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Amazon è un pericolo per l’editoria digitale?

di Simone Bedetti - 21/10/2011

Fonte: area51publishing.com


Approfitto dell’articolo apparso oggi sul Corriere della Sera  sull’acquisizione da parte di Amazon del pacchetto di graphic novel DC Comics per il tablet Kindle Fire  per alcune riflessioni sul ruolo economico dell’editore digitale 

Quest’ultima mossa conferma la strategia di Jeff Bezos sul tablet e rispecchia coerentemente la natura di Amazon. Essa nasce prima di tutto come aggregatore di contenuti, al contrario di Apple che nasce come produttore di hardware e software. Amazon-Apple sono stati, a distanza e in modo silenzioso, i protagonisti dell’evoluzione del mercato digitale: Amazon per prima ha creato quell’ambiente integrato per la distribuzione e la vendita di contenuti da cui Apple ha attinto per la creazione di iTunes. Apple ha poi messo il turbo con la stagione dell’integrazione hardware-software-piattaforma di distribuzione iniziata da iPod-iTunes e ancora in corso, da cui Amazon ha attinto per l’evoluzione del mercato del libro digitale con Kindle (Kindle e iPhone escono lo stesso anno, il 2007, e Kindle ne replica la magica formula del tre: device+linguaggio nativo+piattaforma leader nella distribuzione dei contenuti).

Questo confronto a distanza sta convergendo conflittualmente su un punto strategico: i contenuti.

Kindle non può in alcun modo competere con la potenza dell’innovazione tecnologica degli iPad e iPhone di Apple (iOs 5, la summa della integrazione hardware-software iniziata con Mac Os X, è l’ultima vera rivoluzione). Può però competere rafforzando il proprio motore economico, l’immensa offerta di contenuti, di cui nel digitale già detiene la fetta di mercato più ampia.

Altra mossa significativa: l’apertura di iBooks Store in 32 paesi, inclusa l’Italia, praticamente lo stesso giorno della presentazione di Kindle Fire. 

Non voglio usare il termine “guerra”, userò un termine darwiniano: questa lotta per la sopravvivenza e la supremazia del più forte chi danneggia sempre e comunque? Risposta: l’editore, e in particolare l’editore indipendente.

Esempio proprio l’apertura di iBooks Store: Area51 Publishing, la nostra casa editrice,  distribuisce i propri ebook da oltre un anno su iBooks Store Usa: non abbiamo ricevuto alcun tipo di preavviso o comunicazione (mentre all’apertura dello store già proliferavano i banner dei grandi editori italiani – sia detto senza polemica né vittimismo, esclusivamente come una fotografia della situazione).

Doppio scacco: all’improvvisa comparsa di iBooks Store è corrisposta l’improvvisa scomparsa dalla home page di iTunes della sezione audiolibri (Area51 Publishing è anche editore di audiolibri) che con le classifiche e le segnalazioni dei “Nuovi e degni di nota” garantiva un minimo di visibilità a tutti gli editori di un settore che già cresce con la stessa rapidità della deriva dei continenti, per finire nascosta nel menu a tendina come sottocategoria di “Libri”. Chi detiene il monopolio della distribuzione del canale audiolibri su iTunes? Audible. E chi ha acquisito dal 2008 Audible? Amazon.

Questa è la realtà.

Per rispondere alla domanda del titolo bisogna allora avere ben chiari i tre soggetti che detengono il reale dominio dell’economia digitale (ed editoriale): produttori di hardware, fornitori di connettività, aggregatori. Per tutti e tre questi soggetti il motore della propria forza economica sono sempre stati (dalla musica e i film “pirata” ai blog, dai social network agli ebook e alle app) i contenuti. Ma all’ultimo posto della filiera si collocano proprio i produttori di contenuti (e li voglio accomunare per sottolineare la metamorfosi economica: in quest’ottica non c’è differenza tra blogger, autori ed editori). I quali sono gli unici che considerano i contenuti, e non la massa di contenuti, come valore economico

La catena logica è la seguente: più i contenuti diventano centrali per le strategie economiche del mercato digitale, più l’editore, per il quale i contenuti sono ancora il motore delle sue visioni e delle sue strategie economiche, viene penalizzato, a beneficio invece dei tre soggetti dominanti, per i quali i contenuti hanno valore economico unicamente come massa di contenuti.

Uno dei principali testi di riferimento dell’economia digitale, La coda lunga di Chris Anderson, prefigurava in ultima riga proprio questo scenario, con un capolavoro di equilibrismo lessicale: “Ai blogger e ai piccoli e medi editori la coda lunga non promette ricchezza. Se quello che fate ha un valore, la coda lunga vi promette più attenzione, reputazione e lettori. Ma sta a voi convertire quella valuta non monetaria in denaro sonante, e i modi per riuscirci sono tanti quante le persone che vogliono provarci”.

La coda lunga si basa sui contenuti, la ricchezza economica generata è data dai contenuti, i contenuti li creano i produttori di contenuti, ma la coda lunga non promette ricchezza a chi produce ciò che produce la ricchezza!

L’editore digitale si trova stretto in una formidabile morsa: per crescere ha bisogno dell’ambiente digitale creato dai tre soggetti economici dominanti, ma non può crescere proprio a causa delle strategie economiche in atto dei tre soggetti dominanti.

Allora Amazon è un pericolo per l’editoria digitale? 

Sì e No.

Sì per la sua chiara tendenza al monopolio, evidenziata dai fatti: dalla sua politica feudale nella distribuzione di royalty agli editori (siamo ben al di sotto della mezzadria – e la concorrenza di Apple ha forzato e per certi aspetti solo apparentemente modificato le cose, ma è un discorso che andrebbe per le lunghe) alla sua darwinistica inclinazione a porsi in diretta concorrenza – in chiaro conflitto d’interessi – con gli editori. La tendenza al monopolio e a sfruttare in maniera spietata e antieconomica (poiché l’economia è crescita e la crescita è possibile solo se tutti crescono) la propria posizione dominante m

i pare la caratteristica più deteriore di Amazon.

No perché l’affermazione di un marchio leader, la potenza dell’integrazione device-piattaforma di distribuzione e il conseguente stimolo alla concorrenza favorisce la crescita del mercato dell’editoria digitale, il nostro ambiente.

Che l’editore sia stato scalzato dal predominio nella filiera dell’economia editoriale è la realtà con cui tutti gli editori (tutti, piccoli e grandi) devono confrontarsi. Consapevole di questo, e delle nostre forze, sono stato e continuo a essere un sostenitore della cosiddetta intermediazione. Ma questo paradosso che distrugge lavoro, impedisce la crescita di chi crea la ricchezza e favorisce pesantemente i monopoli deve finire. Se i contenuti sono l’elemento strategico dell’economia editoriale digitale, chi produce contenuti deve beneficiarne in maniera congrua.

Non è vittimismo, al contrario, è uno stimolo a noi editori a non dare per scontato questo stato di cose ma a lottare (questa volta lamarkianamente, privilegiando la collaborazione alla competizione – poiché è questo a mio parere il vero nodo cruciale dell’evoluzione economica digitale) per crescere in questo ambiente e continuare a creare, come già stiamo facendo, ricchezza.

Dobbiamo far sentire la nostra voce con proposte concrete affinché chi produce la vera ricchezza dell’economia digitale partecipi in maniera più equa, riconosciuta e regolata alla distribuzione della ricchezza dell’economia digitale. Solo così potremo crescere e continuare a creare contenuti, cultura e soprattutto lavoro.

Simone Bedetti