Salvador Dalì: tra Cristo e Satana…
di Walter Catalano - 22/06/2006
Fonte: jubaleditore
“Il Cielo è l’unica cosa che la mia anima, prigioniera dell’assoluto, abbia cercato nel corso di tutta la sua vita che ad alcuni è potuta sembrare confusa e profumata dal Demonio”. Salvador Dalì Salvador Dalì, è certamente uno dei pittori più noti e importanti, se non uno dei più oggettivamente grandi del Novecento. Compagno di strada dei surrealisti (finché il fondatore del movimento d’avanguardia Andrè Breton non lo cacciò a causa delle sue atipiche simpatie destrorse, ribattezzandolo sarcasticamente con un esplicito anagramma del suo nome: Avida Dollars), amico intimo del regista Luis Bunuel e del poeta Federico Garcia Lorca (di quest’ultimo amico molto intimo… secondo i maligni), sposo devoto quanto sui generis della enigmatica Gala – ex compagna del poeta Paul Eluard – genio per sua stessa autoproclamazione e per quasi unanime riconoscimento, Dalì fu soprattutto, oltre che un grande artista, un gran poseur e un protagonista del jet set mondano che seppe cavalcare fino all’ultimo tutte le mode e le tendenze culturali del secolo, dalle avanguardie storiche degli anni venti, fino all’underground rockettaro e hippie degli anni ‘60 e ‘70. Nato a Figueras, vicino Cadaqués, in Catalogna, nel 1904 e assurto giovanissimo a notevole fama all’interno del movimento surrealista, Dalì mise a punto il cosiddetto metodo “paranoico-critico”, una personale forma di allucinazione programmata ricavata sulla base della sua interpretazione di Freud, che gli permetteva di dipingere con una meticolosità figurativa ispirata alle grande tradizione pittorica rinascimentale, ossessioni e deliri di un naturalismo allucinante. Con l’amico Bunuel realizzò nel 1928 il film Un chien andalou e nel 1930 L’age d’or, denunce del conformismo borghese e istigazioni alla violenza rivoluzionaria che scatenarono il boicottaggio dell’estrema destra francese. Negli anni seguenti però Dalì cambiò partito: dopo il 1933 la figura di Hitler lo ossessionò sempre più, anche sessualmente. “Proclamo lo sguardo e le spalle molli di Hitler dotate di un lirismo poetico irresistibile” scriverà. E si confesserà “affascinato dai fianchi bianchi e grassocci di Hitler… la più che divina carne di una donna di pelle bianchissima”. Il Fuehrer gli appariva infatti, nei suoi deliri erotici, come una donna. Il dittatore era per Dalì il “gran paranoico commestibile”, masochista al punto di scatenare una guerra colossale per il puro piacere di perderla e distruggersi nella catastrofe. Questi insoliti apprezzamenti sul capo del nazismo e sulla swastika – simbolo che eccitava Dalì evocando in lui l’immagine del coito – gli costarono l’amicizia dei colleghi surrealisti e di Pablo Picasso, tutti schierati – sebbene con sfumature che spaziavano dall’anarchia, allo stalinismo, al trovskismo – sul fronte antifascista. “Picasso es comunista, yo tampoco” dichiarerà Dalì qualche anno più tardi. Anche dopo la Guerra Civile il pittore catalano appoggerà il regime di Franco teorizzando una monarchia-anarchica ma ostentando in realtà grande familiarità con il Caudillo. Queste posizioni politiche sostanzialmente tradizionaliste non gli impediranno di elogiare Stalin e Mao Tse Tung (del quale illustrò addirittura una edizione delle “Poesie”) e di simpatizzare con i rivoltosi del ‘68. Il gusto dissacrante per gli opposti estremi non caratterizza però soltanto le scelte politiche dell’artista ma anche le sue opinioni in campo religioso e spirituale. Dalì ondeggia infatti fra un misticismo cattolico “forte”, di tradizione tipicamente spagnola, ed una pratica disinvolta dell’occultismo e della