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Quel grande silenzio sui voli della Cia

di Tommaso Di Francesco - 27/06/2006

 
La settimana, per l'Italia e per l'Europa, passerà alla storia. Parliamo del fragorosissimo silenzio sulla vicenda dei voli-prigione della Cia, dopo le numerose denunce e inchieste in sede internazionale ed europea.
Ha cominciato Amnesty International con il suo Rapporto 2006 espressamente rivolto ai governi del Vecchio Continente, i quali «non potevano non sapere che» negli scali europei sono passati centinaia e centinaia di voli gestiti dall'Agenzia di spionaggio Usa che portavano presunti terroristi, catturati, torturati e imprigionati al di fuori di ogni diritto internazionale, finiti a Guantanamo, in Uzbekistan, in Giordania, in Marocco, in Egitto, in Indonesia o in Afghanistan, senza dimenticare Polonia e Romania. E' il famigerato programma americano di «extraordinary rendition» cominciato dopo l'11 settembre 2001, al quale i servizi europei hanno collaborato su diretta autorizzazione dei rispettivi governi. Poi sono venute le denunce di Dick Marty del Consiglio d'Europa e di Claudio Fava del Parlamento europeo che ha chiesto al nuovo governo italiano «atti concreti». Perché l'Italia è stata per tre anni lo snodo di questo sistema illegale, con la messa a disposizione degli aeroporti di Aviano, Fiumicino, Ciampino, Milano Malpensa e Linate, Venezia san Nicolò, Pisa Galilei, napoli Capodichino, Firenze Peretola, Brescia Montichiari.

Una vicenda così grave che la stessa magistratura italiana, per il caso dell'imam di Milano Abu Omar rapito il 17 febbraio 2003, ha incriminato ben 22 agenti della Cia. All'ultimo vertice di Vienna di pochi giorni fa tra Stati uniti ed Europa, la Commissione Ue aveva promesso chiarimenti di fondo da George W. Bush: il risultato è stato che non se n'è nemmeno parlato. Ancora nel dicembre 2005 i Ds e altre forze dell'Unione erano impegnate a chiedere con interrogazioni che «il governo venisse in aula a spiegare se c'era un'intesa con Washington». Una volta arrivati al governo, l'argomento è stato accantonato. Tanto che, negli ormai frequenti incontri tra Unione e ambasciatore americano Ronald Spogli, di questo non c'è nemmno l'ombra. Già, perché con discrezione i capigruppo e i vicecapigruppo dell'Ulivo di Camera e Senato - Dario Franceschini, Marina Sereni, Anna Finocchiaro e Luigi Zanda - invece che render conto del loro operato ai movimenti politici contrari alla guerra che hanno contribuito alla vittoria elettorale del centrosinistra, sono andati a più riprese a Villa Taverna, residenza privata a Roma dell'ambasciatore americano, a spiegare quanto le decisioni su Iraq e Afghanistan non contraddiranno le esigenze belliche del potente alleato. Figurarsi chiedere conto a Spogli di avere abusato dell'Italia come fosse il Laos di «Air America» grazie alla connivenza del governo Berlusconi.