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Il racconto dei beni comuni

di Piero Bevilacqua - 18/10/2011


                                            
Forse è utile ricordare che è stato Jean-Francois Lyotard, filosofo francese, a fare del
termine narrazione un lemma del vocabolario politico dei nostri anni, quello, per
intenderci, che Nichi Vendola ha reso popolare nella sua originale prosa politica. Nel
suo La condizione postmoderna (1979) Lyotard decretava la fine delle grandi
narrazioni “metafisiche” che avevano sin lì influenzato gli uomini e le donne
dell'Occidente. L'illuminismo, l'idealismo, il marxismo, queste grandi e totalizzanti
interpretazioni del mondo apparivano ormai esaurite, di fronte ai processi di
disincanto che attraversano le psicologie collettive, al pluralismo culturale che si
diffonde tra gli individui, al processo di atomizzazione della società. Per la verità, io
credo che la condizione definita postmoderna da Lyotard non fosse e non sia che il
dispiegamento pieno dei caratteri fondativi della modernità. Quelli, per intenderci,
intravisti con sovrana capacità anticipatrice da alcune grandi menti, come quella di
Marx, di Nietzsche o di Weber. Chi non ricorda il famoso passo del Manifesto «Tutti
gli antichi e arrugginiti rapporti della vita con tutto il loro seguito di opinioni e
credenze ricevute e venerate per tradizione si dissolvono, e i nuovi rapporti che
subentrano passano fra le anticaglie (...) Tutto ciò che aveva carattere stabile (...) si
svapora, tutto ciò che era sacro viene profanato e gli uomini si trovano a dover
considerare le loro condizioni di esistenza con occhi liberi da ogni illusione». Non
parlano, queste parole, della nostra condizione? E Nietzsche nella Gaia Scienza aveva
quasi urlato: «anche gli dei si decompongono. Dio è morto!» Quand'egli osservava « il
deserto che avanza>> , anticipava quel dilagare del nichilismo che il processo storico
avrebbe trasformato nella stoffa del nostro quotidiano. E L'Entzauberung il
“disincanto” del mondo, intravisto da Weber, aveva bisogno di almeno un secolo per
diventare un fenomeno di massa. La “società liquida” che Bauman oggi ci rappresenta
non è che la modernità pienamente realizzata.
Quel che tuttavia stupisce e di cui importa qui parlare è il fiorire, malgrado tutto, di
continue nuove narrazioni che si fanno strada, come farfalle dalla crisalide del bruco,
dalla consunzione delle precedenti “immagini del mondo”. Tutta l'età contemporanea
ne è teatro. La più grande vittima delle trasformazioni capitalistiche, ma anche degli
orrori perpetrati dalle classi dirigenti europee, è stata l'idea di progresso, forse il più
lungo racconto dell'età contemporanea: la grande fede di una umanità in marcia verso
i lidi dell'emancipazione universale. Nel 1937, dopo i massacri della prima guerra
mondiale e quando le ombre del nazifascismo si allungavano sull' Europa, lo storico
olandese Johan Huizinga poteva irridere quella tarda eredità dell'illuminismo,
degradandola quasi a credenza superstiziosa, al «concetto puramente geometrico del
procedere innanzi». E dopo è seguito l'Olocausto e la carneficina della seconda guerra
mondiale, che hanno seppellito, sembrava definitivamente, ogni possibile narrazione
trionfante per l'avvenire. E invece non è stato così. Nella seconda metà del novecento
è fiorita una nuova storia, la grande narrazione dello sviluppo, in cui siamo in parte
tutt'ora immersi. La crescita economica continua e la distribuzione della ricchezza a un numero crescente di cittadini ha reincarnato, in forme nuove e per alcuni decenni,
la vecchia epica del progresso ottocentesco. Il movimento operaio e i partiti di sinistra
hanno incarnato perfettamente questo nuovo immaginario, non meno di altre
formazioni e gruppi moderati. Ricordate Togliatti : «veniamo da lontano e andiamo
lontano»? Segno, probabilmente, di una predisposizione irrinunciabile degli uomini
alla speranza, alla proiezione della propria condizione presente in un futuro sempre
perfettibile, al bisogno, comunque, di sentirsi dentro una storia dotata di senso. E' su
questa predisposizione fondativa che la politica moderna ha giocato le sue carte, tanto
in chiave conservatrice che progressista o rivoluzionaria. Occorrebbe chiedersi:non è
costantemente all'opera nel fondo della politica, prima e dopo Machiavelli, un'ars
retorica, un'arte della persuasione che si modella secondo narrazioni? Non risponde la
politica anche a questo irrinunciabile bisogno dell'umano immaginario?
Negli ultimi 30 anni anche le èlites della borghesia hanno sentito il bisogno, per dare
corpo a una controffensiva capitalistica su larga scala, della narrazione neoliberista.
