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C'è un licantropo dentro di noi

di Armando Torno - 14/10/2011


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Robert Eisler (1882-1949) non è conosciuto in Italia. Nato in una famiglia ebraica di Vienna, studioso di storia delle religioni e di cosmologia antica, di misteri orfici e iconografia, frequentò Walter Benjamin e Gerschom Scholem. Deportato a Dachau e a Buchenwald, riuscì a riparare in Inghilterra dove continuò i suoi studi. Anche se per poco tempo.
Di lui esce la traduzione di un'opera sconvolgente, che vide la luce un anno prima della sua morte, nata dopo aver consultato una documentazione impressionante: Uomo lupo. Saggio sul sadismo, il masochismo e la licantropia (Medusa, pp. 320, 24). Un libro atipico, unico. Si presenta come una ricerca socio-antropologica sulla violenza e l'aggressività umane e costituisce la più inquietante esplorazione degli abissi dove si forma il comportamento, anzi la natura stessa del corpo della donna e dell'uomo. È un'odissea nella carne e nello spirito che evidenzia maschere, istinti inconfessabili, vizi, bisogni inspiegabili, supplizi. Eisler, studioso atipico dalla cultura vastissima, esamina i problemi partendo dai rituali espiatori del mondo antico per giungere ai fatti di cronaca nera.
Chi è l'uomo lupo? Oggi a questa domanda rispondiamo in diversi modi, a seconda della circostanza. Per alcuni è il serial killer. Per altri è il sadico, ovvero chi prova piacere nell'infliggere dolore fisico o umiliazioni psicologiche. Oppure è semplicemente il violento, magari tra le mura domestiche. Eisler suggerisce di intenderlo anche come il risultato della caduta della nostra specie, fenomeno che ha lasciato spazio ad azioni sempre meno controllate dalla ragione e dal timore religioso. Già, caduta: per avvicinarsi al suo significato è sufficiente leggere la Genesi, il primo libro della Bibbia, ma anche numerosi altri miti delle origini. Non si tratta, a detta di Eisler, di peccato o trasgressione, ma di un'autentica mutazione genetica. Del resto, quando si parla di pelo, di dentatura, di usanze o anche semplicemente di abiti o dello stesso corpo, forse si sta indagando sulla fine di uno stato di innocenza e sulla constatazione di una condotta predatoria. E ancora oggi, nonostante solidarietà e bene siano lodati da tutti, non mancano i cosiddetti orchi né i cannibali.
Entrare negli archetipi della predazione o del sado-masochismo, lasciandosi alle spalle il paradiso terrestre, significa cercare quel «lupo» che abita nei nostri desideri profondi e del quale abbiamo idee vaghe. Eisler, che è introdotto in questa prima edizione italiana della sua opera dai saggi di Martino Doni ed Enrico Giannetto, dedicati a «l'animale e l'archetipo» e all'«origine della violenza nel carnivorismo», intende individuare la causa preistorica «di ogni crimine». Un aiuto glielo fornisce la teoria junghiana delle idee archetipe. Quelle stesse che sopravvivono «negli strati ancestrali subconsci della mente e che si rivelano in tutto il mondo nelle leggende, nei miti e nei riti dell'uomo storico, nonché nei sogni effimeri e nelle illusioni durature dell'umanità contemporanea». Si scopre tra l'altro che la «caduta» con il suo strascico di violenze è forse l'autentica storia di cui siamo stati protagonisti.
L'analisi di Eisler è disincantata. Non crede che l'uomo sia naturalmente buono e che la società lo abbia corrotto, ma ricorda che il partner sadico non si eccita se non unendo la crudeltà (dal latino cruor, sangue: altro non è, appunto, che «passione per il sangue») all'amore, ovvero mescolando violenza al «desiderio di fare bene». E qui occorrerebbe soffermarsi sulle chiose di Tommaso d'Aquino riprese da Aristotele, ma il saggio ci porta più in là ed esamina chi — per esempio la confraternita marocchina dell'Isawiyya — attraverso un rito è spinto a fare a pezzi con i morsi il corpo di animali vivi. La pratica si ricollega alle orge greche delle menadi, «donne furiose» vestite di pelli di lince o leopardo o volpe, che in una tragedia perduta di Eschilo divoravano la carne cruda di cerbiatti, capretti, agnelli e altri esseri viventi dopo averla ridotta a brani. D'altra parte, Eisler fa notare che era usanza «smembrare» il capro espiatorio nell'antico rituale ebraico il Giorno dell'Espiazione. Accadeva anche nel culto di Bacco. In tal caso «l'orgia spaventosa» era legata al rito della vendemmia e alla libagione del vino novello.
Pagine densissime, piene di rimandi, di concatenazioni. E sulla licantropia? Noi chiamiamo in tal modo la patologia mentale che costringe chi ne soffre a voler assomigliare a un lupo nell'aspetto ma soprattutto si adegua alla fiera nel comportamento. Gli stadi più gravi di tale malattia inducono coloro che ne sono colpiti a cibarsi di carne cruda, anche umana, e di sangue. Eisler ne studia la genesi, notando che la medicina antica confuse questo indizio di psicosi con la rabbia canina; quindi analizza le leggende germaniche, tocca il problema dei vampiri, esamina il medioevo cinese e giapponese, torna in Plutarco per comprendere la caccia notturna con torce, verghe e lance delle «furiose» devote al dio tragico Zagreus.
Eisler chiude la sua ricerca ricordando che se non ci fu una caduta, allora non potrà esserci nemmeno una redenzione. Ma per giungere ad essa e alla pace, l'uomo dovrà gettare la sua maschera di lupo, domare la bestia archetipa che è in lui. Insomma, ripristinare l'innocenza un giorno perduta.