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James Hillman: un pensatore originale e solitario

di Luciana Sica - 28/10/2011

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Roberto Calasso è a Barcellona, in una libreria. Controlla la data del primo libro che ha pubblicato di James Hillman, Saggio su Pan, era il ´77. «Ma poi sono usciti i suoi due saggi fondamentali: Il mito dell´analisi nel ´79 e Revisione della psicologia nell´83...».Ma quando l´ha conosciuto?
«All´inizio degli anni Settanta, ad Ascona, durante i colloqui di Eranos. Lì c´era gente come Scholem, Corbin, Portmann, Eliade e ricordo come mi è apparso lui: l´unico americano e però perfettamente addentro a tutto il tessuto della cultura europea, era anche il più giovane, ma con una grande intensità e una grande autorità naturale».
Interloquiva con il fior fiore degli intellettuali...
«Ah sì, certamente. Non era affatto in soggezione».
Aveva tutta l´aria di un puer, qualcosa di fanciullesco...
«Fanciullesco forse è troppo dire... Ma sì, era un puer, con un suo slancio molto evidente, di energia e anche di giovinezza».
Il vostro rapporto ha avuto anche una natura affettiva?
«Fin dall´inizio è stato così, e ho seguito le varie fasi della sua vita. Èstato un rapporto molto buono, con le vicissitudini editoriali che si possono immaginare: un libro che ritarda o che si deve rifare, ma è andato sempre tutto bene. L´ultima volta l´ho visto un paio di anni fa, a Milano - veniva spesso in Italia, dov´era più conosciuto che nel suo Paese».
È stato uno psicoanalista o piuttosto un grande umanista?
«È stato il primo e forse l´ultimo di quelli che sono partiti da Jung facendo poi un percorso unico, originale, mentre gli altri sono rimasti più o meno prigionieri di quella che era la loro origine».
Allievo diretto di Jung, Hillman muore esattamente cinquant´anni dopo il maestro zurighese. Che ha "tradito", o no?
«Beh, è una storia complicata. Perché Hillman ha anche diretto l´Istituto Jung fino a quando non l´hanno cacciato via... ».
Ma è stato lui stesso a dire di aver avuto "una crisi di fede", inventando poi la "psicologia archetipica", ribattezzata a dispetto del ridicolo "una terapia degli dei". Lei come la vede?
«Io vedo lui molto solitario, sia in America che in Europa, non un uomo da scuole... La cosa importante è stata il suo modo di rovesciare il rapporto con il mito in genere: non pretendere da psicoanalista di spiegare il mito, che sarebbe stata un´operazione ingenua. E´ il mito che spiega noi, e Hillman ha seguito questa idea con la stessa analisi, dove ad agire - lui dice - è il mito apollineo...».
Contro la parola, il Logos, il cuore della psicoanalisi e della cultura occidentale... Ma non era un po´ troppo quando voleva "stendere l´anima del mondo sul lettino e rimanere in ascolto delle sue sofferenze"?
«"Anima" è la parola chiave per capire Hillman, un´anima che insieme è interna ed esterna, appartiene anche al mondo proprio della natura, non della società e neppure del collettivo».
Qualcuno l´ha liquidato come "un brillante bricoleur".
«Lévi-Strauss diceva che i miti stessi sono un´operazione di bricolage, ma poi ha passato l´intera vita a tentare di capire com´era fatto quel bricolage... Mi spiace non fargli omaggio del libro per gli amici che facciamo a fine anno, una specie di bibliografia ragionata di opere neoplatoniche a partire dal Quattrocento fatta da un grande libraio antiquario che è Paolo Pampaloni e Marco Ariani, uno dei curatori della nostra Hypnerotomachia Poliphili. E´ ancora in bozze, purtroppo non abbiamo fatto in tempo».