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Suez 1956, Tripoli 2011: confronto tra due guerre

di Sergio Romano - 12/09/2011


Quali sono, secondo lei, le analogie e le differenze tra l’attuale intervento in Libia e quello anglo-francese a Suez nel 1956? Mentre quello segnò la perdita di ruolo delle potenze europee nel Mediterraneo in favore degli Usa, ora pare che siano gli Usa ad «andare a ruota». Quali saranno le conseguenze?

Cristiano Nisoli 

 SUEZ 1956, TRIPOLI 2011 CONFRONTO FRA DUE GUERRE Q uando il presidente egiziano annunciò la nazionalizzazione della società per azioni che gestiva il canale di Suez, la Gran Bretagna aveva ancora un impero. Sapeva, soprattutto dopo l’indipendenza dell’India, che i suoi possedimenti in Africa e in Asia sarebbero divenuti, prima o dopo, sovrani ma riteneva di potere concedere l’indipendenza con una certa gradualità e sperava di conservare con i nuovi Stati una buona parte dei diritti e dei privilegi imposti all’epoca della conquista. Nell’ottica inglese, quindi, il possesso del Canale era la condizione indispensabile al buon funzionamento di ciò che veniva chiamato Commonwealth ma era ancora, nella cultura politica britannica, l’Impero. Le preoccupazioni francesi erano diverse. La Francia stava combattendo in Algeria una difficile guerra per la conservazione della sua vecchia colonia ed era convinta che il cervello della rivolta fosse al Cairo. Fu una grossolana esagerazione, ma era certamente vero che il nuovo nazionalismo arabo di Gamal Abdel Nasser, regista della rivoluzione egiziana del 1952, stava creando seguaci in tutta l’Africa del Nord e che il governo del Cairo sosteneva materialmente o moralmente i movimenti di resistenza. Per condurre a buon termine l’operazione, Gran Bretagna e Francia avevano bisogno di un pretesto e di una autogiustificazione. Il pretesto fu trovato quando i due governi si accordarono con Israele sulle modalità di una provocazione tanto brillante quanto indecorosamente bugiarda. Israele avrebbe attaccato le forze egiziane nel Sinai e le due potenze europee sarebbero intervenute per interrompere le ostilità e «mettere in sicurezza » il Canale di Suez. L’autogiustificazione fu quella di rappresentare Nasser come una specie di Hitler medio- orientale e la spedizione anglo-francese come l’iniziativa che le democrazie europee avrebbero dovuto prendere nel 1938 allorché il dittatore tedesco minacciava la Cecoslovacchia. L’operazione stava andando a gonfie vele quando gli Stati Uniti ne decretarono la morte minacciando la crisi della sterlina alla Borsa di New York e sui mercati mondiali. Rispetto alla guerra di Suez, quella di Libia presenta molte differenze. Il fronte interventista, nel caso più recente, comprendeva sin dall’inizio gli Stati Uniti e acquistò maggiore legittimità quando la Nato dette all’operazione una certa «verniciatura internazionale ». Gheddafi era un tiranno crudele e non aveva le qualità di Nasser. Le dimostrazioni di Bengasi furono un pretesto, ma i ribelli esistevano e avevano qualche buona ragione per scendere in piazza contro il regime del colonnello. Come a Suez, tuttavia, Francia e Gran Bretagna hanno agito per motivi più concreti. Volevano cancellare il ricordo delle loro passate relazioni con gli autocrati detronizzati della sponda meridionale del Mediterraneo. Volevano acquistare una nuova verginità agli occhi di coloro che governeranno in futuro i Paesi dell’Africa del Nord, organizzare per quanto possibile la transizione della Libia e prenotare un posto decisivo al tavolo in cui si parlerà di petrolio e di gas. Questo non è colonialismo. Ma è probabilmente una forma nuova e raffinata di neocolonialismo. Quanto alle conseguenze, caro Nisoli, occorre aspettare l’esito finale dell’operazione. È quasi finito il primo atto, ma non è ancora cominciato il secondo.