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Underworlds

di Claudio Asciuti - 30/09/2011

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Alan D. Altieri appartiene a quel ristretto gruppo di scrittori di genere (Arona, Baldini, Evangelisti e pochi altri) che si sono creati uno spazio e un seguito nel modesto panorama della letteratura italiana, senza apporti equivoci da gruppi di pressione o partiti politici e senza la mediazione televisiva o più o meno interessata dell’editoria.
Con tutte le loro diversità politiche ed esistenziali, non propriamente conciliabili con le spinte cattolico-liberiste attuali dell’intellighenzia italica, destrorsa e sinistrorsa.
Il “maestro dell’Apocalisse” in modo particolare, dopo un lungo periodo come sceneggiatore negli USA, tornato in Italia ha diretto la divisione Mass Market della Mondadori, quella dei materiali da edicola, producendo nuove collane di horror e di fantasy, e dando spazio agli autori italiani, in linea di massima sottostimati. Ultimamente dimessosi dall’ incarico, ha ripreso la strada del traduttore e dello scrittore a tempo pieno, in assoluta libertà, firmando ora Underworlds (Tea, pag. 262, euro 12,00), la quarta antologia nel giro di pochi anni, che raccoglie testi, editi ed inediti, tutti al fulmicotone e tutti da maneggiare con cura.
Totentanz è la versione “politicamente scorretta” del Grande Fratello nazionale: che potrebbe succedere in una nazione totalmente dominata dalla videocrazia? La spettacolarizzazione totale della violenza e la messa in scena della morte, il tabù filmico ultimo e terminale; temi analizzati da Guy Debord e dai situazionisti, come da grandi critici come Andrè Bazin, qui portati all’estremo: ciò che si filma (e si vuole vedere) è lo spettacolo della morte che anestetizza le coscienze e decostruziona il pensiero.
In un crescendo visivamente simile a quelli che gli americani chiamano “torture film” e “snuff movie” (al centro di grandi polemiche in tutto il mondo), dove la macchina da presa indugia sulla tortura, sull’agonia e sulla morte (false e spacciate per vere) si dirama la storia del primo spettacolo televisivo che prevede la morte dei protagonisti; e che inopinatamente, al contrario, richiama ad una palingenetica rivolta i telespettatori.
In successione, Giorno segreto ci riporta alla questione femminile, che non è femminismo d’epoca o escortismo televisivo, ma piuttosto tellurico potere della femminilità e della stregoneria; Skorpi@ 6.6. è un incrocio fra tecnothriller e fantascienza; Un’alba per l’Ecclesiaste, un racconto tradizionale di fantascienza survivalista, mentre Full Dagon Five, è un omaggio al grande H.P. Lovecraft, come L’ultimo rogo della Morte Rossa lo è all’ancora più grande Edgar Allan Poe.
Sotto i numi tutelari dell’orrore ma anche della grande narrativa d’epoca, Altieri ricostituisce i vecchi miti: nel primo la discesa del Corpus Christi, sottomarino nucleare yankee, ci pone a confronto con Dagon, uno dei più tradizionali esseri lovecraftiani; nel secondo il bunker presidenziale a stelle strisce diventa la cornice moderna della Morte Rossa, qui misterioso morbo che somiglia all’ebola sfuggito da qualche laboratorio di ricerca per la guerra batteriologica, la cui diffusione viene seguita passo a passo da rapporti e dirette. Infine, riappare dopo vent’anni uno dei testi fondamentali per l’horror italiano, Scarecrow; fondamentale al punto che quando Donato Lanzardo scrisse Spaventapasseri.
Lo straccione divino (Giorgio Mondadori, 1997) analizzando questa inquietante figura di ente senza vita, ma visivamente sempre pronto ad acquisirla, non esitò a citarlo in una ideale galleria artistica assieme ai lavori di Baum, di Grass, di Montale e Casorati.
Riscritto e rilavorato, il testo centra la sua narrazione nel paesaggio agricolo fra la brutalità e il bigottismo del tradizionale fondamentalismo, e la violenza reducista dalle guerre americane; il contadino e il soldato che si combattono di fronte alla mega-trebbiatrice, simbolo di una tecnologia spesso evanescente, altro non sono che le due facce archetipiche di un paese che lasciato il pulsare delle metropoli ritorna a uno stato di semi-imbarbarimento in cui la violenza, molla propulsiva della vita americana, riaffiora comunque.
Più che alla vita dei campi di Steinbeck leggiamo quella di Faulkner, ma dietro vi è l’ombra di King. Grazie alla presa di materiali scottanti, a un recupero di temi oramai epici e ad un linguaggio sempre più rarefatto, e nel contempo ricco e pieno di echi particolari, lontano dall’abituale linguaggio narratorio italiano, facile ed esangue, ancora una volta Altieri si ripropone come il fautore di una via nazionale all’horror.