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L'ideocrazia imperiale americana

di Filippo Ronchi - 27/06/2006

Costanzo Preve

L'ideocrazia imperiale americana

La tesi fondamentale sostenuta da Preve in questo studio è che gli USA non sono un impero come altri ce ne sono stati nelle epoche precedenti della storia dell’umanità e, di conseguenza, che neppure la politica degli Stati Uniti è paragonabile a quella «classica» attuata dalle grandi potenze occidentali concorrenti tra il 1873 ed il 1914. Ci si trova di fronte, invece, a qualcosa di inedito, di non-occidentale, ossia ad un «impero ideocratico» legittimato da un’ideologia di tipo biblico con cui esso si identifica e che rende i suoi abitanti una sorta di comunità elettiva che risponde direttamente a Dio: sacralizzazione, quindi, da un lato; criminalizzazione degli infedeli dall’altro. Si tratta di una tesi, appunto, ma su questa base, si possono fare alcune scoperte sulle caratteristiche peculiari di tale natura provvidenzialistica. L’impero ideocratico americano cerca di imporre la propria koinè di comportamenti e valori ed in questo è simile (al di là della maggiore ampiezza geografica) alla logica di diffusione della antica koinè ellenistica, ma rispetto ad essa è mille volte più odioso perché si basa su una «visione» a base puritano-protestante (la Missione Speciale degli USA come unica nazione «indispensabile» del globo in quanto dispensatrice di «libertà»), una ideocrazia – appunto – del tutto assente nel mondo antico. La stessa legittimazione fatta da Polibio del dominio romano non era intrisa di questa ipocrisia pseudo-religiosa, che trova singolari assonanze piuttosto con l’ebraismo. La situazione attuale è resa ancor più drammatica dal fatto che, dopo la fine del comunismo storico novecentesco organizzato in stati e partiti, è finito anche il bipolarismo geostrategico e militare. Così si è consumata una rottura storica epocale, che ha permesso alla superpotenza imperiale americana di scatenare una serie di guerre per il dominio mondiale incontrastato, a partire dalla guerra del Golfo del 1991 per finire con l’invasione dell’Iraq nel 2003, passando attraverso la distruzione della Jugoslavia (1999) e l’Afghanistan (2001), e sicuramente la sanguinosa espansione non è ancora conclusa. Questo processo si è accompagnato alla svolta post-keynesiana e neo-liberale dell’economia mondiale, che ha favorito una concentrazione finanziaria ed oligarchica planetaria in dimensioni mai prima conosciute.

Nel testo l’autore indaga, inoltre, sul cosiddetto «anti-americanismo» e soprattutto sull’«americanismo», inteso come interiorizzazione della subalternità, dell’impotenza e della deresposabilizzazione. Ci si trova dinanzi ad un problema non solo italiano, ma ad una minaccia per tutti i popoli del mondo. Se l’Italia è particolarmente esposta, è perché si tratta di uno dei paesi europei con minore coscienza ed identità nazionali. Sono studiate perciò acutamente alcune manifestazioni di questo «americanismo», da quello popolare plebeo a quello borghese-capitalistico, fino a quello, oggi decisivo, degli intellettuali di sinistra, in particolare della cultura ex-comunista riconvertita. Le oligarchie, sia economiche che politiche e soprattutto mediatiche, sono servili fino al midollo e da esse non c’è nulla da sperare. La catastrofe culturale è per ora un dato di fatto ed un discorso di liberazione è rimandato – secondo l’autore – alle prossime generazioni, in un futuro ancora indeterminato. Oggi come oggi «lo spazio della coscienza individuale resta lo spazio primario per ogni processo di presa di coscienza» e da esso si può partire per costituire intanto «piccole minoranze di pensatori liberi» (p. 93).

Chi ha già letto altre opere di Preve, apprezzerà senz’altro questo che è fra i contributi più recenti del filosofo e che rappresenta una sorta di agile ed efficace sintesi di molti dei temi da lui preferiti, contrassegnata da uno stile di scrittura personalissimo, in cui le ripetizioni e le insistenze non sono mai casuali, in quanto mirano a mettere a fuoco alcuni punti essenziali, su cui si ritorna più volte. Per questo anche la struttura del saggio è caratterizzata da un compendio iniziale degli argomenti trattati, da una loro esposizione approfondita nei singoli capitoli e termina con una conclusione dove tornano i vari elementi affrontati alla luce delle varie argomentazioni attraverso cui sono stati sviluppati.

Marxista tuttora, interno alla lunga storia del comunismo storico novecentesco, anche se non ha mai fatto parte della sua corrente maggioritaria (staliniana nel mondo, togliattiana in Italia), Preve continua ad essere «interno» a questa storia, ma ritiene che quando c’è una svolta epocale come quella rappresentata dall’avvento dell' impero ideocratico americano, tutte le culture politiche siano costrette a ridefinirsi radicalmente. Si tratta di un fatto oggettivo, che supera le vischiose inerzie identitarie che continuano a produrre contenziosi realmente esistiti per due secoli (1789-1991), ma ormai spiazzati dalla nuova situazione. «Questa presa progressiva di coscienza anti-imperiale presuppone il superamento storico della maggioranza delle categorie all'interno delle quali pensiamo (dicotomia Sinistra/Destra, Progresso/Conservazione, Ateismo/Religione, Materialismo/Idealismo, eccetera)» (p.93).

Non si può nascondere il fatto che l’aperta rivendicazione di questa logica liberatrice, così come la chiara e netta individuazione del nemico principale nell’attuale fase storica siano costate care a Preve. Nei confronti del filosofo è stato decretato l’ostracismo da parte di quello che egli definisce il PUPCE (Partito Unico del Politicamente Corretto Europeo) e che spazia, in Italia, dai centri sociali ad Alleanza Nazionale. Così egli è diventato bersaglio di pettegolezzi diffamatori, che lo hanno bollato di volta in volta come antisemita o creatore di indigeribili miscele ideologiche rosso-brune. La stessa scelta, ad esempio, di pubblicare L' ideocrazia imperiale americana per una casa editrice incasellata dal PUPCE nell’ambito della «estrema destra», rende impossibile una diffusione ed una discussione ad ampio raggio delle ipotesi proposte dall’autore.

Ma Comunitarismo, piccola rivista indipendente, non è afflitta da tabù identitari, non è portatrice di un «pensiero magico» che ritiene una specie di pariah indiano chi non si ispira ai canoni del PC (Politically Correct) e quindi continuerà a seguire con curiosità e interesse l’itinerario politico-filosofico di Costanzo Preve.

Edizioni Settimo Sigillo

109 pag., 13 euro