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La debolezza del gigante (intervista)

di David Harvey - 27/06/2006


 
 
   Intervista all’economista e geografo David Harvey, professore dell’Università di New York e autore de “Il nuovo imperialismo”

DI VERONICA GAGO

L’economia statunitense, minacciata dai suoi vincoli finanziari di indebitamento e dal declino industriale, mostra la situazione paradossale di un “gigante debole”. Questa è una delle ipotesi del prestigioso economista e geografo inglese David Harvey, professore alla City University di New York, e autore de “Il nuovo imperialismo”, un libro nel quale pone in evidenza come sia cresciuto il potere degli Stati Uniti e come si possano vedere oggi – malgrado la supremazia militare – i segni della debolezza politica ed economica. Harvey spiega come la “finanziarizzazione” dell’economia, che ha consolidato il dominio degli Stati Uniti, sia oggi il cuore della propria instabilità.

-Dove sta la debolezza statunitense? Come si relaziona con la situazione attuale del dollaro?-

Gli USA e le sue corporations ormai non dominano più nel mondo della produzione. Un esempio: gli Stati Uniti hanno solo due delle dieci industrie automobilistiche leader mondiali, ed entrambe – Ford e General Motors – si trovano in difficoltà economiche profonde. Gli USA continuano a dominare in pochi settori, come quello “agro-business” –fortemente sussidiato dal governo, violando le regole del WTO (OMC)- ed in alcune aree di alta tecnologia, vincolate principalmente al complesso industriale militare. Hanno dominato nel regno della finanza fino alla metà degli anni novanta, ma ora chiedono prestiti ad un ritmo di 2000 milioni di dollari al giorno, principalmente alle banche centrali dell’est asiatico, per finanziare l’indebitamento dello Stato e del consumo. Il mercato statunitense è ancora enorme e gli Stati Uniti tendono ad utilizzarlo come arma nelle negoziazioni internazionali, anche se molti paesi stanno spostando il proprio commercio verso i mercati di Cina ed India, che si vanno espandendo velocemente.

-E’ una situazione ambivalente allora?-

Tutto ciò non deve far dimenticare il fatto che gli Stati Uniti hanno ancora un voto dominante nelle organizzazioni internazionali come FMI, e Wall Street è ancora un mediatore importante nei mercati del capitale globale (controllando ed indirizzando sempre più fondi stranieri che possono facilmente diversificarsi in altre parti). Mentre militarmente gli USA dominano il potere di distruzione ad alta tecnologia, vediamo che in Irak ed in Afganistan falliscono nel controllo del terreno. Quello che voglio dire è che gli Stati Uniti rappresentano sempre più un gigante debole e le loro politiche si pongono al centro dell’instabilità economica globale. Un risultato di ciò è la considerevole volatilità del valore del dollaro. Ma non facciamo errori, la tendenza di lungo termine è al ribasso e continuerà in questa direzione a meno che gli USA aumentino i propri tassi d’interesse interni tanto da mettere in moto una recessione all’interno del paese, e nessuno vuole che accada (soprattutto per le conseguenze a livello globale).

-Cosa evidenzia l’oscillazione dei prezzi delle materie prime e del petrolio?-

La tendenza generale per tutti i prezzi delle materie prime, incluso il petrolio, è stata al rialzo negli anni più recenti, dovuta fondamentalmente alla forte domanda di Cina ed India. Ciò a beneficio dei produttori di materie prime: gli elevati prezzi del rame hanno aiutato il Cile e gli acquisti di soia da parte della Cina, hanno favorito l’Argentina. Nel caso del petrolio, il prezzo è stato influenzato anche da altri fattori “speciali”: la guerra in Irak, le lotte politiche in Nigeria ed i problemi con l’Iran. Ma le notizie positive per le materie prime hanno anche generato un’importante attività speculativa riguardo a ciò che accadrà in futuro, sui prezzi e gli investimenti nei mercati emergenti di paesi produttori di materie prime. Questa bolla speculativa scoppiò poco tempo fa, provocando una caduta repentina, ma questa non è la tendenza a lungo termine. Se i prezzi continueranno a salire o no, dipenderà dalla forza della domanda di paesi come India e Cina.