Un romanzo di reincarnazione del progresso al cui centro si ergeva la libertà degli
individui, l'eliminazione delle burocrazie, il premio al merito, il libero mercato come
supremo ed equo regolatore delle relazioni sociali. Questa aura leggenda ha avuto una
gigantesca capacità di fascinazione, al punto da riuscire a parassitizzare anche i vecchi
partiti della sinistra. Il termine è preso a prestito dall'entomologia. Alcuni insetti
inoculano le proprie uova nel corpo di altri insetti, così che le larve nasciture possano
nutrirsi con il corpo dell'ospitante. Le idee di liberalizzazione, privatizzazione,
competizione, flessibilità si sono nutrite con il corpo ospitante dei vecchi partiti di
sinistra, che ne sono usciti spolpati. Ma proprio oggi, guardando alle parole, si può
scorgere nitidamente la fine dell'ultimo grande racconto del capitalismo
contemporaneo. Che cosa sanno prometterci oggi gli apologeti dello sviluppo ?
Privatizzazioni, liberalizzazioni, detassazioni, ecc. Ma quale futuro della nostra
condizione possiamo intravedere dietro queste promesse? Quale pubblica felicità?
Dopo trentanni di di propaganda alla libertà degli individui il fantastico risultato è che
le prossime generazioni vivranno peggio delle precedenti, i figli peggio dei padri. Per
la prima volta nella storia contemporanea dell'Occidente in un racconto politico manca
il lieto fine. Mentre le parole sono sempre le stesse, da trent'anni. E nel grande mare
del libero mercato, dove tutto diviene rapidamente obsoleto, queste consunte parole
sono ormai diventate rifiuti, come le merci del consumismo quotidiano.
I beni comuni, è ormai divenuto chiaro, posseggono una straordinaria potenzialità di
narrazione. Essi raccontano una storia secolare. L'avanzare dei modi di produzione
capitalistici e il progressivo appropriarsi da parte dei privati delle terre, dei boschi,
delle acque che prima appartenevano alle comunità. Tutta l'età contemporanea è una
storia sempre più accelerata di predazioni private. Possediamo dunque un fondo
storico di rivendicazioni di straordinaria potenza. Ma ci sono beni comuni, dipendenti
dal vecchio welfare, che si possono rimettere al centro della narrazione, perché
mutilati e messi in forse dalle aggressioni degli ultimi anni. Il sistema medico
nazionale in Gran Bretagna, poi esteso ad altri paesi europei, ha reso possibile la
difesa universalistica del bene comune della salute: un bene, quest'ultimo, la cui difesa
consente di contrastare e battere gli interessi privati in ambiti amplissimi della vita
sociale, dalla produzione di energia atomica allo smog cittadino. Allo stesso modo
possono essere rivendicati con nuovo vigore il bene comune della conoscenza, della formazione pubblica garantita a tutti, un diritto nell'età dello sviluppo che ora si
presenta in nuove forme. Ma al di la di ogni elencazione, e mettendo da parte
questioni di definizione teorica, quel che vorrei sottolineare è che il concetto di bene
comune possiede una fertilità di scoperta e applicazione assolutamente senza
confronti. E' sufficiente pensarci un po' e subito si scopre che bene comune è l'etere,
privatizzato da tante potenze economiche, l'aria che respiriamo, gli spazi urbani della
nostra mobilità quotidiana, la bellezza del paesaggio, il tempo di vita. In realtà, la
rivendicazione dei beni comuni è in gran parte l'espressione di un bisogno soggettivo
degli individui di riscoprire il tessuto sociale connettivo che li può strappare
all'isolamento e all'atomizzazione senza coartare la loro libertà. E' il racconto politico
che tende a proteggere gli individui dall'angoscia della modernità, proiettandoli in una
storia ricca di senso e in grado di illuminare criticamente i disagi del presente.
Raccorda interessi e bisogni multiformi e fornisce a essi una prospettiva conseguibile
con la partecipazione, quella prospettiva che negli ultimi decenni è scomparsa dai cieli
delle masse popolari e di tutti noi. Infine, non va dimenticato, tale racconto confligge
apertamente con la contraddizione fondativa del capitalismo: la produzione sociale di
un immenso flusso di ricchezza entro i vincoli stretti dell' appropriazione privata. E
oggi, dentro tale contraddizione, non si trovano soltanto delimitati stock di beni e
risorse, ma la Terra intera, la casa comune degli uomini, messa in pericolo dal
saccheggio privato di forze che minacciano l'universalità dei viventi. E allora si
comprende quale elevato grado di consenso tra tutte le classi sociali, culture e
religioni, lungo tutte le geografie del pianeta, quale slancio e progettualità può fornire
a tutte le nuove generazioni il racconto dei beni comuni.