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La Musa

di Giuseppe Gorlani - 07/11/2011


   La Musa suscita parole e muove l’aleggiare degli insetti sui prati. La sua essenza è musica. Non necessaria, senza scopo, così danza la papilio machaon, la più bella tra le farfalle rimaste. Come le note in una chanso di Peire d’Alvernha, essa vola talvolta indecisa, talvolta sicura e veloce.

   Il vento piega lievemente le spighe ancora verdi del farro e tocca la pelle ravvivando la percezione delle nubi nell’azzurro. Lunga è l’ascesa, ma breve è l’apogeo del sole. Poi la bellezza plana nell’estate già venata di tristezza. Rispetto al mousóleptos, il rapito dalle Muse, la luce aumenta e decresce; rispetto all’Ineffabile la Luce non ha opposti.

   Tremenda sorte è l’amousia che affligge i mortali. Stornare lo sguardo dalle proprie catene, tale è la condizione di chi arranca per dune incessanti. Meglio intravvedere lo splendore. Meglio svegliarsi nel fluire del respiro, radicare il prana nel cuore della terra, salire e scendere sopra un giro di accordi blu, morbidi, apparentati al mystérion e alla notte.

   Chissà dove intende portare la dolcissima, terribile intensità della Musa? Porre domande non si osa, e poi il mystes ne intuisce l’inanità. Tutto è sbarrato, immerso in un ritmo variabile di mari lambenti candide città. Tutto è sequenza di ruderi semisepolti, disegni corrosi di animali e culti. Ogni moto dello spirito s’arena nell’abbagliante secchezza delle cose.

   Depongo la penna ed esco nel bosco. Non c’è nulla da cercare da nessuna parte, lo so. Ma qui, nella quiete del grembo materno, posso seguire le orme del Maestro e immergermi nel ricordo di Dio.

 

ignoranza, rozzezza, disarmonia