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Chi non è mai disceso nel proprio Maelström ha capito ben poco della vita

di Francesco Lamendola - 02/10/2011

 

Edgar Allan Poe scrisse il suo celebre racconto "Una discesa nel Maelstrom" nel 1833, ma lo pubblicò solamente otto anni dopo, nel 1841.
È considerato da molti uno dei suoi risultati artistici più intensi e suggestivi: la graduale, paurosa, allucinante discesa nei gorghi dell'immane riflusso delle acque marine è una trovata originalissima ed ha veramente qualche cosa di grandioso, di orrido e di sublime al tempo stesso, tale da affascinare il lettore, quasi come lo sguardo del cobra incanta le sue vittime.
Ne riportiamo i passaggi centrali, nella traduzione italiana di Maria Gallone (titolo originale: "A Descent into the Maelström"; Milano, Rizzoli, 1993, pp. 60-63), consigliandone però la lettura integrale:

"Non dovevano essere trascorsi più di due minuti, quando sentimmo improvvisamente le onde calmarsi, e fummo avviluppati da una cortina di spuma. L'imbarcazione eseguì una brusca semiconversione a manca, e poi prese a filare come una saetta nella sua nuova direzione. In quello stesso istante il muggente frastuono dell'acqua fu completamente soffocato da una specie di stridio acuto:  un rumore simile a quello che si potrebbe immaginare uscente dalle condutture  di migliaia e migliaia di piroscafi che tutti assieme scaricassero il loro vapore. Ci trovavamo ora nella cintura di frangenti che sempre circonda il gorgo, e io pensavo naturalmente che l'attimo successivo ci avrebbe scagliati entro l'abisso, in fondo al quale vedevamo solo indistintamente a causa della fantastica velocità con la quale eravamo trasportati. l'imbarcazione non sembrava più tagliar l'acqua, ma pareva sfiorare la superficie della risacca con l'aerea levità di una bolla. Sul lato di dritta si sprofondava la voragine, sul lato di manca tumultuava l'immensità oceanica che avevamo lasciata, e che si elevava tra noi e l'orizzonte come un'immensa fremente muraglia. […]
È impossibile dire quante volte rifacessimo il circuito della fascia di frangenti. La percorremmo vorticosamente torno torno per forse un'ora, più volando che galleggiando, avvicinandoci gradatamente sempre più verso il mezzo della risacca, e poi sempre più e più vicino a suo spaventoso orlo interno.  […]
Mentre sprofondavo nella vertiginosa spirale discendente, mi ero istintivamente aggrappato al barile e avevo chiuso gli occhi. Per alcuni istanti non osai riaprirli, aspettandomi a ogni attimo la fine, e stupendomi di non essere già in lotta mortale con le acque. Ma gli attimi si susseguirono agli attimi, e io seguitavo a vivere. Il senso di caduta  era cessato; il moto dell'imbarcazione assomigliava moltissimo a quello di poc'anzi entro la cintura di spuma, con la differenza che adesso era assai più uniforme. Presi coraggio e riaprii gli occhi.
Non potrò mai dimenticare il senso di terrore arcano, di orrore, di meraviglia che mi afferrò non appena  volsi lo sguardo a contemplare lo spettacolo che mi circondava. La barca sembrava sospesa  a mezzavia, come per opera d'incantesimo,  sulla superficie interna d'un imbuto immenso, di circonferenza, prodigioso di profondità, e le cui pareti perfettamente lisce potevano essere scambiate  per ebano, non fosse stato per la rapidità vertiginosa  con cui roteavano torno torno, e per la scintillante spettrale radiosità che emanava da esse, quasi che i raggi della luna al suo colmo, da quello squarcio circolare frammezzo alle nubi che ho già descritto, sgorgassero in un fiotto di gloria dorata ungo le nere muraglie, giù giù, sin entro i più riposti recessi dell'abisso. […]
I raggi della luna sembravano frugare in cerca del fondo stesso dell'insondabile abisso, ma io non riuscivo ancora a vedere distintamente, a causa di una fitta nebbia in cui ogni cosa era avvolta, e sulla quale si tendeva un meraviglioso arcobaleno simile all'angusto, vacillante ponte che i mussulmani dicono sia il solo passaggio tra il Tempo e l'Eternità. Questa foschia, o spuma, era senza dubbio prodotta dal cozzo delle grandi pareti dell'imbuto, ogni qualvolta esse si incontravano insieme nel fondo; ma l'ululato che saliva sino ai cieli fuori di quella nebbia io non mi arrischierò a descriverlo."


