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La leggenda del noce di Benevento, tipico riflesso del sincretismo religioso

di Francesco Lamendola - 24/10/2011



Una religione, un sistema di valori, un modo di sentire e di pensare non scompaiono in fretta, da un giorno all’altro: si tratta di una verità intuitiva, ampiamente comprovata e documentata da almeno due secoli di studi antropologici; e di cui pure, tuttavia, si tende a dimenticarsi, forse anche per quella forma di pigrizia intellettuale che vorrebbe costantemente semplificare ogni cosa, etichettare epoche e società, classificare insomma la storia secondo le nostre esigenze psicologiche.
Basti dire che ancora ragioniamo in termini di secoli, come se dire «il 1600», o «il 1700», oppure  «il 1800», avesse, per lo storico, un significato intrinseco e non fosse, invece, soltanto e unicamente un fatto di comodità didattica; come se le vicende storiche rispettassero, nella loro logica interna, la nostra scansione del tempo in anni e in multipli di anni: decenni, secoli e millenni; come se tutto ciò esistesse realmente e non fosse pura astrazione.
Così, si suole dire, ad esempio: «il medioevo cristiano»: come se tutto il medioevo fosse stato sempre e solo cristiano; come se ben mille anni di storia dell’Europa ammettessero una tale semplificazione, una tale schematizzazione, una tale forzatura; come se i primi secoli del medioevo non avessero conservate profonde tracce del paganesimo antico e come se i suoi ultimi secoli non presentassero già tracce di una mentalità post-cristiana.
Tutti sappiamo, più o meno, che “paganesimo” deriva da “pagus”, perché è stato nelle campagne e nei villaggi che esso è sopravvissuto più a lungo, tanto che, per i cristiani, “pagano” doveva essere, evidentemente, sinonimo di “campagnolo”; però esitiamo a trarne tutte le debite conseguenze sul piano della storia delle idee e dei costumi: ad esempio, esitiamo a vedere il probabile nesso che lega il paganesimo alla stregoneria popolare, tipico fenomeno campagnolo, con tanto di “sabba” celebrati nelle radure in mezzo ai boschi, e con la cultura erboristica degli stregoni e delle streghe, altra manifestazione di tipo prettamente rurale.
In altre parole, dovremmo sforzarci di mettere meglio a fuoco il binomio città-campagna nei secoli che videro il trapasso dall’una all’altra religione, dall’una all’altra cultura; cioè, a seconda delle varie regioni d’Europa, fra il secondo e il quattordicesimo secolo della nostra era: tale è l’arco di tempo entro il quale si compì la conversione effettiva delle popolazioni al cristianesimo, anche nelle ultime zone pagane del continente, come la Polonia e la Lituania.
Abbiamo detto “la conversione effettiva”: non bastava, infatti, che un sovrano si convertisse, perché l’intera popolazione lo seguisse automaticamente; pensare il contrario sarebbe come immaginare che tutte le popolazioni dell’Impero Romano si siano convertite al tempo dell’editto di Costantino e Licinio, nel 312, o, al massimo, al tempo dell’editto di Tessalonica da parte di Teodosio, nel 380; mentre sappiamo con certezza che sacche di paganesimo sopravvissero ancora per secoli e secoli, appunto nelle regioni rurali e nei distretti montani più remoti e isolati.
Il cristianesimo, allorché si diffuse nell’Impero Romano, fu prevalentemente un fenomeno urbano; mentre il paganesimo, dopo la sua sconfitta politica, da Costantino in poi, fu sempre più un fenomeno rurale; ma il crollo dell’Impero Romano vide anche il crollo dell’urbanesimo e della civiltà urbana: dunque, bisogna rivedere l’immagine di un medioevo monoliticamente cristiano e ammettere, invece, che per almeno sei o sette secoli anche le regioni d’Europa che avevano fatto parte della compagine statale romana, e dunque le più cristianizzate, furono caratterizzate da una conflittuale compresenza di cristianesimo e paganesimo, il primo arroccato nelle città, il secondo radicato nelle campagne.
Naturalmente non si trattava di due religioni di pari livello strutturale: il cristianesimo era la religione vittoriosa, quella abbracciata dalle autorità statali, non solo la romana, ma anche quelle romano-barbariche (e sia pure, in questo secondo caso, nella versione ariana, eccezion fatta per il Regno dei Franchi); mentre il paganesimo era la religione sconfitta.
Di conseguenza, mentre il cristianesimo possedeva un clero bene organizzato e poteva celebrare i suoi riti alla luce del sole, diffondere la sua cultura, impartire la sua educazione, mettere in circolazione la sua letteratura e trovare il pronto appoggio della legge e delle forze di polizia, il paganesimo era costretto a condurre una esistenza semi-clandestina, non possedeva più luoghi di culto riconosciuti dalla legge, né un clero che tramandasse la teologia e la liturgia e nemmeno una letteratura che mantenesse viva la fiammella della tradizione.
