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Il disastro in Liguria e i suoi responsabili

di Marino Badiale - Marco Martini - 07/11/2011


inondligUna riflessione di Marino Badiale di quasi dieci anni fa e due articoli recentissimi dell'esperto di prevenzione idro-geologica Marco Martini descrivono la sostanza del grave problema rivelato dalle alluvioni in Liguria, un problema strutturale della politica del territorio in Italia.

Marino Badiale nel 2002 scriveva:

«Da diversi anni si ha in Italia il fenomeno che le normali piogge autunnali causano allagamenti e disagi. E' un fenomeno che indica con chiarezza una netta e sorprendente incapacità, da parte di un paese avanzato come l'Italia, di affrontare alcuni problemi di base di gestione del territorio, di fronte a fenomeni meteorologici che non appaiono così eccezionali. 

Probabilmente ogni tanto le piogge autunnali sono un po' più abbondanti del solito. Ma stiamo comunque parlando di piogge autunnali in un paese di clima temperato, non di uragani tropicali a Mondovì o dello scioglimento di tutti i ghiacciai della Terra o dell'innalzamento di dieci metri del livello dei mari. Ricordiamo adesso come, da qualche anno a questa parte, tutti i più importanti media esaltino i nuovi ritrovati delle tecnologie informatiche e le nuove possibilità che esse aprono all'economia e alla cultura. Ecco allora un'osservazione che si impone a chiunque si dia la pena di riflettere, e che la cultura di massa evita accuratamente di considerare significativa: com'è possibile che il progresso ci permetta di avere, per esempio, i cellulari collegati ad internet, ma non si riesca ad  impedire che le piogge autunnali uccidano un certo numero di persone? Cos'è mai questo progresso, chi lo dirige, chi decide che su certi temi si investono soldi ed energie mentre altri problemi sono lasciati al caso e alla bontà del cielo?»

(M. Badiale, da “Problemi tra scienza e cultura”, in “Koiné”, n.1/2, anno X, 2002).

  

Il disastro delle Cinque Terre e i suoi responsabili

di Marco Martini, geometra specializzato nella prevenzione dei dissesti idro-geologici, militante di Alternativa

 Gli ultimi tragici eventi occorsi in Liguria e in Toscana portano alla ribalta, per l'ennesima volta, la situazione allarmante in cui si trova il nstro Paese sul piano dei dissesti idrogeologici. Le cause hanno origini lontane - si pensi alla cementificazione selvaggia del boom economico di metà secolo scorso -e vicine, che partono da questioni di valenza globale (i cambiamenti climatici) e arrivano al locale, al "micromondo" degli entroterra urbani italiani.

In quest'ultimo senso, almeno per quanto concerne numerose realtà nazionali, un ruolo fondamentale lo gioca l'abbandono delle campagne e la relativa assenza dei contadini, cioè di chi, traendo il proprio sostentamento dalla terra, ha sempre svolto un efficace compito di "sentinella"sul territorio in modo da prevenire gravi dissesti in grado di compromettere le proprie attività e, in senso più esteso, il benessere della comunità di appartenenza.

La pulizia dei rivi e dei torrenti, con l'eliminazione degli arbusti, dei massi e di tutto ciò che può favorire l'esondazione dei corsi d'acqua durante le alluvioni, così come interventi murari di modesta entità ma utilissimi per il consolidamento dei fronti - un caso emblematico è la tradizione tutta ligure dei muri a secco, tramandatasi nei secoli - sono stati i semplici ed efficacissimi strumenti in mano alle comunità locali per scongiurare l'avvento di disastri di notevole impatto. Circa un anno fa, il quartiere genovese di Sestri Ponente, in seguito a un violento nubifragio, subì danni rilevanti a causa dell'esondazione dei suoi torrenti, i cui letti, nelle settimane precedenti, non erano stati sottoposti alle necessarie operazioni di manutenzione e pulizia.