Ebbene: nella vita di ogni uomo arriva il momento della discesa nel proprio Maelström; e, fino a quando ciò non è avvenuto, si può dire che quella tale persona non sa ancora nulla del mistero della vita: è come un bambino che crede di sapere tante cose, ma non sa niente.
Stiamo parlando, ovviamente, della morte; e, dal momento che non è possibile fare esperienza della propria morte e tornare poi a riflettervi sopra, perlomeno in questa dimensione terrena, stiamo parlando della esperienza della morte delle persone a noi care: la più dura, la più dolorosa esperienza che sia riservata ad un essere umano.
Eppure, tutti dobbiamo passarvi: resta solo da vedere se, dopo esservi passati, saremo diventati più ricchi di umanità, più saggi, più comprensivi nei confronti della vita, oppure se ne usciremo più o meno come eravamo prima o anche, magari, più superficiali e distratti rispetto alle cose che contano, rispetto alle cose realmente essenziali.
La perdita delle persone che amiamo costituisce un passaggio angoscioso e lacerante nel cammino della nostra vita: una vera e propria discesa nei gorghi tenebrosi del Maelström; o, se si preferisce, un venire inghiottiti, come Giona, nel ventre oscuro della balena.
Non diciamo che sia, necessariamente, una esperienza devastante; preferiamo dire "lacerante": perché certamente, in essa, vi è la dimensione dello strappo doloroso, della separazione crudele; ma che il tutto si debba risolvere in una devastazione dell'anima e in una distruzione della speranza, questo non è scontato, ma dipende dal modo in cui noi l'affrontiamo.
Finché non riusciamo a vedere nella morte nient'altro che la fine di tutto, essa non smetterà mai di spaventarci, di angosciarci, di apparirci come una terribile beffa, come una suprema ironia: innamorarsi della vita e poi doverla lasciare, insieme agli affetti più cari: che senso ha?
Se, però, incominciamo a porci in un'altra prospettiva e scorgere in essa non la fine, ma il principio; non la corruzione, ma il coronamento e il perfezionamento supremo della vita, ecco che il suo micidiale pungiglione le viene strappato: rimane il dolore della separazione da quanti abbiamo amato, ma come quando ci si deve accomiatare da un caro compagno di viaggio, sapendo che tale separazione è per il bene e non per il male. E chi non prova consolazione, al pensiero che quel compagno ha trovato finalmente la strada di casa?
Vi sono altri passaggi oscuri e drammatici nella dimensione interiore di una persona, vi sono altre discese nel Maelström: questa, però, le supera tutte per ampiezza e profondità; essa rappresenta, senza possibilità di paragone, la prova più impegnativa che un essere umano si trovi mai ad affrontare nel corso della propria vita.
Un'altra forma drammatica di discesa nel Maelström è - seconda solo a questa, se pure non altrettanto radicale - la depressione: una malattia con la quale si può convivere senza troppe difficoltà, se si manifesta in forme lievi; ma terribilmente angosciosa e perfino altamente distruttiva, se assume una forma grave.
Cadere nella depressione è come venire risucchiati in un nero abisso liquido: una discesa involontaria nei gorghi di un oceano sconosciuto, in cui vengono precipitati, talvolta, anche i più esperti marinai: uomini e donne vitali, che sembravano scoppiare di salute e di energia, ma che, quasi da un giorno all'altro, non paiono più gli stessi: il loro sguardo si spegne, la loro sicurezza si sbriciola ed eccoli lì, smarriti e disperati, quasi schiacciati da una forza tremenda e incomprensibile, della quale essi stessi, non che i loro amici e i più stretti congiunti, ignorano l'origine e dei cui effetti devastanti non sanno darsi una ragione.
Quelli che ne sono usciti - ma chi ne è stato vittima in forma grave non si ritiene mai guarito del tutto, sente sempre un spada di Damocle pendere minacciosamente sul proprio capo - non sono più gli stessi di prima: qualche cosa, in loro, è cambiato per sempre; lo sguardo tradisce una esperienza inaudita e per molti aspetti misteriosa, vissuta sulla propria pelle, come sarebbe quella di affrontare un orso infuriato a mani nude.
