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Morte

di Giuseppe Gorlani - 09/11/2011


   Mi inginocchio negli occhi della morte, sprofondo nelle trame del tappeto, mi sdraio accanto a un ruscello in una gola, mentre tutte le potenze creatrici si arenano nella morte. Da una chansos di Gaucelm Faideit il continuum di una vièle estrae morte e una voce oltre la voce illumina l’inudibile. Morte nei vicoli della vecchia Dijon, ai cui chiaroscuri Aloysius dedicò pagine intense, morte nelle piazze abbaglianti. Chi è donna o uomo, femmina o maschio? Chi è desiderio dell’uno o dell’altro. Chi afferra pugni di anni, melma, terriccio cimiteriale? Chi è fauno nel meriggio? Chi è labirinto o cattedrale? Chi tiene in vita eserciti, satelliti, autostrade? Chi tramanderà le vicissitudini della Storia? Soffia il suono della vielle à rou, soffia nella bolla vetrosa di tempo e spazio; la contrae, la dilata, la spinge nella morte. Resta uno stupore di cumoli sopra il mare. Resta il grido solitario della procellaria a riaprire ferite. Resta la pioggia ininterrotta e l’autunno freddo che rattrapisce le foglie. E resto “Io” in questa infinità di corpi brulicanti, per sempre morti o vivi, vibranti.