-Lei pone come esempio, quando spiega il concetto di “accumulazione per depossessione” col quale caratterizza l’economia delle ultime decadi, l’Argentina. Perché?-

Quando uso il termine “accumulazione per depossessione” mi riferisco al comportamento predatorio delle elites politco-economiche che permette loro di aumentare i propri benefici a spese dei poveri e delle classi medie. Comporta un nucleo di pratiche a favore dello smantellamento dei diritti per mezzo di privatizzazioni, abolizione di programmi sociali, svalutazione periodica di attività, etc. Vedo molte istanze di questo processo nella storia argentina recente. La svalutazione del “peso” nel 2002 comportò effettivamente la rapina di quasi 12000 milioni di dollari dai conti correnti degli argentini. Dove sono finiti quei 12 mila milioni di dollari? Quelli che tolsero i soldi prima del Novembre 2001, li trasferirono a Miami e li riportarono indietro nel Marzo 2002, triplicarono i benefici. E’ li’ che sono andati a finire quei 12 mila milioni ?

-Lei descrive le organizzazioni internazionali come garanti dei centri di accumulazione. Qual è l’impatto del pagamento del debito da parte di Argentina e Brasile con il FMI?

L’aver anticipato il pagamento del debito al FMI da parte di Brasile ed Argentina ha un doppio significato. Da una parte, libera i governi dalla degradante supervisione regolatrice del FMI, e dall’altra permette l’esplorazione di una varietà di politiche economiche. Ma rappresenta anche la forma nella quale si incolpa il FMI degli effetti politici di accumulazione “per depossessione” quando le elites politco-economiche del paese hanno anche una notevole responsabilità per ciò che è accaduto negli anni di crisi. Forse il prossimo passo sarà restituire alla gente i 12 mila milioni di $ che hanno perso con la svalutazione!

-Cosa ha di “nuovo” l’imperialismo attuale?-

Il “nuovo” imperialismo, creatosi durante gli ultimi trenta anni, associa ad un stretta radicale verso il neoliberalismo di libero mercato –alla quale l’intera America Latina cerca di resistere ma che sempre più si rafforza attraverso istituzioni internazionali come FMI e WTO- metodi imperialisti tradizionali degli USA, eliminando tutte le barriere geografiche a favore della mobilità del capitale delle “corporations” di tale paese con qualsiasi mezzo. La contraddizione risiede nel fatto che non sono soltanto le multinazionali statunitensi che possono beneficiare di un sistema di libero mercato, e che ciò che iniziò come una strategia per consolidare il dominio statunitense, diventa ora un mezzo per distruggerlo. -In questo scenario qual’ è il ruolo del Venezuela?-

Paradossalmente, l’invasione di Bush in Irak ed il conseguente aumento del prezzo del petrolio ha aiutato Chavez moltissimo, ed egli ha utilizzato queste risorse monetarie per consolidare il proprio potere in Venezuela e per costruire alleanze con i governi progressisti dell’America Latina, ed anche oltre questi. Chavez, quindi, ha interesse personale nel mantenere alti i prezzi del petrolio. Mi rende felice il fatto che egli fornisca riscaldamento a prezzi economici alla popolazione impoverita del Bronx (New York).

Verónica Gago
Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=33246
18.06.06
Traduzione per wwww.comedonchisciotte.org a cura di RICCARDO ROSINI

*David Harvey è uno del più conosciuti intellettuali della sinistra statunitense. Geografo ed urbanista di prestigio mondiale, ha dedicato il suo ultimo libro all’analisi delle nuove forme che assume l’imperialismo.