magia con altrettanto forti aperture verso il satanismo. Fin dagli albori del surrealismo uno dei suoi più intimi amici fu il poeta René Crevel, autore del primo saggio su di lui: Salvador Dalì o l’antioscurantismo, omosessuale (come, almeno tendenzialmente, Dalì stesso) e proclive alle estasi medianiche e alle sedute spiritiche, che finirà suicida nel 1935. Crevel – come l’altro medium-poeta surrealista in amicizia con Dalì, Robert Desnos – soleva autoindursi trances ipnotiche durante le quali produceva le sue poesie: i surrealisti definirono questo periodo ipnotico-medianico della loro attività artistica l’epoca dei sonni. Le doti medianiche di Crevel furono particolarmente apprezzate da Gala, la navigata femme fatale che aveva abbandonato Paul Eluard per legarsi al giovanissimo Dalì e divenire la compagna della sua vita. Nata a Kazan, in Russia, in una data indeterminata fra il 1890 e il 1895 – “sotto il segno della vergine” sottolineava lei stessa con sarcasmo (da parte sua Dalì si dichiarava candidamente “il principe dei cornuti”) – grande esperta di Tarocchi, li praticava ogni giorno accampando, per giustificare la sua innaturale dipendenza dalle carte, immaginarie origini gitane o ebraiche; donna autoritaria, vampirica e stregonesca, che passava di letto in letto incapricciandosi ora di questo ora di quello e che i surrealisti chiamavano scherzosamente “il registratore di cassa” per la sua eccessiva bramosia di denaro, Gala condizionerà fortemente il compagno e gli trasferirà la sua passione per l’occulto e il magico. Già prima di lei però Dalì aveva conosciuto un personaggio femminile ancora più direttamente in contatto con le tradizioni magiche: si trattava della moglie di un pescatore di Port Lligat, una certa Lidia Nogués Costa, figlia di Sabana, l’ultima strega di Cadaqués. La donna, sebbene umile e illetterata, aveva suscitato l’interesse dei maggiori intellettuali catalani: lo scrittore Eugenio d’Ors, il musicista Xavier Montsalvatje, e, attraverso Dalì, anche quello di Luis Bunuel e di Federico Garcia Lorca. Su di lei furono scritti anche due libri, illustrati da Dalì, Les Bruixes de Llers e La verdadera historia de Lidia de Cadaqués. “Lidia possedeva il cervello paranoico più magnifico, eccetto il mio, che abbia mai conosciuto” scrisse di lei Dalì che aveva anche intitolato uno dei suoi primi grandi quadri “Il miele è più dolce del sangue”, riprendendo una delle numerose frasi sibilline e incomprensibili che la vecchia pronunciava come fossero incantesimi o scongiuri e che tanto avevano ispirato il metodo “paranoico-critico” del surrealista. “Lidia, Lorca e Gala sono le mie divinità tutelari” aveva dichiarato Dalì in tarda età: c’è da pensare che il legame con la vecchia strega fosse molto più profondo di quanto si immagini se l’aveva ricordata – insieme all’amante e all’amico – quasi in punto di morte. Lo scrittore barcellonese Ernesto Milà traccia, in un suo recente lavoro, un interessante parallelo tra Dalì e il grande architetto catalano Antonio Gaudì (1852/1926), autore dei maggiori capolavori modernisti di Barcellona come il Parque de Guell o la cattedrale della Sagrada Familia. Entrambi indirizzarono il loro percorso artistico sul terreno della spiritualità affermando una loro via autonoma verso la trascendenza. Se Gaudì si mantenne nell’ambito ascetico e nella forma cattolica – lontano però dal mero cattolicesimo devozionale – praticando una sorta di personale via della mano destra caratterizzata dai frequenti digiuni, lo stretto regime vegetariano, l’orazione costante del Santo Rosario, l’astensione assoluta da qualsiasi attività sessuale, il disprezzo del denaro, la