Si noti che la "pigrizia" di certe autorità comunali e provinciali nell'attuare efficaci opere di prevenzione è stata denunciata poco tempo fa da Legambiente, che ha analizzato le iniziative di mitigazione del rischio idrogeologico nei 54 comuni liguri monitorati. Il risultato assegna una valutazione positiva, ma solo sufficiente, ad appena 12 amministrazioni (il 26%) mentre è negativa per il restante 74%, con 24 comuni giudicati "scarsi" e 17 "insufficienti". Tra i peggiori Legambiente indica Cogorno, Lavagna e Murialdo «che pur avendo la presenza di diverse strutture in zone a rischio non si sono efficacemente attivati per una concreta opera di contrasto».

Naturalmente, con questo non si vuole ridimensionare quella che è probabilmente la causa principale dei dissesti idrogeologici italiani, ossia la cementificazione indiscriminata del territorio. In nome dello "sviluppo" il territorio italiano - di per sé difficile per la sua conformazione particolare - è stato letteralmente ricoperto da un'enorme colata di cemento, senza che si tenesse conto dei difficili equilibri ambientali che caratterizzano molte nostre regioni. Alla cementificazione "sviluppista" del secondo dopoguerra e dei "palazzinari" anni '60, si è aggiunto e sovrapposto un diffuso abusivismo edilizio da parte dei privati,in molti casi anche semplici cittadini, del tutto incuranti dei danni che, in molti casi, stavano arrecando agli equilibri idrogeologici dei loro territori. Solo nel 1985 il legislatore ha cominciato a correre ai ripari, con la famosa Legge 431, nota anche come Legge Galasso, che ha posto divieti di edificabilità in ambienti particolari (aree d'alta quota, vulcani, paludi, vicinanze di corsi d'acqua o spiagge) e l'obbligo per le regioni di redigere Piani Paesistici allo scopo di tutelare i propri patrimoni ambientali. Ciononostante, l'abusivismo edilizio continua a prosperare nel nostro Paese, con particolari "punte" nelle aree maggiormente soggette ad infiltrazioni mafiose nelle pubbliche amministrazioni. A titolo di esempio si noti come, secondo i dati di Legambiente, il business del cemento ha prodotto solo in Campania 60.000 case abusive in 10 anni, e a spartirsi la torta dell’edilizia ‘a tutti costi’ ci pensano 64 clan camorristici. In 20 anni – dal 1991 a oggi – ci sono state nella regione 7 amministrazioni comunali su 10 (67%) sciolte per infiltrazione mafiosa, alla cui base c’e’ proprio l’abusivismo edilizio.

Tornando ai disastrosi eventi di questi giorni, va evidenziato un altro dato allarmante, ossia la tipologia delle precipitazioni che ha colpito le Cinque Terre e le aree limitrofe. Si è trattato di un evento meteorologico di eccezionale gravità, con ben 500 millimetri di pioggia caduti in poche ore, che non trova precedenti nella storia di quelle zone. Un evento che si collega, a detta degli esperti, ai cambiamenti climatici a livello globale, e che potrebbe quindi risultare alla lunga un triste antefatto di molti altri eventi luttuosi per il nostro Paese, le cui "fondamenta" idrogeologiche, come abbiamo visto, sono state già messe in serio pericolo da un mix di incuria, illegalità e negligenza diffuse. Siamo, di fatto, nel pieno di una vera e propria emergenza nazionale continua e silenziosa, latente, ma dal potenziale devastante.

http://alternativaliguria.blogspot.com/2011_10_01_archive.html

 

 

Sull'alluvione a Genova

di Marco Martini.

