In breve C’è una ‘giustizia su misura’ per le grandi potenze occidentali, che godono di un’assoluta impunità per le guerre di aggressione di questi anni, giustificate come guerre umanitarie o come guerre preventive contro il terrorismo. E c’è una ‘giustizia dei vincitori’ che si applica agli sconfitti e ai popoli oppressi, con la connivenza delle istituzioni internazionali, l’omertà di larga parte dei giuristi accademici e la complicità dei mass media. In realtà solo la guerra persa è un crimine internazionale.
PREFAZIONE:
Fino alla conclusione della seconda guerra mondiale, il diritto internazionale aveva previsto, per gli Stati che avessero violato le sue norme, sanzioni di carattere politico, economico o territoriale. Non era invece prevista la punizione di soggetti individuali. Importanti trattati multilaterali escludevano che gli individui potessero essere considerati, accanto agli Stati, soggetti dell’ordinamento giuridico internazionale e quindi passibili di sanzioni penali. Ma a partire dai primi decenni del Novecento, sotto l’influenza della cultura nordamericana, si è andata affermando in Occidente la duplice idea che la guerra di aggressione dovesse essere considerata un crimine internazionale e che fosse necessario introdurre la giustizia penale nell’ordinamento internazionale per punire, assieme ai responsabili di ogni altro crimine di guerra, anche i responsabili di una guerra di aggressione. L’esordio di questa radicale svolta nella concezione giuridica della guerra fu l’incriminazione, alla fine del primo conflitto mondiale, del Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern. Gli Stati vincitori lo accusarono di «oltraggio supremo contro la moralità internazionale e la santità dei trattati» e ne chiesero la consegna perché intendevano processarlo come criminale di guerra davanti a una corte composta da giudici da essi designati. Il processo non ebbe luogo, ma ciò che era stato tentato senza successo contro il vecchio imperatore tedesco venne realizzato dopo circa un ventennio dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. A Norimberga e a Tokyo vennero organizzati dei Tribunali penali internazionali per processare i nemici sconfitti. Ventidue gerarchi nazisti e ventotto alti esponenti dell’amministrazione e dell’esercito giapponese furono sottoposti a giudizio. A conclusione dei due processi vennero irrogate pene esemplari, fra cui diciassette condanne a morte, che furono immediatamente eseguite. Quasi cinquecento furono le esecuzioni di cittadini tedeschi a conclusione di successivi processi che americani, britannici e francesi organizzarono a Norimberga e in altre città della Germania. Poco si sa dei molti processi organizzati dai sovietici nei territori da loro occupati. […] Dopo la lunga pausa della guerra fredda, l’esperienza della «giustizia dei vincitori» si ripete a partire dai primi anni novanta e riguarda i vertici politici e militari della Repubblica federale jugoslava, con in testa l’ex presidente Slobodan Milosevic. Demonizzato come il massimo responsabile delle guerre balcaniche e come il mandante di gravissime violazioni dei diritti dell’uomo, inclusa la «pulizia etnica» in Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo, Milosevic viene «consegnato» dal governo jugoslavo al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. In realtà il governo cede a un ricatto economico degli Stati Uniti e alle pressioni della NATO, che con un blitz cattura l’ex presidente e lo trasporta all’Aja, sede del tribunale. Qualche anno più tardi, in Iraq, la «giustizia dei vincitori» investe gli esponenti politici e militari del partito Ba‘th, in primis il presidente della Repubblica Saddam Hussein, anch’egli accusato di gravissime violazioni dei diritti umani. L’ex presidente dell’Iraq viene catturato e recluso in un luogo segreto da milizie statunitensi, e viene processato a Baghdad da un Tribunale speciale iracheno, voluto e organizzato dagli Stati Uniti, che occupano militarmente il paese. Sia Milosevic che Hussein sono stati incarcerati e sottoposti a processo per volontà degli Stati Uniti e della Gran Bretagna dopo la conclusione vittoriosa di due guerre di aggressione: quella «umanitaria», in nome delle tutela internazionale dei diritti dell’uomo, scatenata