappresentante US dell’Associazione Americana dei Giuristi. Collabora settimanalmente con 'Truthout'. 1. Salim Ahmed Hamdan, ex autista di Osama Bin Laden e detenuto a Guantanamo da due anni incriminato per associazione a delinquere a fini di crimini di guerra [NdT] Correlati:
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