rinuncia a sé stesso e l’assorbimento completo nel proprio lavoro; Dalì invece praticò quella che in Oriente si definisce come la via della mano sinistra: la via dell’eccesso, della sperimentazione orgiastica e sfrenata di tutte le tentazioni, incluse le perversioni erotiche e le pulsioni nevrotiche distruttive. Oltre l’esibizionismo narcisistico, oltre la dilapidazione dionisiaca del proprio denaro e del proprio talento, Dalì – come un discepolo del Tantra – giunge fino alla perdita totale di sé stesso. Ne è un esempio concreto il suo superamento del disgusto, tipico della mistica selvaggia (presente in Santa Teresa di Lisieux come in Crowley): una volta, sotto gli occhi terrorizzati di una bambina, Dalì, senza scomporsi, lacera in due pezzi con un morso un pipistrello morto da due giorni e coperto di formiche. Nei suoi scritti e nelle sue conferenze, inoltre, si riferisce frequentemente a sé stesso in terza persona, come se in certi momenti il suo io non esistesse. Organizza, durante i festini nella sua villa, la regia di quelle che chiama “masse erotiche”, cioè colossali orge che contempla a prudenziale distanza, rinnovando a suo modo la celebrazione del cosiddetto “Calvario di Giuda” della praticante luciferiana di magia sessuale Maria de Nagloska. “L’unica differenza fra un pazzo ed io è che io non sono pazzo” – dice di sé. Anche la sua dedizione assoluta a Gala, l’amour fou della sua vita – pur attraverso le proprie nevrosi sessuali: la paura del contatto con le donne, il terrore per la penetrazione nelle sue relazioni sia etero che omosessuali, le sue tendenze voyeuristiche e feticistiche – riporta all’ “amore magico” delle confraternite ghibelline dei Fedeli d’Amore, ispiratogli dallo studio di Dante e del Rinascimento, contrappeso alla sua sessualità perversa e sadomasochista, conducendolo all’idealizzazione platonica della Donna dell’Anima. Nel suo Manifesto Mistico del 1952, ha visioni di angeli come protoni e neutroni e commenta San Giovanni della Croce, Santa Teresa d’Avila, gli ermetici rinascimentali e gli alchimisti giungendo ad una visione non lontana da certo new age contemporaneo. La sua escursione più decisa nel campo della magia è però l’elaborazione dei “Tarocchi di Dalì”, mazzo che molti hanno etichettato come negativo, strano o addirittura satanico: in esso la frivolezza, le perversioni sessuali, le superstizioni, il gusto per la stregoneria ed il satanismo giungono alla loro massima espressione. Il Tarocco nasce quasi per caso, quando nell’estate del 1966 il produttore della serie di James Bond, Harry Broccoli, propone a Dalì di disegnare delle carte che dovrebbero apparire nel film “Vivi e lascia morire” di ambientazione vudù. Il progetto non va a buon fine a causa della cifra astronomica richiesta dal pittore ma quando ormai buona parte dei bozzetti sono già elaborati. Con l’aiuto di un grafico e di uno stampatore, il mazzo viene realizzato per venire commercializzato indipendentemente dal film. Ad aiutare Dalì in questa insolita impresa non è però l’esperta cartomante Gala, ma una neofita, modella prediletta del pittore in quegli anni e unica altra donna da lui amata oltre a Gala (e, come Gala, bellezza dal fascino androgino e ambiguo), un personaggio assai celebre tuttora: Amanda Lear. Dalì conosce per caso Amanda nel 1965 a Londra, nell’entourage dei Rolling Stones. L’incontro avviene al tavolo di un ristorante di lusso, lui è seduto su una specie di trono, indossando una tunica bianca, i capelli lunghi ornati di fiori di gelsomino e circondato dalla sua corte di bei giovani e fanciulle. “Lei ha un bel teschio” dice il pittore alla futura modella “uno scheletro di buona