nel 1999 dalla NATO contro la Repubblica federale jugoslava, e quella «preventiva» contro l’Iraq, iniziata nel 2003 e ancora tragicamente in corso. Se non fosse improvvisamente scomparso nel marzo 2006, Milosevic sarebbe stato condannato all’ergastolo, non essendo prevista la pena di morte dallo statuto del Tribunale, mentre il dittatore Saddam Hussein, stando agli auspici del presidente Bush, sarà giustiziato: l’incertezza sembra riguardare solo la modalità dell’esecuzione. Si tratta comunque di una giustizia retributiva, esemplare, sacrificale, secondo il «modello di Norimberga». Nulla è invece accaduto ai criminali responsabili delle stragi atomiche di Hiroshima e di Nagasaki dell’agosto 1945, o dei bombardamenti a tappeto delle città tedesche e giapponesi che a conclusione del secondo conflitto mondiale, quando ormai la guerra era già vinta dagli Alleati, hanno provocato centinaia di migliaia di vittime fra la popolazione civile. Nulla è accaduto alle autorità politiche e militari della NATO, responsabili di un crimine internazionale «supremo» come la guerra di aggressione «umanitaria» contro la Repubblica jugoslava. I vertici della NATO si erano macchiati anche di una serie di gravissimi crimini di guerra commessi nel corso dei 78 giorni di ininterrotti bombardamenti della Serbia, della Vojvodina e del Kosovo. La procura del Tribunale dell’Aja, nella persona del procuratore generale Carla del Ponte, ha archiviato tutte le denunce presentate contro la NATO, non esitando a porre la giustizia internazionale – e i diritti dell’uomo – al servizio delle potenze occidentali che avevano vinto la guerra e che sostenevano e finanziavano il Tribunale (e che continuano a farlo). Nel 1991, contro l’Iraq che aveva illegalmente invaso il Kuwait le potenze occidentali, con l’avallo del Consiglio di sicurezza, hanno organizzato una delle più imponenti spedizioni militari della storia umana. La guerra ha mobilitato oltre mezzo milione di soldati della forza statunitense, cui si sono aggiunti i combattenti forniti da numerosi altri paesi. Nel corso dei 42 giorni di bombardamenti è stata utilizzata una quantità di esplosivo superiore a quella usata dagli Alleati durante l’intera seconda guerra mondiale. Le vittime irachene sono state almeno centomila. Dopo la sconfitta, l’Iraq è stato sottoposto dai vincitori, con l’assenso delle Nazioni Unite, a pesanti sanzioni economiche e territoriali che hanno prodotto altre centinaia di migliaia di vittime fra la popolazione civile. Nulla di tutto questo è accaduto dopo l’aggressione e l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nel 2003. E si può essere certi che mai verranno puniti i responsabili politici e militari della strage di decine di migliaia di militari e di civili innocenti, compiuta prima in Afghanistan e poi in Iraq dalle armate angloamericane. Del tutto impunita resterà in particolare la strage di civili nella città irachena di Fallujah – la strage al napalm e al fosforo bianco – del novembre 2004. E altrettanto si può prevedere per i crimini commessi dalle milizie israeliane nel corso di decine di anni di occupazione militare della Palestina, per non parlare dell’etnocidio in corso in Cecenia. Mi sembra dunque ragionevole denunciare, come ho tentato di fare nelle pagine che seguono, il «sistema dualistico» della giustizia internazionale. C’è una giustizia su misura per le grandi potenze e le loro autorità politiche e militari: esse godono di un’assoluta impunità sia per i crimini di guerra sia, e soprattutto, per le guerre di aggressione di cui in questi anni si sono rese responsabili, mascherandole come guerre umanitarie per la protezione dei diritti umani o come guerre preventive contro il «terrorismo globale». Dal 1946 ad oggi non è mai stato celebrato un solo processo, né a livello nazionale, né a livello internazionale, per crimini di aggressione. E c’è una «giustizia dei vincitori» che si applica agli sconfitti, ai deboli e ai popoli oppressi, con la connivenza delle istituzioni internazionali, l’omertà di larga parte dei giuristi accademici, la complicità dei mass media e l’opportunismo di un numero crescente di sedicenti «organizzazioni non governative», in realtà al servizio dei propri governi e delle proprie convenienze. |