Inoltre il paganesimo, mano a mano che si ritirava nelle campagne, si popolarizzava sempre più, vale a dire che veniva progressivamente abbandonato dalle classi dirigenti e praticato solo dalle persone di umile condizione; per cui si imbastardiva, si confondeva, si mescolava a mille usi e credenze superstiziose. Non era più una religione organizzata, ma una serie disordinata e discontinua di pratiche, di leggende, di tradizioni, tramandate solo a livello orale e perciò sempre più approssimative, sempre meno fedeli all’originale.
Si aggiungano altri due fattori importanti di dispersione e di degradazione: primo, che il paganesimo non era mai stato una religione, ma un insieme di religioni diversissime l’una dall’altra, con l’unico denominatore comune della tolleranza da parte delle autorità romane; secondo, che il cristianesimo, non appena ebbe riportato la decisiva vittoria politica sotto l’imperatore Costantino, si affrettò a demonizzare il paganesimo sconfitto, retrocedendo gli dei spodestati al rango di demoni, e i loro sacerdoti a infernali stregoni: processo che il paganesimo stesso, nella sua fase più tarda, paradossalmente aveva favorito, sprofondandosi da se stesso in una Babele di culti, di pratiche e di credenze teurgiche, magiche e perfino negromantiche.
Tutto questo fece sì che l’antica religione, o meglio le antiche religioni, che non erano più quelle del pantheon greco-romano, ma essenzialmente quelle dei culti di salvezza orientali - Iside e il Sole Invitto, Cibele e Mithra, Mani e Zoroastro -, col passare dei secoli scomparvero dalla coscienza dei loro seguaci e ciò che rimase fu, al loro posto, un guazzabuglio di riti magici e superstiziosi di origine agricola e pastorale, tenuti insieme, in qualche modo, da una diffusa sensibilità animista, che identificava nella vegetazione, nelle piante, ma anche nelle fonti, negli astri e in svariati elementi della natura, la sorgente di poteri arcani, vagamente collegati con la sfera del divino.
Che poi, sotto la pressione delle autorità ecclesiastiche cristiane e delle stesse autorità civili, queste presenze misteriose nel mondo della natura finissero per venire identificate dai cristiani, e per essere identificate dai loro stessi seguaci, come entità diaboliche, questa è cosa che si verificò gradualmente, mano a mano che le città apparivano sempre più come delle cittadelle cristiane assediate in una vasta campagna ancora legata alle tradizioni pagane.
D’altra parte, poiché l’urbanesimo conobbe una contrazione per tutti i secoli dell’alto medioevo, anche la spinta propulsiva del cristianesimo si arrestò poco oltre il perimetro delle mura cittadine; e solo quando si verificò la ripresa urbana, dopo l’anno Mille, in conseguenza della rivoluzione agricola e dell’incremento demografico, il paganesimo, o ciò che di esso rimaneva, subì l’assalto decisivo e venne definitivamente sbaragliato nelle sue ultime roccaforti, vale a dire nei distretti rurali più “profondi” e isolati.
Il legame fra vegetazione, culti pagani degradati a credenze stregonesche e stasi nella diffusione del cristianesimo, causata a sua volta dalla stasi dell’urbanesimo, è bene illustrato da numerose tradizioni e leggende altomedievali, tra le quali abbiamo scelto, per meglio esemplificare il nostro discorso, quella del noce di Benevento.
Scrivono Eva Cantarella e Giulio Guidorizzi nel testo «Le tracce della storia» (Torino, Einaudi, 2001, vol. II, p. 103):

«La leggenda del noce di Benevento, il cui nucleo risale all’epoca longobarda, permette di gettare luce su un fenomeno di grande importanza nella storia della società medievale: la permanenza di antichi culti pagani nella mentalità popolare. Si tratta di un esempio significativo di come le leggende e i culti folclorici possano offrire anche materiale utile per ricostruire la storia della società. Racconta dunque la leggenda che durante la dominazione longobarda in Italia, nel 667m, il duca Romualdo di Benevento venne attaccato dall’esercito bizantino dell’imperatore Costante in persona. L’esercito bizantino ormai si avviava alla città e nulla più sembrava poterlo arrestare. In quella situazione disperata, ammonito da sogni e visioni, il duca Romualdo fece voto di sradicare un albero di noce che sorgeva nei pressi della città, un albero considerato miracoloso, che fioriva senza interruzione in ogni stagione e sui cui rami stava appesa la statua di un serpente di bronzo, che molti abitanti della zona, e anche il duca stesso, veneravano. In effetti i bizantini vennero sconfitti grazie all’intervento del re Grimoaldo che nel momento decisivo arrivò in soccorso dal nord. Il duca Romualdo mantenne la parola: accompagnato da una gran processione di guerrieri e di sacerdoti, guidati dal vescovo barbato, arrivò sino al luogo in cui sorgeva l’albero e lo fece abbattere. Nelle sue radici (racconta la leggenda) fu trovato un demonio orribile in forma di serpente, che il santo vescovo uccise aspergendolo di acqua benedetta. Ma l’abbattimento del noce, a quanto pare, non interruppe le pratiche che si compivano in quel luogo: si raccontava che nello spazio in cui sorgeva il noce, anche molto tempo dopo, si radunavano in segreto streghe e stregoni a compiere i loro efferati riti notturni, e si favoleggiava che alla loro festa (o “sabba”) presenziasse il demonio in persona. Il noce di Benevento con le sue streghe divenne un luogo favoloso di cui si parlava in tutta Italia.