qualità è la cosa più importante: è ciò che resta dopo la morte”. Poi le chiede se è lesbica: “Tutte le donne sono lesbiche e tutti gli uomini pederasti: sicuramente anche il suo amico, come tutti gli inglesi autentici”. L’amico di Amanda è Brian Jones, il chitarrista dei Rolling Stones. In quegli anni Dalì intratteneva rapporti amichevoli con i nuovi artisti d’avanguardia, per esempio con Andy Warhol, di cui condivideva le preferenze sessuali. C’erano continui scambi fra la Factory nuovayorkese di Warhol, il mondo del rock anglosassone e la corte mediterranea di Dalì: si faceva ampio uso di LSD, ma Dalì non approvava del tutto questa passione, il potere allucinogeno della sua immaginazione – diceva – era superiore a qualsiasi droga. Pochi giorni dopo aver conosciuto Amanda, Dalì cade in delirio di fronte al piede nudo della ragazza e le dichiara il suo folle amore: “Mi parve più una manifestazione di feticismo che un atto di amore” – commenterà Amanda. “Non sei né maschio, né femmina. Te l’ho detto, sei angelica. Un archetipo” aggiungerà il pittore estasiato. Da allora Amanda diverrà la favorita di Salvador e di Gala, condividendo tutte le loro escursioni nel campo del magico e dell’insolito. Insieme incontreranno Uri Geller, il paragnosta ebreo che piegava i cucchiaini: Uri descrisse perfettamente gli oggetti nella camera di Amanda senza esservi mai stato e toccando la cassetta di una sua nuova canzone appena composta fu in grado di fischiettarne la melodia predicendone il successo. Dalì ostentò scetticismo verso questi fenomeni ma commentò: “Terribile questo patatovski. I suoi occhi mi terrorizzano”. Amanda testimoniò anche forme di bassa superstizione da parte dei Dalì: la coppia aveva raccolto durante una delle prime passeggiate insieme lungo la spiaggia di Port Lligat, dei frammenti di assi di legno, resto di un naufragio, e le conservava portandosele dietro ovunque. “Non la abbandono mai, protegge da tutti i mali” – aveva detto Dalì ad Amanda porgendole un pezzo di legno marcio avvolto nella seta – “Tieni, bacialo”. Il pittore lo portò con sé per 50 anni, donandolo per ricordo ad Amanda in punto di morte, durante l’ultima visita di lei. Queste fisime superstiziose smentirebbero le conoscenze magiche approfondite della coppia, riducendo le loro pratiche a forme popolari e rozze di occultismo. Abbiamo però già visto quanto le contraddizioni fossero amate dal genio surrealista e, in fondo, come disse la pittrice argentina Leonor Fini alla sua grande amica e compagna di stregonerie Gala: “La superstizione è l’applicazione della magia alla vita quotidiana”. Il 23 gennaio 1989, alle 10.15 del mattino, nella Torre Galatea annessa al Teatro-Museo di Figueras, Dalì muore ponendo fine ad un lungo e doloroso crepuscolo. Dopo la scomparsa di Gala, qualche anno prima, è caduto in una forte depressione: non riesce a superare la paura della morte. Durante il suo periodo mistico si era persuaso che la scienza moderna sarebbe riuscita a farlo sopravvivere per mezzo dell’ibernazione o di altri artifici tecnici, si era rassicurato e tranquillizzato scacciando momentaneamente il fantasma della sua ossessione. Ormai vecchio e solo – circondato da rapaci mercanti d’arte che, approfittandosi dei suoi deliri, gli fanno apporre la sua firma su centinaia di falsi decuplicandone il valore – Avida Dollars è costretto ad assistere impotente ad una dissoluzione che il denaro non è in grado di arrestare. Le ultime foto testimoniano l’intensità agghiacciante del suo dramma: il genio, il mago, non riesce ad accettare l’idea della sua fine. Intanto, come per Faust, da qualche parte angeli e demoni si disputano la sua anima. |