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L'universo è sempre esistito e sempre esisterà

di Giovanni Caprara - 30/09/2011

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C'era una volta l'idea che l'universo fosse sempre esistito, che non avesse avuto un inizio e che sarebbe rimasto sempre lo stesso. A compensare la sua continua espansione sarebbe intervenuta una generazione spontanea di nuova materia, delle molecole di idrogeno. Erano gli anni Cinquanta dello scorso secolo e il sostenitore più celebre della quieta visione cosmica, diventata famosa come «teoria dello stato stazionario» era il fisico-matematico britannico Dennis Sciama, discepolo del Nobel Paul Dirac e maestro del grande e sfortunato Stephen Hawking. Tra i banchi di Cambridge ad ascoltare le sue lezioni c'era anche Roger Penrose la cui genialità in matematica e in cosmologia si sarebbe rivelata presto. «Da Sciama ho appreso l'entusiasmo per la nuova fisica e della sua teoria seppe farmi apprezzare la bellezza e la forza esplicativa» scrive nella prefazione del suo ultimo libro, Dal Big Bang all'eternità (Rizzoli).
Negli anni Sessanta gli americani Arno Penzias e Robert Wilson scoprivano per caso una radiazione uniformemente distribuita in ogni angolo dello spazio giudicata la prova mancante di un'altra idea avanzata nel 1927, quella di un Big Bang (ma allora non si chiamava così: il battesimo sarà di Fred Hoyle, astrofisico e scrittore di fantascienza), e da cui il nostro universo avrebbe avuto origine. Sciama accettava la sconfitta sconfessando coraggiosamente in pubblico tutto ciò in cui aveva creduto. Nei decenni seguenti le capacità di osservazione consolidavano la visione arrivando persino a stabilire che l'Universo era nato da una grande scoppio 13,7 miliardi di anni fa.
Non tutti, però, erano ciecamente convinti. Nella scienza c'è sempre chi coltiva alternative, scruta verso possibilità diverse in particolare quando il tema è grande e complesso come è la storia del cosmo, la nostra storia. Soprattutto c'era chi sosteneva con spiegazioni diverse che un «prima» doveva esserci e che tutto non poteva essere partito dal Big Bang.
Tra gli impegnati su questo fronte emergeva Roger Penrose, nel frattempo diventato un'autorità. Numerose innovazioni del pensiero matematico portavano il suo nome. C'è il «Diagramma di Penrose» che disegna lo spazio, la «teoria dei twistor» per mappare gli oggetti geometrici dello spazio-tempo tetradimensionale, la «tassellatura di Penrose», meravigliosa geometria di superfici infinite, il «triangolo di Penrose» noto anche come triangolo impossibile, e, infine, la «scala di Penrose». Proprio queste due ultime concezioni sono state persino assorbite e rappresentate nelle illustrazioni dell'olandese Maurits Escher, nelle quali l'occhio si smarrisce in folli architetture.
Guardando al cosmo, Penrose e Stephen Hawking lavoravano assieme alle conseguenze della relatività di Einstein. E Hawking, tra i numerosi risultati, avrebbe dedotto che i buchi neri non sono ermeticamente chiusi e che dalla loro prigione gravitazionale sfugge una sia pur minima quantità di radiazione. Nel frattempo i credenti di un'altra teoria, quella «dell'Universo oscillante», non abbandonavano l'ipotesi che, ad un certo punto, l'Universo sotto l'azione della gravità fermasse la sua espansione invertendo la corsa, proiettando stelle e galassie verso il punto di partenza, preparando quindi un nuovo Big Bang. Era il cosiddetto Big Crunch.
Ciò che cresceva, comunque, era soprattutto il mistero perché la presenza della materia oscura indirettamente osservata non coincideva con la stessa espansione la quale veniva salvata dall'ipotesi di un'energia altrettanto oscura in grado, invece, di alimentarla. Ma, prima del Big Bang, in molti continuavano a domandarsi, c'era qualcosa?
Roger Penrose credeva di sì e anzi sviluppava assieme al fisico armeno Vahe Gurzadyan la «teoria ciclica conforme» per dimostrarlo. Alla fine dell'anno scorso la presentava nei dettagli esibendo una prova che doveva confermarla. Da qui nasceva il libro che con dovizia di argomentazioni spesso ardue (le formule non mancano) racconta un pensiero in grado di sfidare le più rigorose certezze. Con grande fascino e straordinaria intelligenza, bisogna ammettere, Penrose ci spiega che l'universo è sempre esistito e sempre esisterà. Che l'universo nel quale noi viviamo è solo uno degli infiniti universi che in sequenza si succedono, uno dopo l'altro, per l'eternità. Ognuno di essi rappresenta solo un periodo di tempo, un «eone»: si origina da un Big Bang, si diffonde fino a dissolversi includendo i buchi neri grazie alla teoria di Hawking, ma creando nel contempo le condizioni per la successiva rinascita, il nuovo Big Bang.
Nel progetto cosmico di Penrose non si accetta l'idea dell'inflazione, passo obbligato che invece i sostenitori dell'Universo in cui viviamo pongono come primo, rapidissimo passo dall'energia alla materia da cui sono nate stelle e galassie. Sostiene una visione diversa dell'entropia che mal si adatta nell'impostazione dell'unico mondo che vediamo. E infine esibisce dopo sette anni di analisi una prova ritenuta validissima.
Nelle mappe colorate raccolte dall'osservatorio spaziale della Nasa «Wilkinson-WMap» in cui emerge un universo primordiale tra le anomalie della radiazione di fondo giudicate i «semi» da cui sarebbero nate le future galassie, Penrose scorge qualcosa d'altro. Egli vede delle costruzioni circolari che contrastano con la irregolarità necessaria a certificare un cosmo disordinato secondo le regole della sua fase iniziale. Per lo scienziato britannico i cerchi sono le tracce lasciate dalle onde gravitazionali lanciate alla fine dell'universo precedente dalla fusione di buchi neri e dal loro dissolvimento. Ecco la presunta prova della sua teoria e di un passato esistito prima del Big Bang. Ora si attendono indizi dal nuovo osservatorio orbitale europeo Planck che potrebbero rafforzare o smentire l'intuizione. «Nella mia proposta risuona una forte eco del vecchio modello dello stato stazionario — ammette Penrose —. Non posso fare a meno di chiedermi che cosa ne avrebbe pensato Dennis Sciama».