Che informazioni possiamo ricavare da questa leggenda, che si trasmise oralmente durante molti secoli (la prima registrazione scritta risale al 1640 e si deve a un medico di Benevento, Pietro Piperno)? Una spiegazione è suggerita da alcuni scavi archeologici che nel 1903 a Benevento miserino luce la presenza di un tempio della dea Iside, che sorgeva probabilmente nel luogo in cui poi fu costruita una cattedrale. Il tempio fu distrutto alla fine dell’epoca antica, e sopra di esso venne costruita la chiesa: era un uso normale, nell’epoca tardo antica, in cui gli edifici pagani venivano convertiti in chiese oppure esorcizzati facendovi sorgere sopra un luogo sacro. Ecco quindi le lontane radici di questa legenda: a Benevento sorgeva un importante tempio di Iside, che ci è peraltro noto anche da molte iscrizioni votive trovate nella zona; Benevento infatti nella tarda antichità era uno dei centri più importanti del culto di Iside in Italia e certamente molti dovevano essere i fedeli di questa dea. Il cristianesimo vittorioso abbatté il tempio e disperse i seguaci, ma attraverso il tempo, e sino almeno al’epoca longobarda, i rituali di questa divinità e altri culti pagani vennero confusamente praticati da persone che si riunivano in segreto: e infatti, il serpente di bronzo appeso ai rami del noce altro non è che un simbolo religioso tipico del culto di Iside. La leggenda dunque, nel suo modo fantasioso, è una testimonianza di come a livello popolare i culti pagani non fossero ancora estinti ma proseguissero in modo oscuro e degradato, identificandosi con quei rituali stregoneschi che erano, e furono sempre, praticati in luoghi isolati, non solo come espressione di religiosità popolare, ma anche come forma di opposizione al potere, sia politico che religioso. La storia delle streghe che di notte si riuniscono attorno al noce di Benevento a ballare assieme al diavolo e a compiere riti oscuri attorno a un albero, in effetti, è uno dei prototipi di uno schema di credenze che genererà nei tempi non solo leggende, ma anche inquisizioni, processi e roghi di streghe.»

In questa leggenda, dunque, si vede bene come gli ultimi luoghi del culto pagano fossero legati alla vegetazione e, in particolare, agli alberi (riti di fecondità); come la rete del potere episcopale vedesse in quei luoghi una presenza diabolica che andava sradicata una volta per tutte, per il bene comune; e come le autorità civili, in questo caso rappresentate dal duca longobardo Romualdo, dopo aver tollerato per secoli e perfino praticato in segreto il paganesimo, finissero per fare una scelta irreversibile in favore del cristianesimo, ciò che segnò la fine per le ultime forme di culto pagano organizzato.
A quel punto, le vecchie credenze non potevano sopravvivere che in maniera totalmente illegale, e dunque totalmente eversiva: la grande stagione della stregoneria era ormai alle porte e, con essa, la durissima repressione da parte della autorità civili ed ecclesiastiche.
Lasciamo qui impregiudicata, per ora, l’annosa e controversa questione se la stregoneria del XVI e XVII secolo fosse quel che restava di una antica religione proscritta, magari (specie nel Nord Europa) non solo pre-cristiana, ma anche pre-romana, e dunque se possedesse una struttura universalistica, tale da formare un complesso organizzato e ramificato in ogni parte del continente; oppure se si trattasse piuttosto di gruppi e individui isolati, ciascuno dei quali agiva per conto proprio, in base alle suggestioni culturali più disparate, e che solo il fanatismo degli inquisitori aveva scambiato per un insieme organico e coerente.
È questione troppo complessa, per poterla sbrigare adesso in poche righe.
Una cosa, comunque, è certa: la stregoneria esistette realmente, anche se non è provato che fosse un sistema globale e organizzato di tipo para-religioso e anche se è evidente che gli inquisitori videro più streghe e stregoni in giro per l’Europa, di quanti ve ne fossero realmente.
Come è possibile affermare una cosa del genere, ben inteso a prescindere dal giudizio che si vuol dare della repressione, spesso isterica e sproporzionata, che si abbatté sulla stregoneria?
Per una semplice deduzione di natura quanto mai evidente: se essa esiste ancor oggi e se ancor oggi, non solo nei paesini e nelle campagne arretrate, ma anche nelle grandi città e fra le persone di cultura medio-alta; se ancor oggi si producono filtri, si recitano incantesimi, si praticano fatture e persino fatture di morte: come si può pensare che il fenomeno non esistesse anche quattro o cinque secoli fa e che le autorità civili e religiose se lo siano semplicemente inventato, per ignoranza o per trovare un capro espiatorio in tempi di pestilenze e di altre pubbliche calamità?