Questi uomini e queste donne, che si sentono un po' come dei prigionieri rilasciati solo temporaneamente da un nemico imprevedibile e tirannico, hanno ora qualcosa di alieno in sé; portano il peso di una vicenda che non può essere spiegata a parole, che non può essere comunicata né realmente condivisa; e la stessa cosa vale per chi sia stato sfiorato dall'ala della morte.
Quando Nietzsche affermava che nessuno può guardare troppo a lungo dentro l'abisso, senza che l'abisso incominci a guardare, a sua volta, dentro di lui, esprimeva una profonda verità: ci sono esperienze dalle quali non si ritorna indietro così come si era prima; nelle quali è come se il nostro vecchio io fosse stato spezzato una volta per sempre.
Si può rinascere da tali esperienze?
Sono esse sempre e solo distruttive, oppure possono rappresentare un momento di profonda consapevolezza e, dunque, di crescita spirituale complessiva per colui o per colei cui è toccato in sorte di esplorare questa regione sconosciuta e un po' paurosa?
La cosa dipende dalla capacità del singolo individuo di affrontare nel modo giusto la propria discesa nel Maelström; e ciò, a sua volta, dipende in larga misura dal percorso esistenziale fatto in precedenza, perché una simile capacità non si può improvvisare, ma nasce, casomai, da un lungo allenamento, da un quotidiano mettersi alla prova.
Ecco perché è importante lavorare incessantemente su se stessi, sviluppare la propria consapevolezza, far tesoro di tutte le esperienze che la vita ci pone davanti, e specialmente quelle sgradite, dure, difficili: solo così si sviluppano quella forza morale e, al tempo stesso, quella elasticità, che possono consentirci di affrontare la discesa nei gorghi ribollenti del Maelström, senza venirne spezzati o distrutti.
Bisogna allenarsi quotidianamente alla lucidità, alla onestà con se stessi e con gli altri, alla tenacia, alla pazienza, alla solitudine, al coraggio, alla fierezza, nonché ad essere esigenti, sempre: prima di tutto con se stessi, poi con il prossimo (e non il contrario, come fanno gli uomini da poco); ma anche a perdonare e a sapersi perdonare.
Bisogna imparare a volersi bene nel modo giusto: senza troppa indulgenza per le proprie debolezze, ma anche senza un eccessivo, masochistico rigore, da cui non potrebbero derivare altro che scoraggiamento, frustrazione e un generale senso di inadeguatezza.
Volersi bene e perdonarsi; volersi bene ed essere esigenti; volersi bene e tuttavia, o proprio per ciò, rifiutare le strade più facili, le piccole furberie, le scorciatoie, anzi avviarsi con decisione lungo le strade più impervie, le più solitarie, là dove raramente troveremo qualcuno a indicarci la via e più spesso dovremo trovarla da soli, per prove ed errori, cadendo e rialzandoci: questo è necessario, questo va fatto per liberare la parte migliore che giace in noi, magari semisepolta sotto masse di ciarpame e di inutili nastrini.
Volersi bene in modo virile, non femmineo: prendersi anche a frustate, quando occorre; e tener sempre la schiena ben dritta e la fronte alta, essere sempre in grado di fissare il proprio volto allo specchio, senza arrossire o aver voglia di girare altrove lo sguardo.
A queste condizioni, i gorghi del Maelström non ci coglieranno del tutto impreparati, per quanto si possano spalancare all'improvviso davanti alla prua della nostra navicella; a queste condizioni, avremo almeno una possibilità di farcela, di uscirne non solamente vivi, ma arricchiti nell'anima e irrobustiti ulteriormente.
L'orizzonte della vita è mutevole, imprevedibile: chi lo sa se dietro la calma e perfino la bonaccia che oggi fanno cadere, vuote, le vele, d'improvviso non potrebbe scatenarsi una terribile tempesta, tale da strappare, con le vele, l'intera alberatura della nostra nave e da minacciare quest'ultima di sprofondare negli abissi?
Il saggio timoniere non si addormenta mai, non abbassa mai la guardia: veglia, ascolta e prega…