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Al-Nakba la grande catastrofe

di Alessandra Colla - 20/06/2006

Fonte: alessandracolla

 

Sono passati cinquant’anni dalla “nascita” del controverso Stato di Israele: le cronache delle ultime settimane traboccano di celebrazioni per l’anniversario di un evento che indubbiamente ha segnato la storia del XX secolo. Ma, parafrasando Lao-tze, quello che il resto del mondo chiama nascita di Israele i palestinesi chiamano catastrofe: nessuno, infatti, sembra ricordare che quel medesimo evento fu l’inizio della fine per un intero popolo. Ed è proprio col nome di “catastrofe”, al Nakba, che i palestinesi ricordano il maggio 1948. Nascita e catastrofe: due nomi che rispecchiano assai bene il diverso modo di sentire di questi due popoli costretti a convivere in un angusto fazzoletto di terra.

Non abbiamo intenzione di ripercorrere qui il lungo cammino dello Stato di Israele, iniziato ben prima del 1948: come dimostra ampiamente Walid Khalidi* con un’approfondita analisi degli avvenimenti che portarono alla risoluzione dell’Onu, il conflitto tra palestinesi e israeliani cominciò nel momento in cui il movimento sionista, fondato da Theodor Herzl nel 1897, individuò la Palestina come possibile patria degli ebrei.

Ci limiteremo invece a ricordare che nel gennaio 1948 la Palestina assisté impotente all’infittirsi delle azioni “dimostrative” operate dalle organizzazioni paramilitari ebraiche come l’Haganah, considerata legale dall’Agenzia ebraica, e altre decisamente terroristiche come l’Irgun Zvai Leumi e la famigerata banda Stern. Sotto la pressione di offerte tanto convincenti, furono migliaia gli arabi costretti a rifugiarsi in Giordania. Dopo mesi di stillicidio, le sorti della Palestina e del Medio Oriente si giocarono in poche ore: il 14 maggio le forze britanniche si ritirarono dalla Palestina, lasciando il campo a un governo provvisorio ebraico guidato da David Ben Gurion, che proclamò la nascita dello Stato di Israele nominandone presidente Chaim Weizmann. Com’era prevedibile, i paesi della Lega araba non riconobbero il nuovo Stato e intervennero militarmente: meno di 23 ore più tardi, il 15 maggio, gli eserciti di Egitto, Transgiordania (attuale Giordania), Siria, Libano e Iraq si unirono ai palestinesi e ad altri guerriglieri arabi che stavano lottando contro le forze ebraiche sin dal novembre del 1947, riuscendo a occupare parte della città di Gerusalemme e trasformando la guerra civile in conflitto internazionale: la prima guerra arabo-israeliana, combattuta senza interruzioni, fino al novembre dello stesso anno. Alla sua conclusione, Israele avrà ampliato il suo territorio di 7.000 chilometri quadrati, e i profughi arabi saranno 750.000. All’interno del conflitto, emergono altri due eventi ugualmente importanti: il 15 luglio il mediatore delle Nazioni Unite, Folke Bernadotte, riesce a concludere una fragile tregua fra arabi e israeliani, che si rivelerà però di breve durata — infatti due mesi dopo, il 17 settembre, Bernadotte viene assassinato da terroristi ebrei.

Si arriva così al 1949: nei primi mesi dell’anno ebbero luogo, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, negoziati diretti fra Israele e le nazioni arabe — eccezion fatta per l’Iraq, che rifiutò di trattare — che sfociarono in accordi di armistizio. Il risultato fu che la pianura costiera, la Galilea e tutto il Neghev finirono sotto la sovranità israeliana; Giudea e Samaria rimasero sotto il governo giordano, la striscia di Gaza sotto l’amministrazione egiziana e la città di Gerusalemme restò divisa — la parte orientale, compresa la Città Vecchia, sotto la Giordania, e il settore occidentale sotto Israele.

A partire da questo momento non si contano le risoluzioni di condanna dell’Onu, ignorate dai media e disattese da Israele: vale la pena di spulciare la cronaca degli ultimi giorni per farsi un’idea di quel che accade giornalmente nella “terra promessa”. Vediamo.

13 maggio 1998

L’Unione europea decide di non applicare più a Israele le tariffe preferenziali finora concesse sulle merci provenienti dagli insediamenti ebraici nei Territori occupati, dal momento che la stessa Ue non considera gli insediamenti parte dello Stato ebraico.

14 maggio 1998

Il cinquantenario della creazione dello Stato di Israele, con conseguente smembramento della Palestina e dispersione del popolo palestinese, è stato una giornata di scontri sanguinosi nei Territori occupati. I resoconti delle agenzie sono un autentico bollettino di guerra: in tutto il paese diverse centinaia di migliaia di persone hanno partecipato alle marce di protesta per commemorare la Nakba, suscitando la durissima risposta dell’esercito israeliano. Più in dettaglio, gli scontri peggiori si sono avuti a Gaza, presso i tre insediamenti ebraici di Netzarim, Gush Katif e Morag. In Cisgiordania la tensione ha raggiunto i livelli di guardia nell’insediamento di Psagot. La radio “Voce della Palestina” ha riferito che a Hebron il bilancio degli scontri con i reparti dell’esercito di Tel Aviv è di circa 80 palestinesi feriti. A Gerusalemme est la polizia israeliana ha caricato a mezzogiorno un gruppo di palestinesi che intendevano osservare il minuto di raccoglimento decretato dall’Autorità nazionale palestinese. Agenti della polizia a cavallo hanno caricato i dimostranti che per protesta scandivano ad alta voce versetti del Corano.

