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Il divenire umano secondo l'induismo

di Giorgio Montefoschi - 02/11/2011

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Tutto il percorso di conoscenza del Vedanta culmina nella Liberazione finale

La radice vid, da cui derivano le parole Veda (gli antichi testi dell' induismo) e Vedanta, significa, insieme, sapere e vedere. Il Vedanta - scrive René Guénon nel suo libro fondamentale L' uomo e il suo divenire secondo il Vedanta (Adelphi, pp. 171, 12) - è la Scienza Sacra per eccellenza: una dottrina metafisica suprema, aperta a concezioni illimitate che, come l' Assoluto, non ammette definizioni, limitazioni o confini. Le Upanishad , facenti parte del Veda, sono la base fondamentale del Vedanta. Tutto quello che esprime il Vedanta, questo percorso di conoscenza e sapere che culmina nella «Liberazione finale», è contenuto nelle Upanishad . Ma noi occidentali - ammonisce Guénon - dobbiamo abbandonare le nostre categorie mentali con le quali, da altrettante migliaia di anni, definiamo la vita e la morte, l' eternità e Dio, se vogliamo accostarci a quel cammino e alla essenza di quel pensiero. Noi occidentali siamo abituati a definire: Brahma, l' essere supremo dell' induismo, è al di là di ogni definizione e di ogni distinzione. La sua manifestazione nel mondo non è nulla più che una «illustrazione», una illusione simile al miraggio dell' acqua nel deserto. La realtà profonda è invece l' Atma, e cioè lo Spirito Universale: una diretta emanazione di Brahma, che vive nel mondo e nel cuore dell' uomo, e dunque, è conoscibile dall' uomo. L' uomo, infatti, vive in una esistenza corporea, «grossolana», e in un «stato sottile». Il suo «stato sottile» - quello che gli occidentali chiamano anima - partecipa dell' Essere Universale e ha la sua dimora nel centro vitale dell' individuo: vale a dire, il cuore. Meravigliosa (ma ecco che noi cristiani sentiamo una eco di parole lette altrove) è la descrizione che la Chhandogya Upanishad fa di questa presenza dell' Essere nel cuore: «L' Atma che sta nel cuore è più piccolo di un chicco di riso, più piccolo di un chicco d' orzo, più piccolo di un chicco di senape, più piccolo del germe racchiuso in un chicco di miglio; questo Atma che sta nel cuore è anche più grande della terra, più grande dell' atmosfera, più grande del cielo, più grande di tutti questi mondi messi insieme». Il più piccolo è il più grande. Vive in una cavità infima dell' essere umano: ma è immenso, indefinibile, fuori dello spazio e del tempo. L' immortalità, che per gli occidentali consiste in un prolungamento indefinito della vita (e per i cristiani contempla il mistero glorioso della resurrezione della carne), per il Vedanta non si identifica con l' Eternità, non ha nulla in comune col «passato» individuale e terreno. Al momento della morte, lo «stato sottile», l' anima, accompagnata da tutte le sue facoltà (come dignitari accanto a un re) si ritira in una essenza luminosa. Attorno al cuore, esistono cento e più arterie. Una di queste attraversa la testa e va nella Luce: incontra un raggio di luce che non è altro che una emanazione di Brahma. Non appena raggiunge la realtà assoluta, l' individualità svanisce con tutte le sue determinazioni limitative e contingenti, e resta la sola personalità nella pienezza dell' essere. Sta scritto: «Il Sé di colui che ha raggiunto la perfezione della conoscenza divina (Brahma) e che di conseguenza ha ottenuto la Liberazione finale, ascende, lasciando la sua forma corporea, alla luce suprema che è Brahma e a lui si identifica in maniera conforme e indivisa, come l' acqua pura, mescolandosi con il lago limpido (senza tuttavia perdersi in alcun modo), diviene in tutto conforme ad esso». È un percorso lungo. Lo Yogi (la parola Yoga significa unione) lo può anticipare sulla terra, con l' aiuto della meditazione e dei riti. Questi sono strumenti, o «supporti»: forme esteriori (che Guénon accomuna in qualche modo ai sacramenti della religione cattolica) che contengono però una realtà divina, di cui l' uomo, proprio per la sua condizione terrena, «ha bisogno». Il percorso agevolato dalla meditazione e dai riti è paragonato, nel Veda, al percorso più veloce che un uomo può fare per raggiungere una meta, se cavalca un cavallo da sella. Ma la meta - viene precisato - in «tempi» diversi, la possono raggiungere tutti.