L'intero territorio italiano, o almeno buona parte di esso, e' soggetto a dissesti idrogeologici. Il ripetersi di eventi luttuosi necessita risposte concrete e coraggiose, per far tornare “eccezionali” quegli eventi gravissimi che oggi, ormai, ci aspettiamo con regolarità ogni anno con l’approssimarsi della cattiva stagione. Cambiano i teatri, ma lo spettacolo offerto da una natura ferita è sempre il medesimo: danni ingenti, morte di cittadini inermi, e lo smascheramento inesorabile delle responsabilità umane. I punti da considerare sono relativamente pochi, benché di notevole importanza e con molte implicazioni.

1) LOTTA SENZA TREGUA AL “PARTITO DEL CEMENTO”, che sia in merito alla costruzione di “grandi opere” dal notevole impatto sugli equilibri ambientali delle località coinvolte (si pensi al caso emblematico della TAV) o riguardo l’edificazione di nuovi quartieri residenziali con l’avvallo e il patrocinio delle varie amministrazioni locali. Il celebre architetto Renzo Piano, nel corso di un’intervista al Corriere Mercantile di venerdì 4 novembre, ha dichiarato: “L’esplosione delle città è già avvenuta nel Dopoguerra. Siamo nel secolo nuovo, è evidente che non si può continuare a costruire nuove periferie, spesso desolate e con costi sociali enormi […] ci sono due modi per far crescere una città: il primo è sostenibile, cioè per  implosione, costruendo sul costruito, il secondo è insostenibile, cioè per esplosione. Lo sviluppo delle città per implosione è l’unico modo per evitare nuove periferie”. Restauro, ristrutturazione o ricostruzione  del tessuto edilizio esistente, adeguandolo inoltre alle tecnologie esistenti per il risparmio energetico: questa è la “stella polare” dell’urbanistica sostenibile.

2) LOTTA ALL’ABUSIVISMO EDILIZIO, inteso sia come metodo di “business” da parte delle organizzazioni di stampo mafioso (in particolar modo al Sud), sia come fenomeno di diffusa negligenza, imperizia e noncuranza da parte di privati. Nel primo caso è necessario svolgere una forte opera di contrasto attraverso la magistratura e le forze dell’ordine, nel secondo caso le autorità e le amministrazioni locali devono intervenire, anche con l’ausilio dell’Agenzia  del Territorio, sia per punire chi ha compiuto abusi di grave entità o comunque pericolosi per gli equilibri idrogeologici, sia per diffondere la cultura del “ben costruire” e del rispetto delle norme vigenti, con tutti i vantaggi che ciò comporta a livello economico e sociale.

3) RECUPERO DELLE TRADIZIONI DI PREVENZIONE che hanno garantito per secoli l’armonia tra le comunità umane e i loro ambienti, con l’eccezione sporadica di eventi incontrollabili ma comunque di scarsissima frequenza. La scomparsa dei “contadini” nelle campagne e negli entroterra urbani di molte città italiane sta mettendo a serio rischio la sopravvivenza di tecniche, si pensi a titolo di esempio ai “muri a secco” della Liguria, o semplici operazioni di buon senso (la pulizia dei letti dei torrenti) che, intervenendo a monte, permettono la messa in sicurezza anche delle zone di valle. Al recupero di  queste tecniche tradizionali vanno associati, qualora necessari, quegli interventi di ingegneria naturalistica che permettono il recupero di fronti dissestati o in situazioni critiche con metodi a impatto nullo o ridottissimo sull’ambiente (un intervento tipico di ingegneria naturalistica consiste nella piantumazione di essenze dotate di radici robuste e profonde, in grado di “consolidare” il terreno).

Questi interventi comportano dei costi, che al momento sembrano insostenibili a causa della crisi economica e delle sue note cause. Il sistema preferisce investire fiumi di denaro nel salvataggio del male che lo sta uccidendo, piuttosto che intervenire per proteggere le sue popolazioni civili. Lo vediamo continuamente: d’altronde, i tagli alla spesa pubblica riguardano anche gli interventi di “messa in sicurezza” e di prevenzione delle aree dissestate o ad alto rischio.