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Guerriglia e Terrorismo

di Massimo Fini - 19/06/2006

Suscitò sconcerto, indignazione, scandalo e un subisso di critiche, un anno fa, la sentenza del giudice milanese Giuseppina Forleo che, pur avendo riconosciuto che un gruppo di islamici reclutava in Italia guerriglieri da mandare a combattere in Iraq, li ha assolti dall'accusa di terrorismo. Si tratta invece di una sentenza, peraltro poi confermata in Corte d'Appello, di grande rilievo, perché traccia in modo nitido, giuridicamente e logicamente ineccepibile, i confini fra guerriglia e terrorismo, una distinzione che è diventata di capitale importanza in un'epoca in cui, per l'enorme disparità militare e tecnologica delle forze in campo, molte guerre non possono essere combattute, dalla parte più debole, che con le modalità della guerriglia o del terrorismo, due forme di violenza contigue ma qualitativamente assai diverse e sulle quali si fa spesso una voluta confusione. «Condannare come terrorismo ogni guerriglia violenta – afferma il giudice – significherebbe negare l'elementare diritto di resistenza all'occupazione di truppe straniere» e quello all'autodeterminazione dei popoli solennemente sancito a Helsinki nel 1975 e sottoscritto da quasi tutti gli Stati del mondo. «È guerriglia – prosegue la sentenza – quando l'attacco violento è indirizzato su obbiettivi militari, è terrorismo quando colpisce indiscriminatamente militari e civili». Fin qui la sentenza. Io andrei più in là, comprendendo nella guerriglia anche gli atti violenti che avendo principalmente obbiettivi militari coinvolgono civili. Altrimenti dovrebbero essere condannati i militari americani ogni volta che i loro «missili chirurgici» provocano i devastanti «effetti collaterali» che conosciamo. Ed è la tesi che ha poi sostenuto la Corte d'Appello di Milano modificando, su questo punto, la sentenza Forleo. In riferimento alla situazione irachena qualcuno ha obiettato che gli angloamericani e gli italiani non si considerano forze di occupazione bensì di liberazione. Ma questa è una convinzione di parte, non una valutazione giuridica. Sarebbe troppo comodo, e in definitiva privo di senso giuridico, se spettasse alle parti in causa decidere qual è la loro posizione. Tutte le truppe occupanti possono trovare ottimi pretesti per considerarsi «liberatrici». Bisogna vedere che cosa ne pensano i «liberati». A me pare che la sentenza della Forleo e della Corte d'Appello milanese restituiscano il suo posto alla guerra, i cui atti non possono essere giudicati col metro del diritto vigente in tempo di pace (altrimenti tutti i combattenti sono degli assassini, potenziali o reali), allo ius belli e al concetto schmittiano di iustus hostis per cui il nemico è il nemico ed è quindi legittimo ucciderlo, ma non è necessariamente un criminale, che è invece la linea americana da Norimberga fino a Guantanamo passando per Milosevic. A meno che non si voglia sostenere la tesi che la guerra è tale solo quando la facciamo noi, mentre quando la fanno gli altri contro di noi è sempre e solo terrorismo.

 

da Il Ribelle