Due deputati israeliani dell’estrema destra religiosa oltranzista hanno invitato il primo ministro Binyamin Netanyahu a fare immediatamente ritorno da Washington, dove è in atto un estremo tentativo di mediazione per indurlo a rispettare gli accordi di Oslo, che prevedono la cessione ai palestinesi del 30% dei Territori occupati — attualmente la quota ceduta non supera il 13%. «Non ha senso parlare di cessione dei Territori quando avvengono questi scontri: è la dimostrazione che non dobbiamo farlo», hanno dichiarato i due parlamentari.

18 maggio 1998

Il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha condannato Israele per i trattamenti inflitti ai detenuti palestinesi. L’organizzazione umanitaria B’Tselem ha accusato invece Israele di torturare ogni anno almeno 850 detenuti palestinesi. Lo stesso giorno lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna, ha chiesto al governo di poter usare metodi di interrogatorio “duri” contro le persone sospette.

22 maggio 1998

Il governo ha respinto l’appello lanciato il 18 maggio dal presidente francese Jacques Chirac e da quello egiziano Hosni Mubarak per una «conferenza dei paesi che vogliono salvare la pace».

24 maggio 1998

Circa ventimila militari hanno sfilato a Gerusalemme per celebrare il trentunesimo Giorno di Gerusalemme, che ricorda l’annessione della parte araba della città da parte di Israele durante la Guerra dei sei giorni (1967). Quattordici palestinesi sono stati feriti dai soldati israeliani che impedivano loro l’accesso alla città santa.

25 maggio 1998

Il movimento di resistenza islamico Hamas e il Fronte popolare di liberazione della Palestina hanno annunciato a Damasco di essersi alleati per combattere Israele «con tutti i mezzi a disposizione».

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La situazione, come si vede, non è delle più rosee. Come se non bastasse, l’opinione pubblica sembra ignorare una verità fondamentale e ormai acquisita da alcuni addetti ai lavori: chi ha tentato di silurare le trattative di pace tra israeliani e palestinesi (avviate da Ytzhak Rabin e da Yasser Arafat) e ora sta per completare l’opera non va cercato soltanto fra gli ultranazionalisti di Binyamin Netanyahu o i fedelissimi di Hamas. Al contrario, uno dei sabotatori più efficienti e più determinati degli accordi di Oslo è l’americano Newt Gingrich, speaker (cioè presidente) della Camera dei rappresentanti e capofila della maggioranza repubblicana in Congresso — uno che conta a Washington e ora, purtroppo, anche in Medio Oriente.

In tutti i suoi interventi, soprattutto in quelli tenuti durante l’ultimo viaggio in Israele, Gingrich ha lanciato un unico messaggio, chiaro e forte: qualunque cosa faccia Netanyahu può star sicuro che avrà sempre dalla sua il Congresso degli Stati Uniti. Gingrich — dopo aver definito “odioso ricatto” i tentativi, finora vani, dell’amministrazione Clinton di costringere Netanyahu al rispetto degli accordi di Oslo e dopo aver suggerito che il segretario di Stato Madeleine Albright sia in realtà un “agente palestinese” — dalle colonne del “Jerusalem Post” ha poi dichiarato che i palestinesi portano tutta intera la responsabilità del blocco del processo di pace.

Nahum Barnea, uno dei più autorevoli commentatori politici israeliani, ha detto senza mezzi termini che le posizioni di Gingrich rischiano di mettere il Congresso americano nelle mani di Netanyahu, facendo del primo ministro israeliano il protagonista assoluto dei giochi di potere di Washington nella definizione della politica americana in Medio Oriente.

* Sulla “Rivista di studi palestinesi” (“Majallat al-Dirasat al-Filastiniyah”) dell’inverno 1997/98. La rivista è un quadrimestrale di approfondimento politico e culturale, edito dall’Istituto di studi palestinesi di Beirut e Gerusalemme; in occasione del 50° anniversario di al Nakba, la rivista ospita un lungo articolo di W. Khalidi intitolato Riesame della dichiarazione di spartizione della Palestina - 1948.

Usciremo dai nostri campi

Usciremo dai nostri rifugi in esilio

Usciremo dai nostri nascondigli

non avremo più vergogna

se il nemico ci offende.

Non arrossiremo

sappiamo maneggiare la falce

sappiamo come si difende un uomo disarmato.

Sappiamo anche costruire

una fabbrica moderna

una casa

un ospedale, una scuola

e sappiamo scrivere le poesie più belle.

Poesia palestinese




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